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Il tempo è un bambino che gioca. Storie orfiche nei frammenti di Eraclito


Uno stile denso e conciso, una prosa fitta di arcane risonanze ritmiche che rievoca il modello espressivo degli oracoli. Parole enigmatiche e ambigue caratterizzano gli scritti di Eraclito di Efeso (535-470 aev ca.), come li conosciamo attraverso un centinaio di frammenti rimasti. Discendente da una famiglia di rango regale, Eraclito scelse di trascorrere la vita in un austero isolamento, ritirandosi sui monti presso il tempio di Artemide. La sua filosofia, che privilegia un approccio mistico piuttosto che razionale, affonda nelle profondità di un’esperienza religiosa comune anche alla mitologia orfica, nell’infinito alternarsi di morti e rinascite.

Tutto è uno

Eraclito ritiene che gli uomini vedano il mondo sulla base di una visione personale, di uno stato d’animo o delle proprie condizioni di vita. La conoscenza di quello che ci circonda è pertanto relativa, limitata e quindi menzognera. Vediamo l’apparenza e non l’essenza delle cose, che risiede in una perpetua, discordante armonia (fr. 54).

ἁρμονίη ἀφανὴς φανερῆς κρείττων.
L’armonia invisibile è migliore di quella manifesta.

La realtà è regolata secondo il principio del logos, la ragione, unica, divina verità, ma irraggiungibile: nessuno può arrivare a conoscerne la vera essenza (fr. 1).

τοῦ δὲ λόγου τοῦδʹ ἐόντος ἀεὶ ἀξύνετοι γίνονται ἄνθρωποι καὶ πρόσθεν ἢ ἀκοῦσαι καὶ ἀκούσαντες τὸ πρῶτον. 
Di questo logos, che è sempre, gli uomini sono incapaci di comprensione, né prima di averne sentito parlare, né dopo averne sentito parlare la prima volta. 

L’essenza del dio-logos è unica, ma le sue espressioni nel mondo sensibile sono di una varietà infinita. Tutte queste manifestazioni, condividendo la stessa primigenia sostanza, pur nelle differenze sono una cosa sola (fr. 50).

οὐκ ἐμοῦ, ἀλλὰ τοῦ λόγου ἀκούσαντας [ὁμολογεῖν] σοφόν ἐστιν ἕν πάντα εἰδέναι.
Per chi ascolta non me, bensì il logos, sapienza è riconoscere che tutte le cose sono una sola.

L’infinito gioco dei contrari

Se “tutto è uno”, se tutte le cose partecipano della stessa intima essenza, non possono contrapporsi o escludersi a vicenda: distinto e indistinto, generato e non generato, uomo e dio, luce e tenebra, giorno e notte, bene e male, puro e impuro, verità e menzogna, tutto è il contrario di tutto in un mondo, sia fisico sia metafisico, dove gli opposti coesistono (fr. 67).

ὁ θεὸς ἡμέρη εὐφρόνη, χείμων θέρος, πόλεμος εἰρήνη, κόρος λιμός, ἀλλοιοῦται δὲ ὅκως ‹πῦρ›, ὁκόταν συμμιγῇ θυώμασιν, ὀνομάζεται καθʹ ἡδονὴν ἑκάστου.
Il dio [è] giorno e tenebra notturna, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e si altera nel modo in cui il fuoco [oppure l’olio, elaion, secondo un’altra lettura] – ogni volta che divampi mescolato agli incensi – riceve nomi secondo gli aromi di ciascuno.

Anche l’inizio e la fine, la vita e la morte, estremi per eccellenza del nostro essere, arrivano a identificarsi. 

La trama nascosta

In questa perpetua alternanza, il mondo va incontro periodicamente a una distruzione totale tramite il fuoco (ekpyrosis), non per punizione, per espiare una colpa, ma come puro fatto cosmico, e a una successiva palingenesi. Allo stesso modo l’uomo, dopo la morte, torna a vivere, reincarnandosi. 

[Eraclito] dice che c’è una resurrezione della carne [σαρκὸς ἀνάστασις] [...] e sa che la causa di tale resurrezione è il dio.

(Confutazione contro tutte le eresie, IX 10, attribuita a Ippolito.)

