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Nigidio Figulo astrologo e mago

Autore di molte opere per noi perdute, erudito in grammatica, scienze naturali, teologia, divinazione e magia, di Publio Nigidio Figulo non restano che poche testimonianze frammentarie, ma sufficienti a delineare l’interessante figura di un coltissimo e stimato scienziato-filosofo, giudicato al pari di Varrone per conoscenza enciclopedica, ma dal carattere più riservato e segreto. Esponente dei circoli colti romani del I secolo aev, amico di Cicerone e partigiano di Pompeo contro l’instaurazione del potere assoluto, Nigidio è stato promotore di un vero e proprio risveglio del misticismo pitagorico a Roma in età tardo repubblicana e imperiale, “contaminato” dalle teorie su palingenesi e conflagrazione cosmica di origine orientale.

Nigidio e il suo tempo / Oscurità e sottigliezza / Dramma cosmico e rinnovamento / Il mito apollineo e solare / Lari, Penati e gli dei di Samotracia

Nigidio e il suo tempo

Oltre che dotto studioso di diverse discipline, Nigidio fu anche attivo nella vita pubblica del suo tempo, schierandosi in prima linea per la causa repubblicana nella guerra civile in favore di Pompeo ed esercitando una notevole influenza negli affari politici durante le ultime lotte che precedettero l’instaurazione dell’impero. 

Ricoprì la carica di tribuno nel 60-59 aev, poi pretore nel 58 e legato in Asia dal 52, dove, probabilmente, apprese molte delle sue conoscenze magiche e astrologiche. Fu inoltre uno dei senatori scelti da Cicerone per prendere nota delle deposizioni dei testimoni della cospirazione di Catilina. Costretto da Cesare a lasciare il paese, morì in esilio nel 45 (o 44) aev.  

A Nigidio si deve il risveglio dell’antica filosofia italica di stampo pitagorico in età tardo repubblicana e imperiale. Un impulso che fu tutt’altro che una piccola scintilla subito spenta, ma che al contrario diede origine a scuole e circoli più o meno segreti come la secta dei Sestii — la quale sopravvisse alcuni decenni e di cui si conservano poche testimonianze, tra cui quella, entusiastica, di Seneca (Sextiorum nova et Romani roboris sectaQuaestiones naturales, 7, 32, 2).

Due correnti intellettuali diverse e contrapposte animavano in quel tempo Roma: da una parte il misticismo pitagorico rimesso in voga da Nigidio Figulo, e poi c’era il materialismo epicureo, crudo, concreto, che predicava la ricerca del piacere come sommo bene, seguito, ad esempio, da Lucrezio.

— Sull’estetica epicurea nel poema di Lucrezio leggi anche Venus alma genetrix. Invocazione a Venere nel De rerum natura.

Oscurità e sottigliezza 

Sono tante le attestazioni di stima nei confronti di Nigidio da parte degli scrittori e dei letterati suoi contemporanei o successivi. L’amico Cicerone (Epistulae ad familiares, 4, 13) lo definisce l’uomo più eminente del tempo per cultura e purezza di carattere (uni omnium doctissimo et sanctissimo). Macrobio (Saturnaliorum convivia) ricorda Nigidio come uno studioso insigne in tutti i rami dello scibile (homo omnium bonarum artium disciplinis egregius, IV, 8, 8), il più grande investigatore dei fatti naturali (maximus rerum natitralium indagator, III, 16, 7).

E ancora, Aulo Gellio (Notti attiche, 3, 12), nel II secolo ev, lo chiama doctissimus vir (3, 12), uomo di grande eminenza nel perseguimento delle arti liberali (homo in studiis bonarum artium praecellens), che Cicerone stimava molto per il suo talento e la sua cultura (quem M. Cicero ingenii doctrinarumque nomine summe reveritus est, 11, 11).

Gli scritti di Nigidio sono andati interamente o quasi perduti. Alcuni frammenti ci sono pervenuti tramite Aulio Gellio e Servio. Macrobio riferisce di due trattati, uno sugli animali (de animalibus) e un altro sulle viscere sacrificali (de extis). Aulo Gellio ricorda i Commenti grammaticali (Commentariis grammaticis). Inoltre, è citato un libro sui venti (de ventis: Giovanni Lido, Liber de ostentis, o interpretazione dei segni celesti). Si occupò ampiamente anche di teologia: a sua firma si ricorda un vasto trattato sugli dei (de diis), che si componeva di almeno 19 libri.  

