
Tra i più antichi pitagorici, Empedocle di Agrigento (490-430 ca.) è stato il primo filosofo greco a indagare con maggiore ampiezza la natura in termini scientifici e misurabili, secondo una concezione organica del sapere. Sua è la divisione del mondo in quattro principi, acqua, aria, terra e fuoco, e per questo viene ricordato come “il filosofo degli elementi”. Oltre che uno scienziato, Empedocle è stato anche un poeta immaginifico ed era molto noto nell’antichità per le sue doti di veggente, guaritore e mago.
Profeta, guaritore, mago / Iniziazione pitagorica / Amore e Discordia / Empedocle mago / Un incantesimo esametrico / Musica come catarsi
Profeta, guaritore, mago
La fonte principale sulla vita di Empedocle è costituita dalla corposa biografia che Diogene Laerzio gli dedica nel libro VIII delle Vite dei filosofi (51-77).
Contemporaneo di Protagora e di Socrate, su per giù coetaneo di Euripide, più giovane di qualche anno di Sofocle e di Pericle, Empedocle di Agrigento (Acragante) visse nell’età più luminosa della cultura greca, tra la complessità e le inquietudini di un’epoca di decadenza e rinnovamento.
Empedocle appartiene alla tradizione della cosiddetta filosofia italica, che nei pitagorici della Magna Grecia e della Sicilia hanno avuto i loro massimi esponenti.
Di stirpe sacerdotale, nato da una famiglia illustre e ricca, la sua figura complessa, dalle coloriture romanzesche e i forti contrasti, è stata un enigma per gli stessi contemporanei.
Rigido democratico contro il germe della tirannide, veggente e ispirato, esperto di medicina, che tra le tante dottrine faceva parte della multiscienza di Pitagora, nonché eccellente oratore, era molto noto e stimato dalle folle di seguaci che incontrava nei suoi viaggi, uomini e donne, come egli stesso ama ricordare, acclamato come un maestro e venerato come un semidio soprattutto per le sue doti di profeta e guaritore (fr. 112, vv. 8-12):
Mi venerano uomini e donne e mi seguono
in folla [μυρίοι], per sapere dov’è la via che conduce al benessere;e vogliono gli uni gli oracoli [μαντοσύνη], altri, innumerevoli,affetti da ogni sorta di malattie,
domandano di udire la parola che guarisce [εὐηκέα βάξιν].
Tale fama è stata alimentata da quelli che i contemporanei considerarono veri e propri miracoli. Eventi straordinari che lo hanno visto protagonista, come quando riportò in vita una donna che da trenta giorni si trovava in uno stato di catalessi, senza respiro e senza pulsazioni (Diogene, Vite, VIII, 60-61).
E non è l’unico riferimento ai suoi poteri magici. Di nuovo Diogene Laerzio ne traccia una descrizione:
E tutti i filtri [pharmaka] che si producono come rimedio dei mali e della vecchiaia tu imparerai, poiché completerò soltanto per te tutti questi precetti. Saprai calmare l’impeto di venti indomabili, che si alzano sopra la terra e con le loro folate rovinano i campi; e poi di nuovo, se vorrai, riporterai le gradite brezze. E, dopo la nera pioggia, farai venire per gli uomini una opportuna secchezza, e poi dal secco d’estate farai venire acquazzoni che alimentano gli alberi, e scenderanno dall’etere. Saprai poi riportare dall’Ade il vigore di un uomo ormai finito (Vite, VIII, 59).
Empedocle è stato, oltre che un sottile filosofo, anche un poeta immaginifico, grazie a una continua ricerca di cura nella parola e nell’arte del bel parlare, abile nell’usare metafore vive e innovatrici, insieme ad altri espedienti poetici (fr. 7):
στεινωποὶ μὲν γὰρ παλάμαι κατὰ γυῖα κέχυνται
πολλὰ δὲ δεὶλ’ ἔμπαια τά τ’ ἀμβλύνουσι μερίμνας
παῦρον δ’ ἐν ζωῇσι βίου μέρος ἀθρήσαντες
ὠκύμοροι καπνοῖο δίκην ἀρθέντες ἀπέπταν
αὐτο μόνον πεισθέντες
Angusti poteri sono diffusi per le membra
molti mali li assalgono che offuscano i loro pensieri;
breve tratto di una vita, che non è vita, avendo scorto,
votati a breve destino, come un fumo si librano e dileguano.
