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Vademecum degli Orishas

Fino agli anni Sessanta del Novecento il Candomblè era praticato per la maggior parte dai discendenti degli ex schiavi neri affrancati. Da lì in poi questa religione sincretica di derivazione africana allarga la sua notorietà e le adesioni, nell’ottica di una riscoperta (anche colta) delle componenti “brasiliane” del giovane e multietnico paese sudamericano, attraverso quello che Roger Bastide (1898-1974) aveva chiamato “la ricostruzione dello  spazio del nero”. Queste religioni sono oggi molto forti: si inseriscono nel “mercato magico” soprattutto per via degli oracoli che vengono consultati in qualsiasi occasione della vita quotidiana.

Festa di Yemanja, Salvador, Brasile 1947, via pierreverger.org

Religione degli Orishas

Il Candomblè deriva per la maggior parte dalla tradizione Yoruba, Euè Fon e di altre etnie bantu che insieme diedero origine a un movimento. Gli Orixas (Orishas) in portoghese sono chiamati santi, per via di quella necessità di occultamento e mimetismo che i fenomeni sincretici esigono. Essi sono duplici perché sono al tempo stesso “buoni” e “cattivi”. “Popolo del santo” sono chiamati i seguaci e pai, mãe (padre, madre) del santo gli operatori rituali. Il terreiro è il luogo di culto: in portoghese sta a indicare la parte vuota della casa, il cortile dove i neri, in epoca coloniale, trovavano il loro spazio di libertà danzando. 

Ci sono anche molte parole africane: il terreiro è detto ilê ashé, il pai de santo è il babalorixá (ialorixá la mãe de santo). Anche i nomi delle gerarchie sono mutuati dal linguaggio tradizionale africano che designava le famiglie e i villaggi Yoruba originari: iaô (o iyawô) è il “figlio del santo” o l’iniziato, come nella lingua originale stava a indicare le giovani mogli delle famiglie poligame, mentre ebome (o egbomi), le “sorelle maggiori” o mogli più anziane, sono nel Candomblé gli iniziati da più tempo. 

L’oracolo attraverso le conchiglie o jogo de búzios orienta tutte le attività della vita religiosa o semplicemente quotidiana. Un ruolo importante è svolto dalla parola, usata per mettersi in contatto con gli Orixas. Per ogni domanda si possono ottenere 256 risposte (odu ôxê). Exù e Ogun “aprono il cammino”, ovvero devono essere omaggiati per primi e prima di fare qualsiasi altra cosa.

Il corpo mitico del Candomblè

Tutto è spiegato attraverso il mito, il tempo è un ciclo e tutto quello che esiste è già successo a qualcun altro, in un altro tempo o in un altro luogo. Il mito spiega ad esempio come nacque l’oracolo: un tempo gli uomini non sapevano curare le malattie, allora Exú viaggiò per vedere come gli altri uomini affrontassero i loro problemi. Così è stato organizzato l’oracolo, un mezzo da consultare per avere una risposta dal ricco repertorio mitico.

Un altro mito narra di un altro dio, Orunmila o “padre dei segreti”. In Africa esisteva una classe sacerdotale ad appannaggio maschile chiamata dei babalaô (o babalawo), che però in Brasile non sopravvisse per essere presto soppiantato da una tradizione tutta femminile guidata da Oxùn: sposa di Orunmilá, lo trasse in inganno per carpirne i segreti, ma lui era furbo e ogni volta che lei ci provava se ne portava via mezzo. Questo spiega perché gli uomini e le donne hanno due diversi strumenti di divinazione. In genere, l’identità degli Orixas dipende dalle caratteristiche che hanno nei miti, dove essi amano e combattono e agiscono forze magiche.

Per gli Yoruba esistono due numeri magici, il 7 (femminile) e il 9 (maschile); la loro somma, 16, è il numero perfetto e ricorrente, così come tutte le sue divisioni e multipli in particolare 8, 4, 2, 32.