Nonostante la popolarità e la comprovata dottrina, i libri di Nigidio non ebbero tuttavia una diffusione e una ricezione ampie come quelli di Varrone, che erano letti e conosciuti da tutti, ma al contrario rimasero appannaggio soltanto dei più dotti. La causa va probabilmente ricercata nello stile astruso che conferiva ai suoi testi un carattere riservato e segreto, di difficile lettura. 

Che questo stile fosse il risultato di una scelta consapevole o meno non è chiaro, ma è probabile che il nostro autore, anche per via delle inimicizie politiche di cui era circondato, si trovasse costretto a insegnare in segreto e a pochi fedeli amici le sue conoscenze, racchiudendole in un simbolismo oscuro

Dramma cosmico e rinnovamento

Mentre a Roma, insieme alla repubblica, decadevano i culti ufficiali, in Oriente, in particolare Asia Minore ed Egitto, diventavano sempre più numerosi e influenti certi personaggi, variamente chiamati Magi, Caldei, Matematici, Genetliaci, che andavano diffondendo insegnamenti intorno alla palingenesi dell’uomo e alla conflagrazione dell’universo (ἐκπύρωσις, “bruciare completamente”). 

In molti ricordano Nigidio Figulo per il suo sapere in questi campi, probabilmente appreso durante il soggiorno in Oriente per motivi di servizio. Dione Cassio (Storia romana XLV, I, 1) ne parla così:

Costui superava di gran lunga tutti i contemporanei nella conoscenza dell’ordinamento del cielo e della particolare influenza che hanno le stelle, sia da sole, sia in congiunzione o in accordo o in contrasto con le altre, e per questo veniva accusato di esercitare pratiche occulte.

Lucano, altro strenuo difensore della repubblica contro le tendenze assolutistiche che stava iniziando a manifestare l’impero, lo elogia per essersi dedicato alla conoscenza degli dei e dei misteri del cielo (cui cura deos secretaque coeli / nosse fuit), all’osservazione delle stelle e allo studio del ritmo che muove gli astri, che neanche l’egiziana Menfi, con i suoi coltissimi sacerdoti, sarebbe riuscita ad eguagliare (Pharsalia, I, vv. 639 ss.).

Nella Pharsalia, o Bellum civile, che si muove sullo sfondo tetro della lotta tra Cesare e Pompeo, Nigidio è evocato da Lucano mentre pronuncia una oscura profezia, tra le tante, spaventose, che si susseguirono dopo che Cesare ebbe attraversato vittorioso il Rubicone: presagi dell’imminente sventura e l’inizio di un dramma cosmico-storico che stava per porre fine a Roma e all’intera specie umana. 

Allo stesso tempo, però, Nigidio riteneva che la catastrofe cosmica, reale o simbolica, potesse non essere fatale e che il rinnovamento, la metacosmesis, fosse ugualmente possibile (vv. 644 ss.):

