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Epitaffio per una sacerdotessa

Ha trascorso la vita al servizio delle divinità che garantiscono la fecondità dei campi e degli uomini, per concludere felicemente i propri giorni tra le braccia dei suoi figli. La persona loquens di questo epigramma funerario di Callimaco è una sacerdotessa di cui non conosciamo il nome, votata ai culti misterici di Demetra, Cibele e i Cabiri, con incursioni nei riti orgiastici di Dioniso.

Parliamo di: Grande madre, musica, danzaestasi

Epigrammi funerari d’autore

Gli epigrammi funerari, o epitimbi, erano destinati a essere incisi sulle lapidi dei sepolcri allo scopo di informare sulla vita del trapassato attraverso brevi fatti biografici — professioni, censo, relazioni, doti, esperienze. Ma avevano anche una funzione letteraria, e dal III secolo iniziano a essere firmati dagli autori più illustri.

I versi scolpiti su pietra si animano quando il visitatore, un passante, si sofferma presso la tomba, che spesso si trovava fuori dall’abitato, lungo vie extraurbane, e li legge ad alta voce, rievocando il nome e la memoria del defunto. Nella commemorazione di un morto, pronunciare il suo nome significa farlo rivivere garantendone la permanenza dopo la morte, e perpetuarne il ricordo. 

Al viandante che si sofferma a leggere, è infatti spesso rivolta una formula di saluto, esortazione e augurio da parte del defunto [1][2].

Una sacerdotessa senza nome 

Molti carmi funerari di autori sia noti sia anonimi, dall’epoca arcaica alla prima età bizantina, sono raccolti nel VII libro dell’Antologia Palatina.

Tra questi, ce ne sono tre dedicati ad altrettante sacerdotesse di Cibele, uno di Tiillo (Thyillus Epigrammaticus, AP vii, 223), oscuro autore del I secolo aev, uno di Filodemo (Philodemus Gadarensis Epigrammaticus, AP vii, 222), epigrammista e illustre filosofo epicureo del I secolo aev, e uno di Callimaco (XL, AP vii, 728), poeta eclettico dal linguaggio accurato e conciso, “sottile”, autore di epigrammi dallo stile elegante e raffinato.

— Leggi l’Inno alla Madre degli dei dell’imperatore Giuliano

Tiillo dedica il suo epitaffio alla danzatrice Aristio, seguace o sacerdotessa di Cibele. In occasione di simposi e cerimonie (κῶμοι καὶ μανίαι) in onore della Grande madre, rapita dal suono di crotali e auli, sotto i pini sacri alla dea, tra i devoti che recano torce e fiaccole, la vediamo “lanciare le chiome” in una danza sfrenata — e probabilmente lasciva. Il riferimento è specificamente alle παννυχίς, feste tipiche di varie divinità che duravano tutta la notte.

La sacerdotessa di Cibele ricordata nell’epitaffio di Filodemo si chiama Tortorella (Trygonio), una tenera fanciulla sottratta alla vita in giovane età. Forse un’etèra che praticava la prostituzione sacra, ammaliante come un incantesimo (φίλτρον) mentre innalza inni a Sabazio (σαβακῶν ἄνθεμα), divinità frigia associata a Cibele e in connessione con Dioniso. Sebbene non manchino le ipotesi secondo cui il soggetto del componimento sarebbe non una donna, bensì un gallus, un sacerdote evirato.

Ed ecco l’epigramma di Callimaco:

Ἱερέη Δήμητρος ἐγώ ποτε καὶ πάλιν Καβείρων,
    ὦνερ, καὶ μετέπειτα Δινδυμήνης
ἡ γρηῢς γενόμην, ἡ νῦν κόνις, ἡ νο ...
    πολλῶν προστασίη νέων γυναικῶν.
καί μοι τέκν' ἐγένοντο δύ' ἄρσενα, κἠπέμυσα κείνων
    εὐγήρως ἐνὶ χερσίν. ἕρπε χαίρων
.
Sacerdotessa di Demetra, un tempo, e poi dei Cabiri,
    o uomo, e infine della Dindimene
fui io, la vecchia, che ora cenere sono diventata. [...]
    guida di molte giovani spose.
Ebbi due figli maschi, e chiusi gli occhi
    tra le loro braccia in buona vecchiaia. Passa e sii lieto.

