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La verità, vi prego, sull’amore

I misteri più alti trascendono la comprensione e devono essere appresi in uno stato di oscurità in cui le distinzioni della logica svaniscono. Perciò la forma suprema dell’amore è cieca, perché è al di sopra dell’intelletto. È questa l’immagine del Cieco Cupido, dio dal carattere volubile, che annebbia l’intelligenza dell’uomo eccitando i suoi appetiti animali, ma anche in grado di esaltarlo alle più alte vette della beatitudine. Sulle funzioni e la natura di Eros, dio o demone intermediario tra gli dei e gli uomini, si è ampiamente interrogato Platone, aprendo la strada alle esegesi di Plotino, strenuo difensore della tradizione greca, in un’età, quella tardo imperiale, impregnata del più vario sentire mistico-religioso mentre il paganesimo si sta avviando a grandi passi verso una triste decadenza.

Carlos Palma Cruchaga (via Art Station)

La via iniziatica dell’Eros / L’amore tiranno / Il sesso androgino / Virtù d’amore / «Un gran demone, o Socrate» / Amore, un’aspirazione perenne

La via iniziatica dell’Eros

Il Simposio, composto da Platone attorno al 380 aev, è, appunto, un banchetto in cui a ciascun commensale viene chiesto di parlare dell’amore, tessendone a turno le lodi. I partecipanti — filosofi, medici, poeti — rispecchiano tutta quanta la società greca di allora, o almeno la società ideale di Platone, una società senza donne, perché tra i convitati non ve ne sono. Anche se, per certi versi, la protagonista è proprio una donna, evocata ma non presente, la sacerdotessa Diotima maestra di Socrate, della quale viene riportato il discorso. 

Si può dire quindi che tutta l’opera è un trattato sull’amore, un cammino articolato in più tappe in progressiva ascesa a seconda dei diversi modi di porsi di fronte all’eros, dall’esperienza più immediata fino alla rivelazione dei misteri più segreti.

L’amore è un procedimento intellettuale: dall’amare esclusivamente il corpo di una persona, l’obiettivo è quello di superare l’atteggiamento erotico limitato alla sfera del sensibile, allentare il desiderio fino ad arrivare ad amare il “bello” in quanto modello concettuale, al momento della visione mistico-iniziatica, e cioè alla vera felicità dell’uomo.   

L’amore tiranno

In questo senso, continenza sessuale significa non sottostare al cupo e sfrenato dominio dell’eros tyrannos, che rappresenta lo stadio terminale della decadenza umana, la fase estrema di degenerazione della psiche e della polis

Al contrario, l’eros, secondo il Fedro e il Simposio, può e deve essere rieducato, “sublimato” in modo che la sua energia venga indirizzata verso il desiderio di verità e giustizia. In questo modo, l’eros filosofico, rivolto tanto verso la verità dell’essere quanto verso la giustizia umana, viene a costituire una mediazione efficace fra i due mondi.

Si tratta tuttavia di un amore sui generis, o meglio, gli interlocutori cui Platone dà la parola nel suo dialogo si riferiscono (quasi) esclusivamente all’amore omoerotico, in particolare tra persone di sesso maschile. 

Celebre è il passo in cui Pausania, il secondo convitato a parlare (Simposio, 181a ss.), distingue tra una Afrodite Pandemos (Πάνδημος), volgare, popolare, che mira solo al possesso del corpo dell’altra persona e opera alla cieca (ἐξεργάζεται ὅτι ἂν τύχῃ), e una Afrodite Ourania (Οὐρανία), celeste, specificamente omosessuale, riservata ad ambienti socialmente più elevati. 

Per Plotino (Enneadi, III, 5, 2-3), che elaborerà le idee platoniche, Afrodite celeste non ha madre né relazione con i matrimoni, è «anima divinissima nata direttamente da un essere puro» (Chronos), una «ipostasi separata» che non ha legami con il mondo terreno perché non partecipa della materia. Guidata da Chronos e suo padre Urano, questa Afrodite genera Eros con un puro atto di contemplazione verso l’alto. Eros stesso è, pertanto, 

un’ipostasi eternamente diretta verso un’altra bellezza e compie la funzione di intermediario tra il desiderante e il desiderato.

L’altra Afrodite invece è figlia di Zeus e di Dione, è «l’Anima del mondo» che presiede agli umani connubi.

La distinzione delle due divinità si basa sull’assunto per cui, per Platone, gli uomini sono più forti e intelligenti e aspirano a ciò che per natura è più energico e razionale.

La stessa educazione si configurava come un rapporto di tipo erotico fra maestro “amante” e discepolo “amato”: il desiderio dell’unione dei corpi può così essere convertito in quello dell’unione delle anime nella comune ricerca di una vita più bella e più giusta.