se sono i fati a muovere ogni cosa, per Roma e per il genere umano si prepara una 
rovina ormai imminente. La terra si spalancherà e le città sprofonderanno 
oppure l’aria infuocata distruggerà la zona temperata? L’infida terra 
negherà i suoi prodotti oppure tutte le acque saranno avvelenate? Qual 
disastro mai state approntando, o dei, con quale rovina vi apprestate ad 
incrudelire? L’estremo giorno di una lunga serie si è raccolto in un 
momento solo. Se nella parte più alta del cielo il gelido e infausto 
pianeta Saturno
 (frigida coelo Stella nocens nigros Saturni) accendesse neri fuochi, l’Acquario verserebbe piogge da 
diluvio universale e l’intera terra sarebbe sommersa dalle acque. Se ora, 
o Febo, incalzassi con i tuoi raggi il crudele leone di Nèmea, tutto il 
mondo sarebbe preda del fuoco e l’etere brucerebbe arso dal tuo carro, che 
scorre sotto la sua volta. Ma questi fuochi non appaiono. Tu, o Gradìvo, 
che accendi il minaccioso Scorpione dall’ardente coda e ne infiammi le 
chele, che cosa appresti di spaventoso? Infatti il mite Giove (mitis Iuppiter) è nascosto 
profondamente nella zona occidentale, il favorevole pianeta Venere non 
brilla più, il veloce Cillenio ferma il suo moto: il solo Marte occupa il 
cielo. Per quale motivo gli astri hanno abbandonato i loro itinerari e 
sono trascinati ed errano oscuri per l'universo (mundo obscura feruntur), mentre brilla in maniera 
eccessiva il fianco di Orione armato di spada? Incombe il furore delle 
armi e il potere del ferro sconvolgerà ogni diritto con la violenza, sarà 
considerato un atto di valore il delitto sacrilego e questa follia durerà 
per molti anni
. Che giova invocarne la fine dagli dei? Codesta pace giunge 
con un padrone. Porta avanti, o Roma, una serie ininterrotta di mali e 
continua — libera ormai soltanto per la guerra civile — per lungo tempo la 
strage!

— Sul legame tra Lucano e la magia, sullo sfondo delle vicende legate alla guerra civile, leggi anche Una scena di necromanzia nella Pharsalia di Lucano.

Il mito apollineo e solare

L’ecpyrosis, la conflagrazione dell’universo, si verifica al compimento di un ciclo, cioè allo scadere dei quattro regni di Saturno, Giove, Nettuno e Plutone (primum regnum Saturni, deinde Iovis, tum Neptuni, inde Plutonis). 

L’ultimo dio del ciclo mondano, come dicono i Magi (ut Magis), è  il Sole-Apollo, cui spetta di bruciare l’universo insieme agli antichi uomini per dar vita a un’umanità purificata, redente da colpe, in una nuova età dell’oro (dal libro IV de diis, cit. in Servio, ad ecloga IV, 10).

In un altro passo del suo trattato sugli dei, citato questa volta da Macrobio (I, 9, 6-8), Nigidio si sofferma sulle caratteristiche solari di Giano, “gemino” o duplice perché signore di ambedue le porte celesti, natura che sarebbe confermata dall’esistenza in Grecia di un Apollo Thyràios (Θυραῖoς, protettore della porta), che ha giurisdizione sulle entrate e sulle uscite e a cui si innalzano altari davanti alle porte di casa. Lo stesso Apollo, sottolinea inoltre Nigidio, assume il nome di Agyièus (’Aγυιεὺς, protettore delle vie) in quanto nume tutelare delle strade cittadine (viis praepositus urbanis). Allo stesso modo, Diana come Trivia ha la giurisdizione su tutte le strade.

Nigidio, anzi, avrebbe espressamente identificato Apollo con Giano (e Diana con Giana: pronuntiavit Apollinem Ianum esse Dianamque Ianam, cioè Iana, divenuta Diana per l’aggiunta della “d” davanti alla i eufonica). 

The Book of the Stars, Adler Planetarium (via Google Arts & Culture)

Grazie alla conoscenza del mondo fisico e degli astri, dei loro movimenti e dei loro influssi anche in relazione alla vita umana, Nigidio ebbe fama di grande indovino, in grado di interpretare i segni del cielo e della natura per trarne delle predizioni. 

Ne è un eloquente esempio un episodio, celebre tra i contemporanei e riportato sia da Svetonio sia da Dione Cassio, per cui Nigidio avrebbe vaticinato in termini inequivocabili, nelludire lannuncio della nascita di Ottaviano Augusto, il potere assoluto che sarebbe ricaduto nelle mani del futuro imperatore

Un giorno, mentre in Senato si discuteva laffaire Catilina, Ottavio, padre di Ottaviano, si presentò a seduta già cominciata annunciando la nascita del figlio. Allora è cosa nota a tutti” (nota ac vulgata res est) che, appreso il motivo del ritardo, e quando seppe anche lora in cui era avvenuto il parto, Nigidio affermò: è nato il padrone del mondo (dominum terrarum orbi natum, Svetonio, Vita dei CesariAug. 94, 5). 