Viene inoltre ricordato come l’iniziatore della retorica siciliana che, poi, il suo discepolo Gorgia di Leontini ha esportato ad Atene (Diogene, Vite, VIII, 58).
![]() |
Anfora attica (Wiki Commons) |
Visione mistica e un rito di purificazione
La mistica, per Empedocle, non è semplice astrazione, ma sperimentazione e conoscenza del mondo, inteso come un meccanismo vivo, con le sue simpatie e le affinità che si muovono e si agitano, soffrono e godono, negli elementi come nell’anima umana. Il mondo della natura e quello dello spirito non sono divisi, ma insieme vibrano in continui ricambi di vita.
Le opere di Empedocle sono pervase di ardore religioso e mistico. È una visione mistica che travalica l’ordine naturale, un sistema ideato non solo per spiegare il mondo da un punto di vista fisico, ma per trovare, attraverso la scienza, la storia mistica dell’universo (fr. 145):
ὄλβιος ὃς θείων πραπίδων ἐκτήσατο πλοῦτον
δειλὸς δ’ ᾧ σκοτόεσσα θεῶν πέρι δόξα μέμηλεν
Felice chi ha acquisito ricchezza di precordi [sede della conoscenza] divini, sventurato
chi coltiva una credenza oscura sugli dei.
Elementi mistici sono rintracciabili nella cultura greca a partire dal VI secolo, quando l’Attica era culla dell’orfismo. Corrente che si estese poi più ampiamente proprio in Sicilia e nell’Italia meridionale, da cui provengono le laminette orfiche con il loro oscuro linguaggio rituale.
I due poemi principali tradizionalmente ascritti all’Acragantino sono Sulla natura (Περὶ φύσεως), altrimenti chiamato Physika, φυσικός (λόγος), e le Purificazioni (Καθαρμοί), o Carme lustrale, il cui titolo richiama lo scopo del poema, cioè indicare come l’anima possa purificarsi. Di queste opere ci rimangono numerosi frammenti, per un totale di circa 450 versi.
κρηνάων ἄπο πέντε ταμὼν [ταναηκέϊ χαλκῷ]
Attingendo da cinque sorgenti [con il bronzo indistruttibile]
dove τέμνω ha il significato sia di “attingere” sia di “recidere”. Si tratterebbe di una purificazione con acqua lustrale: chi attinge da una fonte ne recide lo zampillo, che si frange nel recipiente di bronzo.
Amore e Discordia
Il mondo fisico è dominato da un’assoluta, inesorabile Necessità (Ἀνάγκη), fondata sulla collaborazione, probabilmente volontaria, fra due forze: Amore (Φιλία), o Amicizia, la finalità armonica dell’universo, e Discordia (Νεῖκος), o Contesa, il principio disgregatore. Due processi estremi di unione e dissoluzione che rispettano ciascuno le prerogative dell’altro, chiaramente definiti nel tempo e nello spazio (fr. 118, vv. 1-2):
ἔστιν ἀνάγκης χρῆμα θεῶν ψήφισμα παλαιόν
ἀΐδιον πλατέεσι κατεσφρηγισμένον ὅρκοις.
C’è un oracolo della necessità, un antico decreto degli dei,
Eterno, sigillato con ampi giuramenti.
Empedocle per primo introduce una divisione della fonte del movimento, non in una, ma in due forze contrarie (Aristotele, Metafisica, 1.985a): un ciclo cosmico dove Neikos e Philia si alternano provocando la nascita e la morte degli esseri viventi, la morte funesta e vendicatrice (θάνατον... ἀλοίτην..., fr. 11).
In realtà, niente nasce e niente muore, poiché la sostanza è indistruttibile, ma ogni forma di divenire è frutto di processi di mescolanza e separazione (fr. 10).
