In Grecia, le statue erano considerate gli equivalenti magici del soggetto che rappresentavano, una sorta di contenitore materiale delle loro anime e personalità, e di conseguenza erano ritenute dotate di una vita propria del tutto simile per caratteristiche a quella umana: potevano parlare ed esprimere sentimenti, muoversi, ascoltare, determinare eventi e fare l’amore.
Dedalo il primo architetto
Discendente dell’antico re attico Cecrope, esiliato da Atene per aver ucciso il nipote Talo rifugiatosi a Creta, dove costruì per Minosse il mitico Labirinto, Dedalo fu il più noto architetto dell’antichità, un artigiano abile a tal punto da riuscire a creare grazie a sofisticati artifici meccanici statue che si muovevano e parlavano (Platone, Menone, 97d):
queste statue, se non sono legate, prendono la fuga e se la svignano, se invece sono legate, restano ferme.
Secondo Diodoro (lib. 4, 76), Dedalo realizzò statue vive nelle quali la rigidità degli arcaici xóana, immagini in legno o pietra levigata, informi e non ancora antropomorfi, viene sostituita dal movimento impresso agli arti inferiori.
Ancora Platone (Euthyphron 15b), ad esempio, accenna a Dedalo che fa camminare e girare in tondo le statue come i filosofi sanno fare con le parole.
Sugli xóana, Clemente Alessandrino, Protrettico ai greci, IV, 2.
Precedenti arcaici e diffusione in epoca classica
Nel Vicino Oriente Antico, e in particolare a Ugarit, erano diffuse teorie per cui dei ed eroi potessero intervenire nella realtà attraverso la loro forza divina, e queste influenze certamente condizionarono l’arte greca del periodo cosiddetto orientalizzante (VII secolo aev), favorendo un concetto che nella religione greca era già presente già da tempi più antichi.
Omero racconta di Efesto, il dio zoppo, artigiano d’eccezione, “l’artefice illustre”, che aveva l’abilitàsorreggevano il loro signore due ancelle d’oro, che sembravano vive; avevano intelletto e ragione e voce e forza e abilità nel lavoro per dono degli dei immortali.
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Ed Esiodo (Teogonia, 581-4) descrivendo la creazione di Pandora la prima donna:
[Efesto] aveva scolpito molte bestie terribili [δαίδαλα] simili in tutto agli animali dotati di voce...
La diffusione della credenza nelle statue capaci di trattenere la forza di una divinità o la buona sorte sarebbe confermata da altri esempi descritti da Pausania, come la statua della Vittoria (Nike) raffigurata senza ali in un’effigie lignea sull’acropoli di Atene (1, 22, 4; 3, 15, 7; 5, 26, 6), così che non potesse fuggire, o il guerriero Enialio (spesso epiteto di Ares) rappresentato con il medesimo intento in ceppi a Sparta (3, 15, 7).
Un antecedente fenicio è citato da Plutarco (Quaestiones Romanae, 61), il quale ci racconta che la popolazione di Tiro usava incatenare le statue dei loro dei, forse per timore i nemici potessero sottrarli, in base alla credenza che
vi sono certe evocazioni e incantesimi [ἐκκλήσεις καὶ γοητεῖαι] che colpiscono gli dei.
Le catene, la privazione delle ali alla Vittoria, sono gesti che, sotto questa lettura, servono a proteggere la divinità e quindi a far sì che continui a garantire il suo favore al popolo, allo stesso modo (è la spiegazione di Plutarco) per cui i Romani mantenevano segreto il nome del dio protettore della città.
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Il topos delle statue viventi diventa più forte in età classica e in particolare tra V e IV secolo, contestualmente all’evolversi di uno stile che tende a riprodurre l’oggetto in maniera il più possibile verosimile.
Nell’arte tardo-classica, i soggetti preferiti saranno i corpi giovani e nudi delle divinità. L’illusione della superficie liscia e perfetta della pelle è resa ancora più credibile da nuovi accorgimenti, come l’applicazione di strati di cera trasparente, invenzione attribuita alla straordinaria abilità dell’artista ateniese Prassitele che rendeva le sue incredibilmente seduttive.