Lari, Penati e gli dei di Samotracia

Nigidio conosceva molto bene la tradizione etrusca. Gli sono infatti attribuite, tra le altre opere, le traduzioni in latino del liber fulguralis da un originale etrusco, nonché di un calendario “brontoscopico”, indicatore dei significati dei colpi di tuono durante tutto l’anno.

È proprio sulla base di una teoria di origine etrusca (disciplinas Etruscas sequens) che Nigidio distingue quattro tipi di dii Penati: quelli di Giove, quelli di Nettuno, quelli degli dei inferi e infine quelli degli uomini, ovvero gli spiriti celesti, acquatici, terrestri (elementali) e umani (Arnobio, Adversus nationes III, 40):

genera esse Penatium quattuor et esse Iovis ex his alios, alios Neptuni, inferorum tertios, mortalium hominum quartos.

I Penati sono gli dei propri dei Romani (Romanorum propriis, id est Penatibus), che li accompagnarono nella fondazione stessa della città (Macrobio, III, 4, 6):

Nigidio nel libro XIX sugli dei indaga se gli dei Penati dei Troiani sono Apollo e Nettuno, che secondo la tradizione costruirono loro le mura, e se Enea li trasportò in Italia.

Nigidius enim de dis libro nono decimo requirit num di Penates sint Troianorum Apollo et Neptunus, qui muros eis fecisse dicuntur, et num eos in Italiam Aeneas advexerit.

Anche i Lari, divinità protettrici delle strade e delle vie (vicorum atque itinerum deos), guardiani di case e abitazioni (tectorum domumque custodes), avrebbero affinità con il ciclo mitico di Troia.

Nigidio, infatti, identifica i Lari con i Cureti, che si dice abbiano nascosto il pianto di Giove bambino con il rumore dei cembali, ed anche con i cinque Digiti di Samotracia, venerati sull’isola, chiamati dai Greci Idaeos Dactylos, i Dattili Idei, provenienti cioè dal monte Ida (Arnobio, III, 41), figure divine molto antiche e complesse, che si dice fossero nate dalle manciate di terra del monte Ida che Zeus avrebbe ordinato alle proprie nutrici di gettarsi alle spalle. 

Una buona parte delle fonti di età imperiale sembra confermare l’accostamento e la sovrapposizione tra Lari, Dattili, Cabiri e Dioscuri, cioè tra alcuni culti fondanti dello Stato romano e gli dei di Samotracia, nel quadro, ancora una volta, della leggenda troiana, in cui l’isola riveste particolare importanza come mitica terra all’origine della storia di Roma.

In generale, il rapporto di Nigidio con la religione è racchiuso in un verso ex antiquo carmine, “da un antico poema”, contenuto nei Commenti grammaticali e registrato da Aulo Gellio (IV, 9), che recitava:

religentem esse oportet, religiosus ne fuas.
devi essere accurato osservante, per non essere bigotto.

Vale a dire, non una religiosità eccessiva e superstiziosa (qui nimia et superstitiosa religione sese alligauerat), espressa dal suffisso osus che in tal genere di vocaboli, come vinosusmulierosus, indica una smodata abbondanza, ma una devozione basata sulla conoscenza profonda della tradizione e dei suoi significati. 

F. Demma, Vulcano, Ulisse e Demetra. Variazioni latine sul tema delle origini, in “Mélanges de l’École française de Rome – Antiquité”, 133, 1, 2021, pp. 97-139; M. Eliade, Il mito dell'eterno ritorno, Edizioni Borla, Torino 1975; G. S. Gasparro, Introduzione alla storia delle religioni, Laterza, Roma-Bari 2016; A. Gianola, Publio Nigidio Figulo astrologo e mago, Società Teosofica, Roma 1906; J. Heurgon, Vita quotidiana degli Etruschi, Mondadori, Milano 1992; Istituto di Filologia Classica, Graeco-Latina Mediolanensa, Cisalpino-La Goliardica, Milano 1985; I Lana, La scuola dei Sestii, in “Publications de l’École Française de Rome”, 161, 1992, pp. 109-24.

Immagine di copertina: Jan van Eyck, Ritratto di uomo, 1433 (via Wiki Commons) #Pitagora

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