Spicca, in questo caso, la mancanza del nome della defunta, anche se potrebbe essere stato menzionato in altre sezioni del componimento poi andate perdute. 

— Sulle cerimonie in onore di Demetra e Persefone leggi Sacerdoti e sacerdotesse di Eleusi

Al seguito della Grande madre

Dattili, Cureti o Coribanti, Cabiri e Telchini facevano parte del solenne corteo della frigia Cibele, spesso confluenti gli uni negli altri, divini servitori primordiali che accompagnavano la Grande madre con cori e una selvaggia danza estatica tra le note ora stridule ora dolci di strumenti di montagna, flauti, cembali, tamburelli, rombi.

Il numero dei Cureti (i “giovani”) è di solito tre, posti a difesa di Zeus bambino contro l’ira del padre Chronos, quello dei Dattili è invece variabile, così come la natura delle loro funzioni. Spesso è riferito fossero dieci, come le dita di una mano. 

Secondo le informazioni riportate in uno scolio al primo libro delle Argonautiche, che commenta il passo in cui gli eroi fondano il culto di Cibele, i Dattili destri sarebbero stati fabbri, demiurghi scopritori del ferro e inventori della lavorazione del metallo. 

— Sull’identificazione a Roma tra Dattili e Lari leggi Nigidio Figulo astrologo e mago

Alcuni di loro erano guaritori (φαρμακεῖς), considerati di buon auspicio (εὐωνύμους), quelli che scioglievano l’incanto, mentre i Dattili sinistri erano incantatori (γόητες) (Scholia in Apollonium Rhodium vetera, I 1126).

— Sul termine “goetia” leggi Platone e la magia

Servitori anch’essi della dea madre, i Cabiri giungono in Occidente da Samotracia, l’isola dei misteri, e i loro nomi sono segreti (μυστικά). Sono legati alla danza estatica (ὀρχηστικοί καὶ ἐνθουσιαστικοί). A loro Omero si sarebbe riferito, nell’Odissea, a proposito dei fenomenali danzatori (βητάρμονας) alla corte di re Alcinoo, sull’isola dei Feaci (Strabone, Geographica, 10, 3, 21). 

Chiamati in Grecia Megaloi theoi, Grandi dei, i navigatori li invocavano nel momento del pericolo come salvatori [3].

Il loro numero è solitamente tre. Madre dei Cabiri era Cabira, una delle figlie di Proteo, tradotto in lingua greca con Rhea o Demetra, ma anche Ecate o Afrodite [3].

Di questa primordiale schiera, ma dal carattere più infero, facevano parte anche i Telchini, i primi abitanti dell’isola di Rodi. Divinità legate al mare, furono educatori di Poseidone e inventori di alcune arti utili alla vita degli uomini. Si dice, ad esempio, siano stati i primi a produrre immagini divine, realizzando statue di dei. Anche loro erano incantatori (γόητες, μάγοις), che gelosamente custodivano i loro segreti (φθονεροὺς), ed erano in grado di mutare forma (Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, 5, 55). 

— Leggi anche Scultura e magia 

I nomi di questi gruppi di esseri divini sono spesso interscambiabili, finendo con il confondersi gli uni con gli altri. Cabiri, Coribanti, ma anche Pani, Satiri e Titiri sono al tempo stesso i danzatori, i ministri e gli attendenti dei riti sacri di Cibele (Strabone, 10, 3, 15).