È questa l’innovativa soluzione di Eraclito al problema del divenire.

L’apologeta cristiano, che voleva confutare l’“eresia” eraclitea, aveva espresso questo commento a proposito di un oscuro passo del filosofo di Efeso (fr. 63):

ἔνθα δʹ ἐόντι ἐπανίστασθαι καὶ φύλακας γίνεσθαι ἐγερτὶ ζώντων καὶ νεκρῶν.

alla sua presenza sorgono e diventano guardiani risvegliati dei viventi e dei morti. 

Difficile interpretare l’avverbio ἐγερτὶ, usato raramente — dal verbo ἐγείρω, “sveglio”, “risveglio”, nel Nuovo Testamento con il significato proprio di “resuscitare dalla morte” o “guarire da una malattia”. 

La trama si infittisce mano a mano che ci si addentra nella sequenza di citazioni. Il frammento precedente, infatti, il 62, riporta un assunto divenuto celebre per la sua incomprensibilità, volutamente ridondante, che ha suscitato una grande mole di congetture e interpretazioni e nel quale ritorna il concetto dell’identità degli opposti:

ἀθάνατοι θνητοί, θνητοὶ ἀθάνατοι, ζῶντες τὸν ἐκείνων θάνατον, τὸν δὲ ἐκείνων βίον τεθνεῶτες.

Immortali mortali, mortali immortali, [gli uni] vivono la morte di quelli, e degli altri muoiono la vita. 

Ovvero, la vita degli uni è la morte degli altri, la morte degli altri è la vita dei primi. 

Dunque, sul piano umano, c’è la credenza nella resurrezione, passando attraverso la “prova del fuoco” catartica della morte, come sul piano cosmico il mondo viene periodicamente distrutto e purificato con il fuoco per rinascere ancora e all’infinito, un mondo fatto di dei che muoiono e uomini che diventano immortali, vivendo ciascuno reciprocamente l’esperienza dell’altro. 

Dioniso bambino, dall’Egitto tolemaico, I sec. aev-I sec. ev (The Walters Art Museum)

Misteri e iniziazioni

Non è chiaro quale fosse la posizione di Eraclito circa i misteri e le iniziazioni. Nel fr. 14, riportato in un’invettiva antipagana di Clemente Alessandrino, lo vediamo insegnare la sua dottrina ad alcune particolari categorie di uditori:

νυκτιπόλοις, μάγοις, βάκχοις, λήναις, μύσταις.

[Eraclito comunica le sue profezie] a nottambuli, a maghi, a baccanti, a menadi, a iniziati.

Di certo, per i commentatori cristiani, questi termini sono dispregiativi, al contrario ricorrono con grande frequenza e senza accezioni negative nella terminologia e nella letteratura greca, legati alle diverse e, se vogliamo, meno “canoniche” sfere della religiosità antica: i culti misterici, le orge dionisiache, la magia. Anche con queste frange quindi Eraclito dialogava, senza preclusioni.

— Sulla tradizione orfica, una delle forme più antiche della religione greca, leggi Frammenti orfici

Zagreo, il fanciullo che gioca

Zagreo, il “grande cacciatore”, identificato con Dioniso con il quale condivide l’esperienza di morte, passione e resurrezione e una comune origine tracia o frigia, è nato da Zeus Katachthonios, sotterraneo, e Kore/Persefone, ucciso dai Titani quando era ancora un bambino, lacerato e cotto in un calderone, fatto rinascere dal padre identico seppure distinto da lui.

— Su Dioniso-Zagreo e il culto del “dio fanciullo”, leggi Le beatitudini di Dioniso

— Sui riti orfici e i culti misterici di Dioniso, leggi Epitaffio per una sacerdotessa

Zagreo è un dio che muore, nella cui vita è compresa anche la morte, e che vive veramente la morte perché da essa rinasce. Allo stesso modo, l’iniziato rivive (ritualmente) la vicenda mitica del dio, cioè morire e rinascere, si identifica con lui, ottenendo così, essendo stato purificato da questa esperienza, la natura divina. Proprio come i mortali immortali, e viceversa, dell’enigmatico frammento eracliteo.