La procreazione di figli non è altro, per Platone, che una illusione di immortalità, un modo per ottenere un duraturo ricordo e la felicità nel tempo a venire, una via verso la immortalizzazione personale (Fedone, 208e ss.):

Gli dei produssero l’amore per l’unione sessuale, formando in noi un essere vivente provvisto di anima, e un altro nelle donne [...]. Il midollo [seminale], che è dotato di anima e ha trovato la via per esalare il respiro, produce là dove l’ha trovata il desiderio vitale dell’emissione dando luogo all’amore della generazione. Perciò negli uomini la natura dell’organo sessuale si è formata disobbediente e imperiosa, come un animale che non vuol sentire ragione, e cerca di dominare su tutto per i suoi violenti desideri; e nelle donne gli organi detti matrice e utero, per le stesse ragioni, si comportano come un animale interno al corpo desideroso di procreare figli (Repubblica, 91b-c).

In questo racconto mitico della formazione del complesso psico-somatico, quello che importava soprattutto a Platone era di aver posto le condizioni di pensabilità di una significativa interazione fra corpo e anima: le patologie del corpo e dell’anima potevano ora essere concepite come strette in un nesso circolare, e le loro terapie potevano venire ancora una volta ricondotte nell’alveo dell’educazione etico-politica. Così che:

Nessuno infatti è cattivo di sua volontà, ma chi è cattivo lo diventa per uno stato morboso del corpo e per un allevamento privo di educazione (Timeo, 86c-e).

E se, nel Simposio, non c’è spazio per un modello di tipo eterosessuale che mira a una comunanza affettiva e spirituale tra due individui di sesso diverso, tuttavia Platone ammette che bisogna tener conto, per quanto possibile e visto che ci sono entrambi, dell’uno e dell’altro amore, regolati da un’armoniosa temperanza.

Questa è, nel Simposio, la via all’immortalità delle anime nobili, segnata dalla speranza dell’eros sublimato di «generare nel bello» anziché nei corpi. Le uniche parole in favore della relazione sessuale tra un uomo e una donna sono attribuite a una donna, Diotima, una sacerdotessa di Mantinea che ammaestrò Socrate nelle cose d’amore, non presente al banchetto ma di cui Socrate riferisce un discorso: tutti gli esseri umani sono fecondi e aspirano a riprodursi nel corpo e nell’anima. 

L’unione di un uomo e di una donna è il partorire. Questa è cosa divina, e negli esseri mortali è cosa immortale il concepire e il generare (Simposio, 206c).
Cupido bendato. Sandro Botticelli, La Primavera (dettaglio), 1481-82

Il sesso androgino

Quando a prendere la parola, nel corso del banchetto, è Aristofane, il discorso si sposta sull’esaltazione della potenza del dio Amore:

Fra gli dei è il più amico degli uomini, in quanto è loro soccorritore [ἐπίκουρος], e medico [ἰατρὸς] di quei mali curati i quali ne conseguirebbe la più alta felicità per il genere umano (Simposio, 189c-d).

In principio, infatti, i sessi erano tre e non due: accanto a quello maschile, originato dal sole, e a quello femminile, originato dalla terra, ce n’era un terzo, scomparso, il sesso androgino, originato dalla luna, che condivideva la forma e il nome di entrambi. 

Gli esseri umani, poi, erano completi, con quattro mani, quattro gambe, due teste e due membri e bastavano a sé stessi, al punto che si insuperbirono nei riguardi degli stessi dei in cielo. Allora Zeus, per indebolirli, li divise in due. Da quel momento, ciascuna metà ebbe nostalgia dell’altra, cercando il proprio contrassegno: l’amore non è altro che la ricerca dell’intero.

Bronzino, Allegoria di Venere e Cupido (dettaglio)

Virtù d’amore

A parlare tocca ora ad Agatone, che elogia il dio Amore per quello che è, piuttosto che per i doni che elargisce agli uomini. Amore è il più beato tra gli dei, il più bello e il più insigne, oltre che il più giovane, e infatti «per sua natura ha in odio la vecchiaia» e ne sta alla larga, accompagnandosi sempre ai giovani quale egli stesso è (Simposio, 195a-b). 

Proprio in virtù della sua giovinezza, Amore è tenero, delicato (ἁπαλός, 195c-d), anzi delicatissimo (ἁπαλώτατος) caratterizzato da tenerezza, morbidezza (ἁπαλότης) poiché non cammina sulla terra ma vive e dimora fra le cose più tenere, fra i caratteri e le anime degli dei e degli uomini. 