ἄλλο δέ τοι ἐρέω φύσις οὐδενός ἐστιν ἁπάντων
θνητῶν οὐδέ τις οὐλομένου θανάτοιο τελευτή
ἀλλὰ μόνον μίξις τε διάλλαξίς τε μιγέντων
ἐστί φύσις δ’ ἐπι τοῖς ὀνομάζεται ἀνθρώποισιν.
Ma un’altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nessuna delle cose mortali, né fine alcuna di morte funesta,
ma solo c'è mescolanza e separazione di cose mescolate,
che fra gli uomini si chiama nascita.
Amore e Discordia sono in eterno conflitto, in una lotta alterna, fino a un termine provvisorio in cui l’Amore che avvince (σχεδύνην [δὲ] φιλότητα, fr. 36) supera Discordia. E la dolorosa vita dell’universo si acquieta (fr. 40, vv. 7-8):
ἐν δὲ κότῳ διάμορφα καὶ ἄνδιχα πάντα πέλονται
σὺν δ’ ἔβη ἐν φιλότητι καὶ ἀλλήλοισι ποθεῖται.
Nell’Odio tutto è difforme e contrastante, ma nell’Amore
tutto si riunisce e ogni cosa è colta dal desiderio dell’altra.
Dopo un determinato periodo, però, Discordia torna a dissolvere i legami creati nel periodo precedente e tutto ricomincia daccapo, nel tempo infinito.
C’è stata un’età dell’oro in cui l’Amore era completamente vittorioso e gli uomini adoravano solo Afrodite che dona la vita (Ζείδωρον, fr. 116), Afrodite che guarda con occhi d’amore (γόμφοις ἀσκήσασα καταστόργοις Ἀφροδίτη, fr. 85). A lei venivano offerti doni non cruenti, in particolare immagini sacre e libagioni di miele (μελίσπονδα), che richiamano il vegetarianesimo pitagorico (frr. 115 e 117):
Ares non era ancora dio tra essi, né Kydoimos [Κυδοιμός, personificazione del clamore della battaglia]
né era re Zeus, né Chronos, né Posidonema solo Cipride Regina [Κύπρις Βασίλεια]...Lei si propiziavano con statue sacre [εὐσεβέεσιν ἀγάλμασιν]e con immagini dipinte e tanti tipi di profumie offerte di pura mirra e odoroso incensoe spargendo al suolo libagioni di biondo miele.Non si macchiavano ancora gli altari con il sangue di torima il più grande abominio era considerato dagli uomini,strappata l'anima dai corpi, divorarne le nobili membra
e tutti erano docili e benevoli con gli umani,
le fiere e gli uccelli, e fiamma ardeva di mutuo amore.
Amore e Discordia sono anche i responsabili della continua battaglia tra malattia e salute, dolore e gioia nel corpo umano. Le strutture dei corpi, le ossa, gli organi, sono invece opere divine di perfezione da parte di Amore, una divinità che tutto compone in armonica proporzione (fr. 147),
che con veloci pensieri il vasto universo percorre.
Nel continuo disgregarsi delle cose, vengono emesse particelle che affluiscono al cervello attraverso sottili canali, recando le sensazioni dall’esterno. La vista e l’olfatto ne sono la prova più manifesta.
La teoria delle sensazioni, come quella della respirazione e della circolazione del sangue, si basa sulla “dottrina dei pori” ed è fondata su uno dei primi esperimenti della scienza greca, un vero e proprio passo in avanti nel campo della fisiologia.
Dopo la travagliata vita terrena, l’anima umana torna in pace in un nuovo cosmo concepito in termini mistici come un dio infinito, una concezione del tutto nuova in Grecia rispetto alla molteplicità di intelligenze divine distinte nelle loro personalità.