Gli Orishas vengono per ballare 

Il rito si divide in due parti: una sacrificale-votiva, l’altra dedicata alla festa pubblica. Le cerimonie candombliste si aprono con una preghiera-danza a Exú, il quale ha anche il ruolo di preparare il corpo del partecipante a ricevere il santo, e sono chiuse da Oshalá, fautore della creazione.

Le offerte comprendono cibo, bevande, gioielli ma importantissimi sono i tabu: se si offre qualcosa che non è gradita all’Orixa si avranno effetti disastrosi. Fondamentale è quindi conoscere i cibi e i regali che ogni Orixa preferisce ma non è facile, perché ciascuno di loro può assumere l’aspetto di diversi personaggi (Oxum per esempio può manifestarsi come una guerriera, una giovane o un’anziana). In ogni caso il sacrificio è un aspetto centrale del Candomblè e bisogna sempre offrire qualcosa alla divinità: l’aiuto degli Orixas arriva non se abbiamo avuto buone intenzioni, ma se abbiamo preparato buoni piatti.

Sono previsti anche sacrifici cruenti, e anche in questo caso ogni Orixa ha degli specifici animali che possono essergli offerti. Roberto Motta (cfr. Lexpansion et la réinvention des religions afro-brésiliennes: réenchantement et décomposition, in “Archives de Sciences sociales des religions”, 117, 2002, pp. 113-25), conducendo ricerche nelle zone povere, ha constatato come queste libagioni rituali siano a volte l’unica occasione di mangiare carne, e le interpreta come una “redistribuzione sociale” delle calorie e proteine necessarie a tutta la popolazione. I piatti preparati in queste occasioni sono divenuti la base della cucina brasiliana, ora diffusa in tutto il territorio.

All’offerta e al sacrificio segue la festa, aperta a tutti, che si svolge in una grande sala chiamata barracão dove si realizzano le sequenze di danze o xirê: i fedeli ballano con gli Orixas secondo le caratteristiche di chi li possiede o “cavalca” durante la trance; da questo momento si instaura una comunicazione continua tra l’Orixa, l’iniziato che balla e quello che suona seguendone e accompagnando e i passi. Le coreografie sono molteplici e complesse, anche se molte con il tempo se ne sono perse; di solito i movimenti degli Orixas pacifici sono “rotondi” e appartengono alla tradizione degli antichi villaggi stanziali dediti all’agricoltura, mentre i movimenti degli Orixas guerrieri, nomadi e cacciatori, tendono a invadere lo spazio. Oxala, che chiude le danze, è molto stanco e si muove in maniera lenta e circolare.

Esiste un repertorio di musiche sacre composte sulla combinazione di 16 tipi di ritmi. Si racconta che un tempo, quando il cielo era in basso e non in alto, il mondo degli uomini (aiê) e quello degli spiriti (orú) non erano divisi. In questo tempo del mito l’aiê era un luogo piacevole e gioioso e dopo la morte si cercava di reincarnarsi per tornare a vivere. Ma gli uomini sporcavano l’orú e la divinità suprema decise allora di dividerli: da quel momento gli Orixas divennero tristi perché non potevano più stare insieme agli uomini, e potevano raggiungere l’aiê solo attraverso la trance e la possessione. Così gli Orixas possono tornare a ballare.