Inoltre è fluido nella forma (ὑγρὸς τὸ εἶδος, 196a) e armonioso, altrimenti non sarebbe in grado di «dispiegarsi per ogni dove, né di entrare e uscire di nascosto da ogni anima». Il dio conduce la propria esistenza in mezzo ai fiori e perciò è fragrante di profumi (196b).

E le virtù d’Amore non finiscono qui. Egli non fa e non riceve torti né dagli dei né dagli uomini, non soffre per violenza e non agisce con violenza, ma anzi è un dominatore che agisce con giustizia, coraggio e temperanza nel sopraffare gli istinti e i piaceri più deboli, perché chi possiede è più forte di chi è posseduto.  

E infine, Amore è dotato di somma sapienza:  l’amore, inteso come amore di bellezza, è un poeta così valente da rende poeta chiunque sia toccato da lui, creatore valente in ogni creazione che attiene alle Muse (196e), quindi nella sfera della produzione artistica, ma non solo. Tutte le arti e le scienze che sono appannaggio delle singole divinità sono state ispirate da Amore:

L’arte di saettare e la medicina e la mantica Apollo le inventò guidato dal desiderio e dall’amore, così che anch’egli è in realtà discepolo di Amore, e le Muse ne appresero la musica, e Efesto l’arte del fabbro e Atena l’arte del tessere e Zeus il governare uomini e dei (197a-b).

Nella pratica medica, in particolare, è necessario instaurare una temperata armonia per far sì che i contrari (caldo/freddo, secco/umido) si attraggano, compiacendo ciò che nel corpo è sano e combattendo ciò che è malato. Il caloroso discorso di Agatone si conclude con una dedica che assomiglia a un inno:

padre di lusso, di raffinatezza, di eleganza, di grazia, di brama, di desiderio; nella fatica, nella paura, nel desiderio, nella parola timoniere, marinaio, compagno, salvatore supremo [σωτὴρ ἄριστος]; ornamento di tutti gli dei e di tutti gli uomini; guida bellissima e valente, che ogni uomo deve seguire inneggiando con arte e seguitando la canzone che egli canta seducendo la mente d tutti gli dei e degli uomini (197d-e).
Eros, copia romana in marmo da originale greco, 190 ev ca. (via Luna Commons)

«Un gran demone, o Socrate»

Non tutti però sono d’accordo con questa visione assolutamente positiva di Amore. Sarà infatti Diotima a dire che Amore è tutt’altro che tenero anzi è aspro, duro (σκληρός, 203c) e inoltre è «sempre povero, [...] incolto, sempre scalzo e senza casa, si sdraia sulla terra nuda, dormendo all’aperto davanti alle porte e per le strade, sempre accompagnato dall’indigenza» (203d-e). 

Così anche Plotino: «Eros è come l’assillo che non possiede nulla per natura e, benché riceva qualcosa, subito ne ritorna privo; egli non può saziarsi [...] desidera sempre, per la sua immanente indigenza, ed appena si è soddisfatto subito rimane privo».

In quanto Amore per Platone non è figlio di Afrodite ma di Poros (“risorsa”, “espediente”) e Penia (“povertà”), e partecipa dell’ambigua natura di entrambi i genitori. Infatti è anche 

coraggioso, ardito, veemente, e cacciatore astuto, sempre pronto a tessere intrighi, avido di sapienza, ricco di risorse, e per tutta la vita innamorato del sapere, mago ingegnoso e incantatore e sofista [γόης καὶ φαρμακεὺς καὶ σοφιστής]; e non è nato né immortale né mortale, ma in un’ora dello stesso giorno fiorisce e vive, se la fortuna gli è propizia, in altra invece muore, ma poi rinasce, e quel che acquista gli sfugge sempre via, di modo che amore non è mai né povero né ricco, e d’altra parte sta in mezzo tra la sapienza e l’ignoranza (Simposio, 203d-e).

L’accostamento del termine “sofista” accanto a quello di mago (γόης) non è casuale ma costituisce un topos platonico, nella più ampia speculazione contro la magia ovvero contro le “aggressioni magiche” che l’incantatore, spregiudicatamente, esercita ai danni di chi vi crede. Per Platone, infatti, la retorica sofistica è una sorta di magia, entrambe in grado di persuadere gli animi degli uomini attraverso una tecnica di trattamento psicologico. Egli vi ritornerà nelle Leggi e nella Politica (per approfondire: Platonismo e magia).