Il fragore delle orge bacchiche, il respiro dei flauti frigi

Danza, canti, strumenti musicali, corteggi, falloforia, estasi, nonché un fascino esotico e ribelle, sono gli elementi che accomunano i riti celebrati nei culti misterici di Dioniso in Grecia e quelli della Grande madre frigia. 

Sono le stesse anche le parole usate nei due rituali, le grida di esclamazione in onore delle divinità, “evoe saboe” (εὐοῖ σαβοῖ) e “hyes attes, attes hyes” (ὕης ἄττης ἄττης ὕης) (Strabone, 10, 3, 17).

— Leggi anche Le beatitudini di Dioniso

Così in un passo delle Baccanti di Euripide (riportato da Strabone, 10, 3, 13):

ὦ μάκαρ, ὅστις εὐδαίμων [τελετὰς θεῶν]
[εἰδώς,] βιοτὰν ἁγιστεύει.
τά τε ματρὸς μεγάλας ὄργια Κυβέλας θεμιστεύων
ἀνὰ θύρσον τε τινάσσων, κισσῷ τε στεφανωθεὶς
[Διόνυσον] θεραπεύει.
ἴτε Βάκχαι, [ἴτε Βάκχαι], βρόμιον παῖδα θεὸν θεοῦ
Διόνυσον κατάγουσαι Φρυγίων ἐξ ὀρέων
Ἑλλάδος εἰς εὐρυχόρους ἀγυιάς.
Beato colui che, uomo benedetto, iniziato ai culti misterici,
è puro nella vita.
Che preservando i riti della grande madre Cibele
brandendo in alto il tirso e cinto d’edera
adora Dioniso. 
Venite Baccanti, venite Baccanti, che conducete il fanciullo Bromio, dio figlio di dio,
Dioniso, dai monti frigi
alle ampie strade della Grecia.

Regione di collegamento tra la Grecia e l’Asia Minore, a nord-est della Macedonia, dalla Frigia proviene la più antica forma di musica greca, assimilata attraverso le colonie della Tracia. In questa terra, dove ebbero origine i riti orfici (τὰ Ὀρφικὰ τὴν καταρχὴν ἔσχε, Strabone, 10, 3, 15-16), i Greci appresero anche i riti sacri. 

— Su Orfeo, primo cantore, leggi Frammenti orfici

La musica tracia di derivazione asiatica, con i suoi strumenti che riecheggiano tra le montagne (ὄρεια δʼ ὄργανʼ ἔχοντες), imitando la natura che si sottrae ai nostri sensi, è un richiamo che provoca frenesia (μανία). 

— Sulla funzione della musica come strumento magico per i pitagorici leggi Un incantesimo esametrico

La musica, la danza, il ritmo e il canto, per il piacere che procurano e per la loro bellezza artistica, hanno la capacità di ricongiungerci con il divino. E ben a ragione, allora, possiamo affermare che (10, 3, 9):

τοὺς ἀνθρώπους τότε μάλιστα μιμεῖσθαι τοὺς θεοὺς ὅταν εὐδαιμονῶσι.
gli uomini principalmente somigliano agli dei quando sono felici.

Callimaco, Opere, a cura di G. B. D’Alessio, Bur, Milano 2023. [1] M. Fantuzzi, Convenzioni epigrafiche e mode epigrammatiche. L’esempio delle tombe senza nome, in R. Pretagostini (a cura di), La letteratura ellenistica, Edizioni Quasar, Roma 2000, pp. 163-82. [2] Antologia Palatina. Epigrammi funerari, a cura di A. Gullo, Edizioni della Normale, Pisa 2023. [3] K. Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 76-80. 

Cfr. anche F. Carpanelli, Morte e follia nel teatro eschileo, in L. Austa (ed.), The Forgotten Theatre. Mythology, Dramaturgy and Tradition of Greco‑Roman Fragmentary Drama, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2018, pp. 1-44.

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