![]() |
Empedocle in un’incisione attribuita a H. David, XVII secolo (via Jstor) |
La dottrina degli elementi
Empedocle ritenne che il principio di ogni cosa non dovesse essere individuato in uno solo degli elementi — per esempio, l’acqua per Talete, l’aria per Anassimene, il fuoco per Eraclito —, ma in tutti e quattro gli elementi insieme, in una molteplicità originaria, che egli chiamò radici (ῥιζώματα, fr. 22):
τέσσαρα γὰρ πάντων ῥιζώματα πρῶτον ἂκουε·
Ζεὺς ἀγρὴς Ἣρη τε φερέσβιος ἠδʹ Ἀιδωνεύς
Νῆστίς θʹ͵ ἣ δακρύοις τέγγει κρούνωμα βρότειον
Ascolta anzitutto le quattro radici di tutte le cose:
Zeus lo splendido [il fuoco], Hera la vivificante [l’aria], poi Edoneo [la terra]
e Nesti [l’acqua], che con lacrime alimenta la sorgente mortale.
Forme eterne della coscienza, ingenerati (ἀγένητα, fr. 30), gli elementi talvolta si mescolano insieme grazie all’avvincente forza di Amore, talvolta sono divisi dalla Discordia, ma non smettono mai di trasformarsi, come un ordinamento universale e perpetuo, dando armonia alle creature (fr. 71):
[...] come dalla mescolanza di acqua, terra, etere e sole [ἠελίου]nacquero tante forme e colori di esseri mortali, quanti adessone esistono, in armonia per opera di Afrodite.
L’unità delle quattro radici prodotta da Armonia è concepita come uno Sfero circolare (fr. 14):
οὐ γὰρ ἀπὸ νώτοιο δύο κλάδοι ἀίσσοντα
οὐ πόδες οὐ θοὰ γοῦν’ οὐ μήδεα γεννήεντα
[...]
ἀλλ’ ὅ γε πάντοθεν ἶσος [ἑοῖ] καὶ πάμπαν ἀπείρων
σφαῖρος κυκλοτερὴς μονίῃ περιηγέι γαίων
Ma dappertutto uguale [a sé stesso] e assolutamente infinito è lo Sfero circolare, che gode della solitudine che tutto l’avvolge.
L’uomo è in continua comunicazione con i quattro elementi poiché è costituito dalla stessa sostanza cosciente del cosmo, partecipe della sua stessa natura (fr. 142):
ἤδη γάρ ποτ’ ἐγὼ γενόμην κοῦρός τε κόρη τε
θάμνος τ’ οἰωνός τε καὶ [ἐξ ἁλὸς ἔμπορος] ἰχθύς
Perché ci fu anche un tempo che sono stato un giovane e una ragazza, e un virgulto e un uccello e uno squamoso pesce del mare.
La dottrina dei demoni
Il δαίμων è la divinità che sta nel mezzo e regge ogni cosa, una forza che opera sulla materia spingendo gli esseri alla generazione che è all’origine dell’Amore. Un demone può commettere degli errori, macchiarsi di un delitto di sangue o di spergiuro, e allora è destinato a cadere nella materia dando così inizio al corso della storia (fr. 47):
αὐτὰρ ἐπεὶ κατὰ μεῖζον ἐμίσγετο δαίμονι δαίμων
ταῦτά τε συμπίπτεσκον ὅπῃ συνέκυρσεν ἕκαστα
ἄλλα τε πρὸς τοῖς πολλὰ διηνεκῆ ἐξεγένοντο
Ma dopo che demone sempre più si fu mescolato a demone
queste si combinavano insieme, come ciascuna si incontrava,
e molte altre, oltre a queste, scaturivano continuamente.
Nella demonologia empedoclea, il demone assume un valore religioso e morale, è l’anima in senso mistico.
La caduta, però, non è frutto di una “colpa”, un peccato in senso etico. È il fato, forza oscura, indefinibile e immanente, che determina gli avvenimenti.
Gli elementi hanno origine grazie alla natura e al caso, non all’intervento di un dio né alla tecnica, mossi a caso (τύχηι, cfr. Platone, Leggi, 889b), ciascuno secondo la propria inclinazione. Circostanza, questa, che probabilmente offriva prospettive di speranza ai seguaci del pensiero religioso di Empedocle.
E se il δαίμων è l’anima del mondo, il termine ψυχή, nei frammenti che ci sono giunti, compare solo una volta, nel Poema lustrale e con l’accezione generica di “vita” piuttosto che di anima.
