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Platone e la condanna della magia

Sullo scorcio del secolo d’oro, all’indomani della guerra nel Peloponneso, la cultura greca inizia a non riconoscersi più nell’unità olimpica d’epoca arcaica. A partire dal V secolo, l’interesse si sposta verso un progressivo intimismo, la religione diviene fatto privato, si frammenta in una miriade di culti di provenienza greca, romana, indoiranica, egizia, fenicia cui in parte contribuisce la sofistica con il suo ripensamento dei comportamenti etici e civili. Contro questa prospettiva si pone Platone che, pur non negando la possibilità degli effetti della magia, si oppone a chi compie riti sacri al di fuori di quelli concessi dalla legge, condannando la magia cerimoniale come contraffazione delle istituzioni religiose dello stato, che invece hanno un carattere pubblico. Nulla vieterà, poi, a quella sorta di trasformazione spirituale, che Platone stesso chiama homoiosis theô, il rendersi simile al divino, di assumere nel tardo neoplatonismo anche un significato magico e taumaturgico. 

Vi sono in greco termini diversi per indicare la magia. La γοητεία (goezia, da γόης, “gemente”, “flebile”, perché le formule magiche si emettevano a bassa voce) ha il significato di stregoneria, incantesimo, fascino, ma anche inganno, impostura, seduzioneΜαγεία (μάγοςΜάγοι) con richiamo ai Magi persiani, sacerdoti, astrologi, interpreti dei sogni, ha la stessa radice indoeuropea (menq) del verbo μάσσω, impastare, preparare.

Nel primo caso, il termine compare per la prima volta nella letteratura greca in un brano del poema epico anonimo intitolato Phoronis, generalmente datato tra la fine del VII e l’inizio del VI secolo aev, dove si menzionano i nomi di tre Φρύγες ἄνδρες, uomini della Frigia, cui si attribuisce la qualifica di γόητες, maghi, incantatori, in stretto legame con Efesto, la scoperta del ferro e l’invenzione della metallurgia.

― Sul prodigioso artigiano divino, e il suo legame con la magia, leggi Le ancelle d’oro di Efesto

— Epitaffio per una sacrdotessa

Con il tempo, magia goetica va a indicare un particolare tipo di magia nera connessa con l’evocazione dei demoni. Goetia è anche il titolo della prima, e più nota, parte del Lemegeton o Clavicula Salomonis (Piccola Chiave di Salomone), un grimorio i cui primi manoscritti risalgono al XVII secolo, che contiene la descrizione di 72 demoni, il loro titolo, il rango nelle gerarchie infernali e i relativi sigilli.

In difesa della religione tradizionale

I sofisti (σοφόςσοφιστὴς) per Platone sono quelli che tramano insidie con riti celebrati in privato (τελεταῖς ἰδίαις) e altri ingannevoli espedienti (Leggi, 908 d), sono i “nuovi sapienti di oggi”, causa di tutti i mali (886 d). 

― Sui sofisti Protagora, Gorgia e Crizia leggi: L’uomo, la sua misura. Tre variazioni sul divino.

Vi sono compresi poeti, retori, indovini e sacerdoti (ποιητῶν τε καὶ ῥητόρων καὶ μάντεων καὶ ἱερέων, 885 d), mistificatori che, con la forza della persuasione, con opinioni rivestite di belle parole, vogliono far credere che gli dei non esistono, che il sole, la luna, gli astri e la terra non sono altro che terra e pietre, incapaci di curarsi delle questioni umane. 

Non tutti coloro che non credono nell’esistenza degli dei sono empi: c’è anche chi aderisce per natura a un costume di vita giusto. In ogni caso, per Platone non credere negli dei è una disgrazia, una sofferenza (πάθος, 908 c). 

Gli dei, invece, esistono e non si fanno raggirare, non sono né negligenti né corruttibili, ma si prendono cura degli uomini a prescindere dalle preghiere e dai sacrifici che si compiono per placarli e persuaderli (910 b): 

gli dei esistono e sono buoni (θεοί τ᾽ εἰσὶν καὶ ἀγαθοί) e onorano la giustizia in misura maggiore degli uomini (887 b). 