Agalmatophilia
Si intende con questo termine il sentimento di amore, anche carnale, di un essere umano verso una statua. L’antecedente mitico di questa pratica risalirebbe ai Fenici, come dimostra l’etimologia del nome Pigmalione, protagonista di una celebre storia.
Nella seconda e più nota versione, è uno scultore cipriota che si innamora della statua di una giovane donna di nome Galatea che egli stesso ha creato, alla quale Afrodite dona la vita affinché i due si possano sposare. Questa seconda versione, risultato di una contaminazione tra la storia riportata da Filostefano e la leggenda di Dedalo, ha conosciuto maggiore diffusione soprattutto nel mondo romano.
Nella Grecia tardo-classica fu anche il platonismo, oltre all’arte di Prassitele, a incentivare l’agalmatophilia. Per i platonici, infatti, la necessità di un’arte che trascendesse l’imitazione della natura può aver incoraggiato la credenza nelle statue viventi, mentre il viaggio ideale dall’esperienza soggettiva verso la contemplazione della bellezza e dell’amore assoluti avrebbe spinto gli uomini a cercare rapporti con le statue raffiguranti in particolare le divinità dell’amore (Eros e Afrodite), con lo scopo di raggiungere dimensioni metafisiche.
— Sulla figura di Eros nel platonismo leggi La verità, vi prego, sull’amore
Un primo caso di attrazione sessuale verso una statua è riportato in una fonte datata attorno al IV secolo aev. Parla di un certo Cleisofo di Selimbria che, innamoratosi di una statua di marmo in un tempio di Samo, consumò con essa rapporti sessuali, per poi desistere una volta resosi conto della sua immutabile freddezza. La statua era opera di Ctesicle, conosciuto anche come pittore, che visse e operò in Ionia ai tempi della regina siriana Stratonice.![]() |
Afrodite di Cnido, attribuita a Prassitele, fonte |
Sub specie statuarum
Un altro caso di agalmatophilia è raccontato da Posidippo, nel trattato Peri Knidou, risalente tra il 285 e il 265 aev. Un nobile si innamorò della statua di Afrodite di Cnido, si nascose dietro la porta del suo tempio e durante la notte la rapì, ma lasciò una macchia sulla coscia della statua e per questo affronto fu indotto al suicidio. Sempre a Cnido, due iscrizioni risalenti rispettivamente al 300 e al 200 aev potrebbero essere interpretate come dediche d’amore per la statua della dea.
Un altro episodio è riportato da Eliano (inizi del III sec.). Un giovane di alto rango si innamorò della statua della Buona Fortuna (Agathe Tyche) conservata presso il Pritaneo di Atene, la cinse con le braccia e la baciò. Quindi, travolto dalla passione, propose una grossa somma al Boulé per acquistarla. Ottenuto il rifiuto da parte del Consiglio della città, decorò la statua con ghirlande e corone, offrì sacrifici e si uccise dopo aver emesso un lungo e drammatico lamento (Eliano, Varia Historia, 9.39).
In conformità con le rappresentazioni letterarie, la grande statuaria d’epoca classica raffigurava, come era d’uso per le divinità, Eros senza vesti, come nella famosa opera di Prassitele che lavorò per i santuari del dio a Tespie e a Parion creando statue di cui furono fatte molte copie.Dell’Eros di Pario, opera di Prassitele così chiamata dalla colonia della Propontide dove era conservata, Plinio (Naturalis Historia, 36, 22) afferma esplicitamente che la statua raffigurava il dio nudo (nudus in Parion), uno splendido giovinetto dal corpo snello e sinuoso che finì vittima dello stesso oltraggio erotico della statua di Cnido quando un certo Alceti di Rodi si innamorò della statua e tentò di avere con essa dei rapporti.
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Riproduzione dell’Eros di Pario, conservata al Museo archeologico di Coo (Laurenzi, Il prassitelico Eros di Parion) |
L’occorrenza di questi eventi, soprattutto in epoca ellenistica, è sorprendente. Nel periodo degli idilli e dell’Arcadia letteraria, le raffigurazioni degli dei dell’Olimpo e delle creature mitologiche in generale riescono a essere talmente verosimili da trasportare l’osservatore verso un mondo fantastico e seduttivo.