Con questa natura, Amore non può essere considerato un dio, ma «qualcosa di intermedio fra dio e mortale [...] un gran demone [δαίμων μέγας] interprete e messaggero degli uomini agli dei e degli dei agli uomini». E in qualità di essere demonico, mediatore tra il divino e il mortale, queste sono le sue funzioni, in particolare nell’arte della magia:

trasmette le preghiere e i sacrifici agli uni [gli uomini], e da parte degli altri [gli dei] i comandi e la restituzione di favori per i sacrifici ricevuti; e poiché sta nel mezzo fra dei e uomini, colma lo spazio intermedio in modo che l’insieme resti saldamente connesso in tutte le sue parti. Nella sfera del demonico si svolge tutta la pratica divinatoria e l’arte dei sacerdoti in relazione ai sacrifici e alle iniziazioni e agli incantesimi e a ogni genere di profezia e di magia. Gli dei non hanno contatti con gli uomini, desti o addormentati. E chi è sapiente in simili arti è uomo demonico [...] Di questi demoni ce ne sono molti e svariati, e Amore è uno di essi (202d-e, 203a).

A chiarire la differenza tra dei e demoni interviene Plotino (Enneadi, III, 5, 6): «la specie degli dei è impassibile, ai demoni invece attribuiamo passioni e diciamo che essi sono eterni, subito dopo gli dei, solo rispetto a noi e intermediari tra gli dei e la nostra specie». I demoni non abitano il mondo intelligibile, ma solo quello sensibile; nel mondo sensibile invece, i pianeti sino alla luna sono dei visibili di secondo grado. I demoni non partecipano della materia corporea, altrimenti sarebbero percepibili, ma possono assumere corpi d’aria o di fuoco.

Amore, un’aspirazione perenne

Nell’età di Plotino, nato nel 205 a Licopoli, nell’Alto Egitto, la religione tradizionale ha già perduto la sua identità e aperto le porte alle divinità straniere, creando un sincretismo sempre più aggrovigliato nel generale disorientamento. Ma soprattutto, il politeismo classico si sta trasformando in un polidemonismo, un mondo irrazionale dominato da pratiche magiche e teurgiche in cui è coinvolto un gran numero di demoni buoni e malvagi. Non per questo, nel campo religioso, Plotino può dirsi contrario al politeismo, espressione teologica di quel pluralismo che sta alla base dell’essere, seppure le divinità siano trasmutate in simboli e i miti e le leggende siano confinate nella regione del fantastico.

All’interpretazione cosmico-allegorica dell’Eros del Simposio, Plotino intitola un intero trattato, il quinto (Περὶ ἔρωτος) della terza Enneade, un saggio di demonologia in cui torna sul problema dell’anima tracciando la linea dell’ascesa progressiva verso il bello intelligibile, una ascesa dalla bellezza dei corpi a quella delle anime. E perciò la prima domanda cui preme rispondere su Eros è:

Cos’è l’amore? Un dio, un demone, o una passione dell’anima?

Plotino elabora la teoria platonica dei differenti tipi di Eros. Il primo, l’Eros dell’Anima superiore, è generato da Afrodite celeste attraverso un atto di pura contemplazione verso l’Intelligenza (cfr. supra): 

è un’ipostasi, essenza procedente da un’essenza, inferiore a quella generatrice, ma reale (Enneadi, III, 5, 3).

Ma, come ci sono due Afroditi, c’è anche un altro Eros, interiore a questo mondo, che segue e dipende dall’Anima celeste. Quest’altro Eros produce in noi i desideri naturali, è «il demone che si dice accompagni ciascuno di noi, è l’Eros di ciascuno» (4). Il primo Eros, quello dell’Anima superiore, «è un dio che congiunge eternamente [l’anima] al Bene», l’altro è un essere affine alla materia, un demone nato dall’anima, in quanto questa manca del bene e lo desidera.

La voluptas, finalizzata alla gratificazione dei desideri terreni, era considerata un piacere cieco perché irragionevole, ingannevole ed effimero. Eppure per lo stesso Plotino, contro ogni moralismo e in aperta polemica antignostica, le gioie dell’esaltazione mistica devono avere come modello quelle dei sensi, seppure illusorie, perché sono le uniche conosciamo. E non le dobbiamo rifiutare perché piacevoli, ma perché transitorie: la materia è un «gioco fuggente» (παίγνιον φεῦγον), perciò menzognera (Enneadi, III, 6, 7).

Platone, Simposio, introduzione di V. Di Benedetto, traduzione e note di F. Ferrari, BUR, Milano 2016; Plotino, Enneadi, a cura di G. Faggin, Rusconi, Milano 1992; Isnardi Parente M., Introduzione a Plotino, Laterza, Roma-Bari 2002; Vegetti M., Quindici lezioni su Platone, Einaudi, Torino 2003; Zambelli P., L’ambigua natura della magia, Il Saggiatore, Milano 1991. Cfr. anche E. Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Adelphi, Milano 1985.

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