Platone pertanto invoca una legge che sancisca il divieto di compiere riti sacri in privato:

nessuno possegga luoghi sacri all’interno delle case private. Se uno intende compiere sacrifici, vada a sacrificare nei luoghi pubblici, e consegni le vittime nelle mani dei sacerdoti e delle sacerdotesse cui è affidata la purificazione di questi sacrifici; preghi con loro, e chi vuole preghi con lui (909 d-e).

E questa sia la legge: non si devono possedere cose sacre in onore degli dei nelle case private (910 b-c).

Contro la magia

Intorno alla magia (μαγγανεία) gravita tutta una serie di indovini e uomini abili e pieni di astuzie, in compagnia dei peggiori rappresentanti del genere umano, tiranni, strateghi, demagoghi, cospiratori, che per sete di ricchezze

incantano l’anima di molti, vantandosi di saper evocare i morti 

e così facendo conducono alla completa rovina privati cittadini, intere famiglie e lo stato stesso (909 b). 

La magia (γοητεία), come la parola, è una forma di inganno, e non solo con riferimento a oscuri personaggi, indovini e stregoni, ma a tutte le discipline umane. Ad esempio, nell’arte, la pittura a chiaroscuro (σκιαγραφία) è associata alla goetia che, con un artificio, un’illusione ottica, altera la nostra percezione delle ombre e dei colori (Repubblica602 d). 

I danni arrecati dalla magia sono simili a quelli causati dal veleno, la magia stessa è un veleno che agisce sulla mente oltre che sul corpo 

mediante stregonerie (μαγγανείαις), incantesimi (ἐπῳδαῖς) e sortilegi (nodi magici, καταδέσεσι), convince quelli che hanno lo sfrontato coraggio di arrecare danni di poterlo fare grazie alla magia mentre coloro che subiscono i danni sono convinti di subire terribili danni da parte di queste persone che sono in grado di operare degli incantesimi (Leggi, 933 a).

Gli ispirati incantesimi di parole

Platone non è il solo a utilizzare il termine γόης in corrispondenza di σοφιστὴς in senso dispregiativo. Demostene, in un’arringa contro uno dei propri tutori nominati dal padre, accusato di essersi impossessato del patrimonio destinato all’educazione del fanciullo e poi condannato per mala tutela, associa loratore a un sofista e a un mago (ἢ ῥήτωρ ἢ σοφιστὴς ἢ γόης, Contro Afobo 3, 32).

― Sul potere magico della parola e del canto leggi anche Un incantesimo esametrico

Ma la più bella dissertazione sulla forza persuasiva della parola è proprio di un sofista, Gorgia di Lentini. Con il pretesto di un argomento apparentemente frivolo, nell’Encomio di Elena spiega che la parola, come la magia, è un fármakon che può essere sia medicina che veleno. 

la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo è capace di compiere le cose più divine; riesce infatti e a calmare la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentare la pietà (6, 8).

Le parole seducono l’anima, sono in grado di portare gioia e liberare dalla pena così come provocare dolore e paura, blandiscono e persuadono e trascinano con la potenza del loro fascino (6, 10). La persuasione, congiunta con la parola, riesce a dare all’anima l’impronta che vuole (6, 13).

C’è tra la potenza della parola e la disposizione dell’anima lo stesso rapporto che tra l’ufficio dei farmaci e la natura del corpo. Come infatti certi farmaci eliminano dal corpo certi umori, e altri, altri; e alcuni troncano la malattia, altri la vita; così anche dei discorsi, alcuni producono dolore, altri diletto, altri paura, altri ispirano coraggio agli uditori, altri infine, con qualche persuasione perversa, avvelenano l’anima e la stregano (6, 14).

Cfr. G. L. Huxley, Greek epic poetry from Eumelos to Panyassis, Harvard University Press, Cambridge 1969. Traduzioni in Platone, Tutte le opere, a cura di E. V. Maltese, Newton Compton, Roma 2009. Sul poema perduto Phoronis: M. L. West (ed.), Greek Epic Fragments VII Vc BC, Harvard University Press, Cambridge-London 2003.

In copertina: Jean Delville (1867-1953), Lécole de Platon (Musée dOrsay)

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