Osare innamorarsi e congiungersi con la statua di un dio, e cioè entrare nel mondo divino, è tuttavia molto pericoloso, anche per chi ricopre uno status sociale elevato. E infatti in due casi, di quelli riportati dalle fonti, la vicenda si è conclusa tragicamente con il suicidio.
L’agalmatophilia fu conosciuta anche a Roma. Quando, nel 146 aev, le Muse Tespiadi, provenienti dalla città tessala di Tespie, furono portate in città, di una di esse si innamorò perdutamente un certo Giunio Piscinulo, cavaliere romano (Plinio, Nat. Hist., 36, 5). E ancora Plinio (34, 82) racconta di una statua di bronzo raffigurante un giovinetto di cui si innamorò Bruto:idem fecit puerum, quem amando Brutus Philippiensis cognomine suo inlustravit.
Prassitele scultore e mago
Non sono molte le testimonianze letterarie sulle modalità e le tecniche attraverso cui lo scultore riusciva a effondere la vita nelle proprie creazioni.
Prassitele l’antico scultore di oggetti animati [ζωογλύφος] modellò una statua di leggiadra bellezza; e mentre dava forma alla pietra creò una figura di splendida fattura, ma insensibile e senza vita [ἄψυχον]. E così, attraverso le arti magiche, richiamò la vita [ἔμψυχα μαγεύων] dal cuore della pietra nel tre volte perfido Eros dotato di arco. La statua è la stessa solo nel nome, perché Prassitele ha trasformato il suo spirito [πνεῦμα]. Possa Eros allo stesso modo plasmare la mia forma così da modellare la mia anima interiore, e farla diventare il suo tempio.
Nell’epigramma si possono distinguere tre fasi del processo di creazione di una statua.
La prima è la realizzazione materiale dell’opera che, anche se di eccezionale bellezza, resta inanimata. Nella seconda fase viene riversata la vita dentro la materia inerte attraverso la magia: l’amore si fonde con il cuore della pietra e l’immagine acquista un potere nuovo e straordinario. La terza riguarda infine l’epifania del dio all’interno del suo ricettacolo materiale attraverso il quale, come in questo caso, Eros è in grado di muovere e trasformare le vicende umane compresa quella del poeta.
Le mani dello scultore [...], quando sono prese da ispirazione divina, conferiscono una sacra espressione alle creazioni le quali sono possedute e impregnate di divino entusiasmo. Così Skopas istilla frenesia divina alle sue statue quando è colto da ispirazione [...] Una statua di Baccante, lavorata con marmo di Parion, è stata trasformata in una vera Baccante. [...] Skopas ha compiuto miracoli sulla materia inanimata.o la descrizione dello stesso Eros arciere di Prassitele (3):
Voglio parlare di un’altra opera d’arte sacra, poiché non sarebbe giusto rifiutarmi di chiamare sacra quest’arte: l’Eros di Prassitele era Eros in persona, un ragazzo nel fiore della giovinezza con arco e ali. Con il bronzo egli l’ha dotato di espressione, e sebbene fosse quella di un grande e potente dio, l’opera stessa era sottomessa a Eros e non era solo bronzo, ma divenne Eros in tutta la sua grandezza.Sull’Afrodite Cnidia dello stesso Prassitele si pronunciano poche altre fonti, che ricordano i poteri soprannaturali o magici dello scultore.
Una di queste la fornisce Ausonio in De imagine Veneris sculpta a Praxitele. Nell'epigramma, il poeta latino dice che gli attrezzi dell’artista umano non obbediscono al suo volere ma a quello divino di Marte, dio del ferro:
Quando la vera Venere vide la Cipride Cnidia disse: «Pare che tu mi abbia vista nuda, Prassitele». «Non ti ho vista, sarebbe contro le leggi divine; è con il ferro che ho compiuto la mia opera, il ferro che obbedisce a Marte Gradivo. Quindi il mio scalpello di ferro ha scolpito una dea con le fattezze della Citerea, così come sapeva che sarebbe piaciuta al suo signore».
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