Gli Orixas parlano attraverso la danza, è il linguaggio attraverso cui si esprimono e ognuno ha dei passi, ritmi e movimenti differenti che lo caratterizzano. Ogni Orisha ha anche dei simboli e colori che costituiscono il suo specifico paramento, secondo un’estetica afrobrasiliana che conosciamo anche attraverso le scuole di samba. Ma soprattutto ogni Orisha è e rappresenta un elemento della natura e ogni essere umano discende da uno di loro, che gli conferisce le sue proprie caratteristiche.
Eshú. I suoi colori sono l’azzurro, il nero e il rosso. Ha uno strumento che rappresenta il pene e due testicoli e una fila di conchiglie che rappresenta il seme. Legato alla fertilità e alla sessualità, è l’Orixa degli incroci; è un bugiardo, ma è lui che ci offre tutte le possibilità della vita e per questo riceve le prime offerte; è stato sincretizzato con il diavolo e il suo altare ospita simboli fallici.
Ogum. Fa sì che gli uomini ottengano ciò che vogliono. Si mostra come un combattente con la spada e il coltello, i suoi colori sono il verde e l’azzurro e i suoi figli sono guerrieri solitari e fedeli.
Oshossi. Presiede alla caccia e fa diventare le donne fertili; è il signore degli animali, dell’agricoltura e della pesca; porta con sé l’arco e le frecce.

Logun-Edé.
Figlio di Oshossi e Oshum, vive un po’ in acqua e un po’ nella foresta del padre e come lui ha arco e frecce.

Ossain. Spirito della vegetazione, a lui è dedicata una cerimonia detta sassain durante la quale un sacerdote va a cercare le foglie rituali che saranno destinate agli Orixas. I suoi colori sono il verde e il bianco e talvolta il rosso.

Iroko. Come Ossain è legato ai riti di cura e al culto degli alberi, i suoi colori sono verde e marrone.

Nanã. Orixa femminile tra i più antichi, compone il corpo degli uomini con il fango e dopo la morte li accoglie a sé. Ha uno strumento che rappresenta un feto e simboleggia la gestazione, i suoi colori sono il bianco, l’azzurro e il vinaccia.

Omolu. Ci si rivolge a lui per essere curati, un tempo signore del vaiolo, oggi dell’aids. I colori sono il nero e il bianco.

Oshumarê.
Presiede alla pioggia portando l’acqua dal cielo alla terra; le collane di conchiglie che lo ornano rappresentano il serpente.

Ewá
. Signore degli astri e dell’invisibilità, il suo culto prevede la castità per le sacerdotesse e per questa difficoltà in Brasile è stato quasi abbandonato.
Shangô. È il re, patrono di molti terreiros, i suoi colori sono marrone, rosso e bianco. Padroneggia il tuono e il fuoco ed è un grande amatore: Oxum, Obá e Iansà sono le sue mogli.

Oshum. Orixa dell’acqua dolce, dell’amore e della fertilità, il suo colore è l’oro. Si copre il viso come le regine, ha uno specchio per ammirare la sua bellezza che è al tempo stesso uno strumento di guerra, perché può accecare i suoi nemici.

Obá. Prima moglie di Xangô, balla con una mano su un orecchio poiché lo perse in una lotta di gelosia.

Iansã. Seconda sposa di Xangô, dal quale ricevette in dono una spada; è una grande guerriera e governa i venti, le tempeste, i morti e l’amore carnale.

Yemanjá.
Tra le più popolari del Brasile, è la “grande madre” signora di tutte le acque salate, della gestazione, del parto e della crescita dei bambini; è anche guerriera, il suo colore è l’azzurro trasparente.

Oshaguian. Ha inventato la cultura materiale, è un guerriero signore della creazione e i suoi colori sono il bianco e l’azzurro; a volte ha uno scudo e uno strumento che indica la trasformazione.

Oshalufã. È la divinità che ha avuto il ruolo più importante nella creazione, rappresenta la purezza e il suo colore è il bianco immacolato; ha uno strumento che simbolizza i nove spazi sacri; non vuole sacrifici di sangue ma solo lumache, che rappresentano il seme umano.

