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Mitologia del serpente

Grazia sinuosa e colori brillanti, emblema di longevità, eternità e conoscenza – «il più sapiente del creato» (Genesi 3,1) –, abile e persuasivo, prismatico, ipnotico. Tra tutti gli esseri che nell’immaginario mitico hanno rappresentato o sono stati soggetti a trasformazioni, il serpente è quello che per eccellenza incarna l’idea, ambigua, inafferrabile della metamorfosi. Forse per la molteplicità dei suoi attributi e delle sue forme, ha svolto nelle varie tradizioni i ruoli più diversi. In virtù della sua sapienza, ha insegnato le arti e le tecniche utiali all’umanità; nell’Eden è il tentatore astuto e mellifluo, accanto ad Asclepio e Hygeia è simbolo della benefica ed efficace azione del dio oppure, identificato nella sua “legittima progenie” (draghi e dragoni), eternamente maledetto come la personificazione del male. Simbolo per i bramini del tempo infinito che abbraccia l’universo, lo vediamo giacere quieto presso le radici dell’albero cosmico Yggdrasill nella mitologia norrena, nemico degli dei ai quali sopravviverà. Persino Pwan-ku, l’“Adamo cinese” ha accanto un drago mentre è intento a cesellare finemente il mondo dal caos nel quale era nato.

Testa di serpente in pietra, Cipro, IV-I sec aev, via Met Museum

La natura più divina

Tenuto in altissima considerazione in Caldea, a Babilonia, in Fenicia e in Egitto, è proprio nella regione del Nilo che il serpente assume una posizione mitica di primo piano nella duplice forma di principio del male e del bene: il primo è impersonato dal serpente rosso Set, nemico e schiavo di Osiride, il secondo dal solare Chneph, raffigurato come un serpente dalla testa di falco, una creatura dall’aspetto bellissimo che quando apriva gli occhi illuminava tutta la terra e quando li chiudeva la sprofondava immediatamente nelle tenebre.

Plinio, descrivendo una processione in onore di Iside, racconta di un vaso mistico il cui manico era un aspide avvolto su sé stesso a mo’ di corona e con il lungo, squamoso e turgido collo screziato che si snodava verso l’alto. A differenza di altri appartenenti al regno animale, il serpente in Egitto gode di una venerazione diffusa non solo a livello locale, se il faraone stesso portava un aspide cornuto sulla corona quale simbolo di regalità.

Presso gli amerindiani Moqui il serpente è la figura protagonista di una danza sacra che si colora dei toni foschi di un incubo durante la cerimonia nella quale arrivano a sfilare centinaia di serpenti, raccolti appositamente, mentre gli uomini-serpente sono i medicine men capaci di fornire il siero, insieme cura e profilassi, contro il veleno mortale.

In Africa si svolge un ulteriore sviluppo nel culto di questo emblematico animale, per compiersi in maniera più completa nelle declinazioni afrocaraibiche e afrobrasiliane: ad Haiti, ad esempio, è rintracciabile la più antica forma di culto del serpente delle religioni di origine africana del Nuovo mondo, dove viene blandito e placato dal vodou doctor in un cerimoniale che, esorcizzando la paura, evoca gli orrori del cannibalismo e del sacrificio umano. D’altro canto, nel vodou il “vecchio” Damballah, antico loa benevolo e popolarissimo, viene raffigurato come un serpente spesso associato all’arcobaleno, poiché egli presiede alla pioggia.

Terra profonda e misteriosa

Il serpente in Grecia compare in molte vesti, ad esempio, come animale simbolo dell’azione guaritrice di Asclepio, allevato in una grotta dal centauro Chirone, al quale lo lega l’appartenenza ctonia, così come sotto terra si svolgevano i rituali di incubazione negli Asklepieia. Poiché il serpente può cambiare pelle e apparentemente rinnovare la sua giovinezza, ed è anche grazie a questa esclusiva qualità che gli è conferito il ruolo di mitologico attendente alle divinità preposte alla salute e alle guarigioni. Dal sottosuolo proviene anche la conoscenza delle cose future: la Pizia è attraversata dai vapori apollinei che emanano da una cavità della terra e attraverso di lei profetizza il dio; grazie a un particolare incontro con questi animali, inoltre, Melampo acquisì le sue celebri doti divinatorie (cfr. F. Marzari, Melampo. Breve biografia di un indovino guaritore, “I Quaderni del Ramo D’oro”, pp. 17-8):
Narra l’autore della Bibliotheca attribuita ad Apollodoro (I-II aev) che Melampo viveva in campagna, e che un giorno si ritrovò a salvare una nidiata di serpenti i cui genitori erano stati uccisi da alcuni servi. Tributati gli onori funebri ai rettili defunti, che vennero da lui accuratamente bruciati, Melampo ne adottò dunque gli orfani; questi, per ricompensarlo della sua generosità, durante la notte gli leccarono le orecchie (letteralmente: «gli purificarono le orecchie con le loro lingue»), consentendogli di comprendere il linguaggio degli uccelli, e, tramite loro, di predire il futuro agli uomini.
Il serpente che sussurra all’orecchio tutti i segreti del mondo e della natura: quella che viene descritta è una vera e propria iniziazione alle arti mantiche ma non è un’eccezione nella tradizione greca, poiché anche Tiresia, Cassandra ed Eleno, lasciati da piccoli in un bosco sacro ad Apollo, erano stati leccati nelle orecchie da alcuni serpenti che avevano così trasmesso loro la capacità oracolare. Infatti,
Ritenere i serpenti dei dispensatori dell’arte divinatoria è un motivo ricorrente nella cultura antica e nella tradizione folklorica in generale, e proprio al contatto con questi rettili si riconducono più spesso le leggendarie origini dell’acquisizione del linguaggio animale: Porfirio testimonia che presso gli Arabi era comune trarre oracoli ascoltando gli uccelli, e che si diceva che era possibile udire gli esseri privi di linguaggio nutrendosi del cuore o del fegato dei serpenti (ibid.).
Allo stesso modo a Roma il serpente è legato sia alla sfera guaritrice (cfr. l’Esculapio romano) sia a quella divinatoria, in veste di protagonista della fondazione del culto del dio guaritore sull’isola Tiberina, dove un serpente scelse la sede per il primo santuario della città al seguito di una solenne rappresentanza da Epidauro; intrecciato sulla verga di Mercurio è simbolo di conoscenza profonda e segreta, particolarmente favorevole ai commerci.