Le anime umane superiori, come quelle dei sapienti, dei veggenti e dei poeti, possono ascendere al rango di divinità (frr. 143-144).
εἰς δὲ τέλος μάντες τε καὶ ὑμνόπολοι καὶ ἰητροί
καὶ πρόμοι ἀνθρώποισιν ἐπιχθονίουσι πέλονται
ἔνθεν ἀναβλαστοῦσι θεοὶ τιμῇσι φέριστοιἀθανάτοις ἄλλοισιν ὁμέστιοι αὐτοτράπεζοι
ἀνδρείων ἀχέων ἀποκλήροι ἐόντες ἀτειρεῖς
E alla fine diventano veggenti e poeti
e medici e capi per gli umani che abitano la terra;e da essi germogliano dei, per onore supremi.Condividono dimora e mensa con gli altri immortalinon partecipi delle sofferenze umane, indistruttibili.
La natura dell’anima-demone, però, non è precisata. Potrebbe trattarsi di “particelle” di Amore che, separate dall’irrompere di Neikos, sono costrette a incarnarsi in corpi mortali, imprigionate finché Neikos, smembrando i corpi, consente loro di ricongiungersi a Philia. Ed il processo ciclico inizia di nuovo.
Per certi versi, questi demoni sono simili all’antico εἴδωλον della religione omerica in quanto entità indeterminate, assimilate alle anime dei defunti che sono solo ombre vane, parvenze senza potere ed energia che conducono nell’Ade un’esistenza senza conforto. Per Empedocle, tuttavia, l’anima non è solo un pallido riflesso di ciò che è stata in vita, ma ha anche un valore religioso e morale, e di questi valori ne sono investiti anche i demoni.
L’ipotesi è che la demonologia trovasse ampio spazio nel proemio dei Katharmoi e servisse a giustificare di fronte al pubblico la fonte del sapere del filosofo-poeta, conferendogli autorevolezza.
Iniziazione pitagorica
Sul modo in cui Empedocle venne a conoscenza delle dottrine pitagoriche la tradizione è incerta. Pur non annoverandolo tra i pitagorici veri e propri, ma tra gli uditori di Pitagora («ascoltò le lezioni di Pitagora», Vite, VIII, 50), Diogene Laerzio decide comunque di legare Empedocle alla scuola pitagorica presentando insieme, uno dopo l’altro, maggiori esponenti della filosofia italica.
E se Empedocle non poté ascoltare direttamente il maestro (il primo nato nel 490 o 492, l’altro morto nel 494), secondo alcuni fu educato da Telauge, figlio di Pitagora e suo successore (ivi, 43).
Alcune allusioni, non di più, possono essere tratte dai frammenti. Forse Empedocle si riferiva proprio a Pitagora nelle Purificazioni, ricordandone la multiscienza e la memoria mistica, che proprio nella dottrina pitagorica assume un valore specifico (fr. 133):
ἦν δέ τις ἐν κείνοισιν ἀνὴρ περιώσια εἰδώςὃς δὴ μήκιστον πραπίδων ἐκτήσατο πλοῦτονπαντοίων τε μάλιστα σοφῶν ἐπιήρανος ἔργωνὁππότε γὰρ πάσῃσιν ὀρέξαιτο πραπίδεσσινῥεῖ’ ὅ γε τῶν ὄντων πάντων λεύσσεσκεν ἕκαστονκαί τε δέκ’ ἀνθρώπων καί τ’ εἴκοσιν αἰώνεσσιν
Vi era tra loro un umano di sapienza sovrumanache acquisì immensa ricchezza di senno,eccellente in opere sagge di ogni genere:quando tendeva tutte le forze del suo intellettovedeva facilmente tutte le cose che sonoanche per dieci o venti generazioni di uomini.
Per i pitagorici il mondo era buono perché armonico e fatto di numeri. Così Empedocle, da fisico, cerca la bontà semplice e armonica del mondo.