I destini dell’oracolo

Si chiama odu ogni combinazione o “destino” dei lanci dei búzios, ovvero il modo in cui ricadono le conchiglie. Orunmilá è il patrono dell’oracolo e a lui si prega prima del lancio; si dice che la conchiglia è “aperta” quando cade con l’apertura naturale verso l’alto, altrimenti “chiusa”. Odu è anche il destino che il sacerdote vede e interpreta per ogni bambino. Ci sono 16 "destini":
1. Ocanrá: è la posizione di Eshú ed è molto rara, tutte le conchiglie chiuse in cerchio con in mezzo una aperta; vi si leggono miti che raccontano di perdite e di dolore, e dopo si fa sempre un altro lancio.
2. Ejoco: matrimonio e relazioni affettive tra due persone.
3. Etaogunda: racconta di malattie, sofferenza ma anche ricchezza; anche in questo caso si richiede un secondo lancio.
4. Irosun: anche questa posizione è molto rara, e sono storie che raccontano problemi con la giustizia.
5. Ôshê: significa facile conquista di soldi, trasferimento di casa o paese.
6. Obará: con questa posizione risponde Eshú e racconta un mito; di solito significa intrighi, possibilità di fare soldi.
7. Odí: rispondono Exú e Ogum; tutte le possibilità sono aperte, ma si può perdere la fortuna altrettanto facilmente.
8. Èjìogbe: rispondono le divinità femminili; è detto “odu della testa” perché invita a non lasciarsi prendere dalle emozioni.
9. Osa: molti figli o un lavoro con i bambini.
10. Ofun: è l’odu “bianco” perché risponde Oshala, detentore del potere maschile dai tempi della creazione; parla di nascita e morte e malattie dell’apparato femminile.
11. Ouorim: morte, perdita.
12. Ejilasebora: parla Shangô, è l’odu “del fuoco”: tutto è possibile, basta perseverare.

Gli ultimi quattro odu (Ika, Otuporomi, Ajila, Alafia) sono pesanti e di difficile interpretazione. Se viene l’ultimo vuol dire che Orunmilá sta “chiudendo” e si possono riprendere le consultazioni dopo uno o due giorni.

Sacerdozio e iniziazione

Nel Candomblè non esistono preclusioni di classe sociale né di genere; in alcuni terreiros sono ammesse solo donne, in memoria del tempo in cui le ex schiave, affrancate per prime, ebbero modo di riorganizzare i propri culti. La mãe de santo Iyá Nassô è una figura leggendaria del Candomblè e si dice abbia fondato il primo terreiro a Bahia; pur essendoci ancora molte donne, fattori economici hanno fatto sì che il sacerdozio maschile sia oggi più diffuso che in passato. Non vi sono condizioni di età o meglio ogni terreiro stabilisce le sue regole: ve ne sono alcuni che ammettono l’iniziazione di bambini e altri che hanno il limite dei 30 anni per accedervi.  

Il periodo di iniziazione dura 21 giorni: in quel tempo l’iniziato ha contatti solo con i sacerdoti mentre impara i passi di danza, le preghiere e tutto ciò che occorre sapere del santo; vengono dipinti dei disegni sul suo corpo e alla fine è offerto un sacrificio di sangue che stabilisce un legame tra la testa dell’iniziato e il terreno; segue la cerimonia d’iniziazione vera e propria (afesu) quando si rasano i capelli e si legge il destino di nascita. Questo rito si esegue di nuovo al quinto, sesto e settimo anno: solo dopo sette anni, infatti, si è veramente considerati adepti.



Tra il 10 e il 12 aprile 2000, all’interno del corso di Storia delle religioni di Gilberto Mazzoleni presso l’aula A del Dipartimento di Studi storico-religiosi, facoltà di Lettere e filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, Reginaldo Prandi teneva una serie di tre lezioni sul Candomblé. Il 14 di quello stesso mese, il sociologo dell’Università di San Paolo è stato accompagnato dal pai de santo Armando Vallado della Casa das Águas, che ha illustrato “in pratica” alcune tecniche divinatorie.
«Questo seminario è dedicato alle donne. Otterremo l’effetto desiderato se balleranno»

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