Incantatrice di serpenti, dipinto indiano del XIX sec., via Wellcome Collection

Né in Israele era estraneo questo collegamento diffuso e popolare tra serpenti e guarigione, se re Ezechia dovette ricorrere alla proibizione della venerazione “idolatrica” per queste creature, insieme a una serie di riforme del culto che riguardava anche la divisione e le mansioni dei sacerdoti, sullo sfondo di una “purificazione” dei peccati agli occhi adirati del Signore:
Non appena ebbero finito tutto questo, gli israeliti che erano lì uscirono verso le città di Giuda e fecero a pezzi le colonne sacre, abbatterono i pali sacri e demolirono gli alti luoghi e gli altari in tutto Giuda e Beniamino, così come in Èfraim e Manasse, finché non li ebbero distrutti completamente; dopodiché tutti gli israeliti tornarono alle loro città, ognuno alla sua proprietà (2 Cronache, 31,1).  
Il re in persona dà lesempio infuriando in una distruzione totale fino a frantumare con le sue stesse mani il serpente di rame di Mosè:
Inoltre distrusse il serpente di rame che Mosè aveva fatto; infatti fino a quel momento il popolo d’Israele gli aveva offerto fumo di sacrificio, ed era chiamato l’idolo del serpente di rame (2 Re 18,4).
Che presso gli ebrei il serpente non rivestisse simbolicamente un significato affatto negativo sarebbe confermato dalla considerazione che nessuna entità “malvagia” – Satana, Beelzebub, Samael, Belial – ha a che fare con i serpenti, mentre l’episodio della Genesi potrebbe essere letto come un “tributo” (peccaminoso) di Eva a un antico culto proibito.

Il Cobra e Mary Poppins

E gli esempi si potrebbero moltiplicare, tra quelli non ricordati, come il serpente che mangia la pianta della giovinezza donata a Gilgamesh dalleroe del diluvio, oppure la vittoria di Cadmo contro il «drago sanguinario / di Ares, suo crudele guardiano, / che vegliava sulle fonti / e sulle erbose correnti / con le sempre mobili pupille» descritto dal Coro delle Fenicie nella versione euripidea (cfr. R. Viccei, Lo scontro necessario. Cadmo contro il drakon per la nascita di Tebe, in “λeússein”, 1-2, 2015, p. 11). Ma il congedo lo lascio al Cobra Reale dai lenti, morbidi, tortuosi movimenti e «la testa a scaglie d’oro» in un visionario notturno giardino zoologico dove Mary Poppins porta i due bambini nella versione letteraria originale del 1935 (Bur 2010), nel capitolo intitolato Full Moon. Le movenze sono delicate, la voce è «sommessa e agghiacciante», gli occhi strani, profondi, lunghi e stretti, dove in mezzo a una «scura sonnolenza» brillava come un gioiello una luce viva. Poi si attorciglia a spirale, improvvisamente, ed ecco che la sua pelle dorata cade a terra e al suo posto ne indossa una nuova d’argento scintillante. Si assiste quindi a uno strano rito associato alla luna piena e a un compleanno. Tutti gli animali insieme ai bambini si dispongono in cerchio a celebrare con solennità una notte speciale, dove può capitare che «mangiare ed essere mangiati siano la stessa cosa», in fondo. Il Cobra allora parla agli umani, assicurando loro che nel corso di quella notte non sarà fatto loro alcun male, rivelando loro:
Siamo tutti fatti della medesima stoffa, ricordate bene, noi della giungla, voi della città. Siamo fatti della stessa sostanza, l’albero sopra di noi, il suolo sotto di noi, l’uccello, la belva, la stella, siamo tutti un’unica cosa, tutti ci muoviamo al medesimo fine. [...]
Uccello e bestia, pietra e stella, siamo tutti uno, tutti uno. [...]
Bambino e serpente, stella e pietra, tutt’uno.

Una pagina del libro Mary Poppins di Pamela Lindon Travers, edizioni Bur 2010.


Dove non diversamente indicato, cfr. V. A. Davis, Serpent Myths, in “The North American Review”, n. 375, feb. 1888, pp. 161-71.

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