Un incantesimo esametrico
L’antica poesia ebbe strette relazioni con il vaticinio e la sacra inspirazione; il verso, con l’incantamento (si pensi al senso antico del termine carmen) – e in tema di letteratura […], l’elemento simbolico e iniziatico informò di sé non di rado non solo il mito, la saga e la fiaba tradizionale, ma anche i racconti epici, la letteratura cavalleresca e perfino quella erotica.(J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni F.lli Bocca, Milano 1951, p. 147)
Tra i tanti aneddoti tramandati attorno alla venerabile figura di Empedocle, ve n’è uno riportato da Giamblico (Vita pitagorica, 25, 113) che narra di un incantesimo pronunciato dal filosofo per salvare un amico che versava in una situazione di pericolo.
Un giorno Anchito, ospite in casa di Empedocle, si trova a essere minacciato da un giovane che lo accusa della morte di suo padre. Allora Empedocle, avvicinandosi al ragazzo arrabbiato e accecato dal dolore,
senza indugio, mutando tono sulla lira e accordando un'armonia distensiva e tranquilla, intonò subito il verso “che lenisce dolore e collera e che fa obliare ogni male”, come il poeta [Omero], e salvò dalla morte Anchito e dall’omicidio il giovane.
Immediatamente e come per effetto di un incantesimo, la recitazione di quel particolare verso ha saputo calmare la collera del ragazzo facendolo desistere dai suoi propositi di vendetta. Il verso è:
νηπενθές τ᾽ ἄχολόν τε
(nepenthes t’acholon te, “che allevia e addolcisce”), ed è lo stesso usato dal poeta omerico nel IV libro dell’Odissea (v. 221) per descrivere il potere magico della pozione di Elena, un farmaco, appunto, che lenisce il dolore e la collera e fa obliare ogni male.
Le ipotesi sono due. Empedocle potrebbe aver citato un verso di Omero (cronologicamente anteriore) al quale erano attribuiti poteri magici e soprannaturali, considerata l’autorevolezza della fonte. Ma non è escluso che il poeta dell’Odissea abbia usato una formula già nota e usata nei testi e nelle iscrizioni magiche più antiche, adattandola alla sua narrazione. Entrambi, cioè, possono aver attinto a una tradizione comune che, tra i diversi generi poetici, oltre all’epico narrativo, includeva anche l’incantesimo, usato da Empedocle per salvare la vita del suo amico e da Omero per descrivere il potere magico della pozione di Elena.
Musica come catarsi
Non solo la parola, nel racconto di Giamblico, ha l’effetto magico di lenire il dolore e calmare la rabbia, ma la parola unita alla musica, poiché esplicitamente fa riferimento a una melodia distensiva e tranquilla accordata su una lira. E infatti, commenta poco oltre Giamblico (25, 114),
tutta quanta la scuola pitagorica provocava il cosiddetto adattamento [ἐξάρτυσιν], l’armonizzazione [συναρμογάν] e il trattamento [ἐπαφάν] con alcune musiche adeguate, modificando utilmente gli stati d’animo e suscitando i sentimenti contrari.
E ancora, ci informa Giamblico, la cura attraverso la musica delle malattie del corpo e dello spirito era chiamata dai pitagorici propriamente catarsi (καθάρσεις, 25, 110), poiché era in grado di rendere l’animo armonioso e ordinato. Un particolare esercizio musicale era praticato in primavera, recintando peani con l’accompagnamento della lira, mentre per tutto il resto dell’anno la musica era usata come mezzo terapeutico (ἐν ἰατρείας τάξει).
Ogni melodia riesce a toccare “corde” diverse diventando un efficace rimedio contro i disturbi psichici (τὰ ψυχῆς πάθη, 25, 111), ad esempio per guarire gli stati depressivi, gli eccessi d’ira, di eccitazione, i desideri smodati e ogni altra turba.
Fondamentale strumento di iniziazione e catarsi spirituale, anche con virtù terapeutiche, per i pitagorici la musica era ritenuta capace di placare le emozioni violente e ogni altro turbamento dell’animo, un vero e proprio ἐπωδή, un incantesimo, un mezzo di suggestione magica in grado di influire sulle condizioni psicofisiche dell’individuo. Come nel caso di Empedocle, che recitando un esametro accompagnato dalla lira salvò il proprio ospite dalla follia omicida.