— Sugli dei “ora spenti ora luminosi” leggi Le religioni del mistero. Un’introduzione

Zagreo era “il fanciullo” per antonomasia nel linguaggio orfico. Tra gli oggetti che ne commemoravano la morte, giocattoli divini, c’era l’astragalo, un particolare tipo di dado (a quattro facce anziché sei). 

L’immagine del fanciullo che gioca è stata peraltro interpretata come simbolo dell’incostanza degli eventi e del loro incessante passare da un opposto all’altro. Proprio come sembra sottendere l’immagine evocata da Eraclito nel fr. 52:

αἰὼν παῖς ἐστι παίζων, πεσσεύον· παιδὸς ἡ βασιληίη.

La vita [il tempo] è un fanciullo che gioca lanciando i dadi: il suo regno è regno di un bambino. 

Morte e mistero

Identico ma distinto dal padre, Zagreo è identificato sia come Ade sia come figlio di Ade, lo Zeus sotterraneo. Ad esempio Eschilo (Frammenti, 228): 

Ζαγρεῖ τε νῦν με καὶ πολυξένῳ ‹πατρὶ› χαίρειν.

Ora [sono giunto] per dire addio a Zagreo e a suo padre, il molto ospitale.

Zeus sotterraneo (γάιος, terreno, sta qui per καταχθόνιος), con lo stesso epiteto di ospitale (perché le porte di Ade sono ampie e accolgono tutti, prima o poi), ricorre anche nelle Supplici (157):

τὸν γάιον,
τὸν πολυξενώτατον
Ζῆνα τῶν κεκμηκότων

al dio sotterraneo, che tutti ospita, a Zeus che vigila sui trapassati. 

È lo stesso Eraclito, poi, a identificare chiaramente Ade e Dioniso (fr. 15):

[...] ὡυτὸς δὲ Ἀίδης καὶ Διόνυσος [...]

Ade e Dioniso sono la stessa cosa.

Ad Alessandria, infine, Dioniso veniva onorato con il nome mistico di Eone (Aion) identificato con Osiride (Suidaad voc.: Ἠραίσκοςτὸ ἂρρητον ἂγαλμα τοῦ Αἰῶνος [...] ὅ Ἀλειξανδρεῖς ἐτίμασαν Ὀσίριν ὄντα καὶ Ἄδωνιν). Così come Eraclito, nel fr. 52, chiama αἰὼν, tradotto con “il tempo”, il fanciullo che gioca lanciando i dadi. 

L’identificazione Dioniso-Osiride, a partire dal rapporto ambivalente di entrambi con la vita e con la morte, è confermata da Plutarco (Iside e Osiride, ad es. 356 B) e da Erodoto (Storie, 2, 144, 2: Ὄσιρις δὲ ἐστὶ Διόνυσος κατὰ Ἑλλάδα γλῶσσαν, “Osiride è, nella lingua dei Greci, Dioniso”).

— Su Aion-Chronos, figura leontocefala della tradizione mitraica, anche in relazione a Osiride, leggi Il tempo è un mostro che divora. Conclusioni iconografiche su Aion-Chronos

Come la morte rituale dell’iniziato, viatico per rinascere puro a nuova vita, la morte fisica è la catarsi dell’anima, una liberazione dal corpo-tomba nel quale è rinchiusa come in un carcere. L’anima che si libera dal corpo e l’iniziato subiscono un identico processo di rinnovamento, momenti del perpetuo divenire dell’essere che si esprime nell’armonica identità degli opposti. 

L’uno e l’altra, mistero e morte, sono necessari per arrivare alla vera conoscenza. Al mito orfico del dio fanciullo che muore e risorge, alle sue suggestioni e al suo linguaggio, Eraclito potrebbe aver attinto volendo rappresentare la morte e la vita nella loro perenne reciprocità.

V. Macchioro, Eraclito. Nuovi studi sull’orfismo, Laterza, Bari 1922; F. Padovani, Il nome di Osiride nella riflessione di Plutarco, in “Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici”, 74, 2015, pp. 119-42; G. Reale (a cura di), I presocratici, Bompiani, Milano 2006.

In copertina: Hendrick Goltzius, Quis evadet?, 1594 (WikiArt) #misticismo #Mithra

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