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I giardini di Adone

Adonis non è un dio, ma un eroe cui vengono attribuiti una vicenda mitica e un culto tombale dopo la morte. La prima documentazione, nelle fonti greche, risale a un catalogo pseudoesiodeo dove si dice che Adonis è figlio di Fenix, riconoscendogli quindi una provenienza orientale e facendo dell’Adonis fenicio un anello di congiunzione con la Grecia. La sua origine va infatti ricercata nel Vicino Oriente, dove trova una forte corrispondenza con Dumuzi-Tammuz, amato dalla dea Inanna che scende fino agli inferi per cercarlo. A differenza di quest’ultimo, tuttavia, l’Adonis greco non ha alcun nesso con la regalità, ma mantiene una valenza erotica che ne fa l’oggetto (passivo) dell’amore di Afrodite.

Fonti del Vicino Oriente Antico

La corrispondenza tra Adonis e Dumuzi-Tammuz è esplicita nell’Antico Testamento, nella versione latina che traduce con “Adonis” il dio assiro-babilonese Tammu (Tammuz), cui era intitolato un tempio “idolatrico” dove veniva adorato dalle donne (Isaia, 1,29). 

Il profeta quindi allude, condannandoli, ai giardini sacri allestiti in suo onore con erbe e fiori:

Vi vergognerete delle querce
di cui vi siete compiaciuti,
arrossirete dei giardini
che vi siete scelti.

— Sul nesso mitico-rituale tra Adonis, Attis e Dumuzi-Tammuz leggi: Gli dei ora spenti ora luminosi in Le religioni del mistero. Un’introduzione

Dalle testimonianze dei padri della chiesa tardo antichi, come Origene, sappiamo che Adonis/Tammuz veniva festeggiato perché tornato dal mondo dei morti, paragonato ai frutti della terra che ciclicamente rinascono e all’alternarsi delle stagioni. Ma, nel mito, Adonis non ritorna affatto in vita e non si accenna alla sua resurrezione se non in epoca molto tarda. I testi medioevali ci informano solo che Tammuz fu macinato in un mulino e poi gettato al vento, come il grano. 

In realtà le origini e le caratteristiche di Adonis sono rimaste pressoché nell’ombra almeno fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando viene decifrato il cuneiforme consentendo la traduzione dei primi testi — La discesa di Ishtar agli Inferi e poi l’Epopea di Gilgamesh. Allora il parallelo tra Dumuzi-Tammuz e Adonis è stato subito evidente, sebbene con alcune differenze: Afrodite, al contrario di Inanna-Ishtar, non scende nell’oltretomba a cercare l’amato e non riesce a riportarlo in vita.

— Leggi anche Gilgamesh nella foresta dei cedri, andata e ritorno

La Discesa di Ishtar agli Inferi è un testo accadico che riprende un modello sumerico più antico, su tavolette riportate alla luce negli anni Venti del Novecento presso il palazzo reale della città di Lagash nel III millennio, prima di re Sargon, e collazionate negli anni Cinquanta. A Lagash Dumuzi era venerato come prototipico antenato dei sovrani, una divinità locale chiamata sposo di Inanna. Il Dumuzi più tardo non avrà più legami con la regalità, ma è probabile che il dio locale di Lagash avesse anche altri attributi e caratteristiche più ampie.

Interpretazioni evoluzionistiche

L’idea che il ritorno di Adonis fosse legato ai cicli stagionali diventa parte della teoria evoluzionista ed ebbe particolare fortuna con J. G. Frazer. L’ultimo evoluzionista vittoriano, infatti, nel Ramo d’oro parte da un rituale nel bosco di Nemi dedicato a Diana Aricina in cui il rex nemorensis, uno schiavo fuggiasco, deve essere ucciso da un altro schiavo. 

Frazer interpreta il rituale come una sopravvivenza di antichi culti magici, individuando un rapporto di causa-effetto tra l’azione e il risultato (magia imitativa o contagiosa), dove la categoria degli “dei che muoiono e risorgono” si sarebbe situata a metà tra il mondo magico e la religione, evoluzionisticamente necessari perché codificano la fertilità e l’accoppiamento divino come nascita della vegetazione. 

E così, sulla scia delle posizioni evoluzioniste e delle interpretazioni naturistico-vegetative, si ritenne lecito associare Ishtar alla terra e Tammuz al grano, che ritorna stagionalmente. 

Queste teorie sono oggi superate e la categoria di cui parla Frazer è in realtà inesistente, perché le fonti non menzionano affatto un ritorno del giovane sulla terra, che fu piuttosto una illazione degli esegeti, quindi molto tarda; senza trascurare il fatto che Inanna-Ishtar è una divinità astrale e non interferisce con l’agricoltura. 

Adonis/Tammuz, Figurina bronzea dalla Siria (100-200 d.C.), via liebeghaus.de

Le fonti greche

La prima, forte caratterizzazione di Adonis nelle fonti greche, in tutte le varianti, è la nascita incestuosa. Sua madre Mirra è figlia del re del Libano — o della Siria, ma comunque di origine orientale —, Cinyras, il cui nome rimanda a uno strumento legato alle lamentazioni. Per volere di Afrodite, Mirra si innamora del proprio padre, con cui riesce ad accoppiarsi rimanendone incinta. A espiazione della sua colpa, la giovane viene trasformata in albero di mirra e dalle sue lacrime, divenute gocce della preziosa resina ritenuta afrodisiaca dai Greci, nasce suo figlio.

L’incesto era, per i Greci, una pratica associata non tanto al Vicino Oriente quanto all’Egitto, dove il faraone, che non fa parte della società umana e quindi del sistema di reciprocità, sposa la propria sorella per “sottrarla allo scambio”, dal momento che nessun’altra unione sarebbe per lei egualitaria. 

L’incesto padre-figlia, tuttavia, è diverso da quello praticato dal re divino con la propria sorella, ed è considerato dai Greci estremamente irrazionale perché sconvolge la normale sequenza delle generazioni. La nascita incestuosa di Adonis, comunque, basta a porre l’inizio della sua vicenda in Oriente. 

L’essenza della mirra ha poi una precisa valenza simbolica, connessa anche con la regalità (i Magi donano mirra al bambino riconosciuto come re). Dentro un uovo di mirra, deposto da una nuova Fenice, è riposta e imbalsamata quella vecchia dopo aver vissuto cinquecento anni, che dall’Arabia viene poi trasportato in Egitto, a Heliopolis.

— Sul mito della Fenice leggi: Gli Hieroglyphica di Orapollo, ovvero l’interpretazione delle oscurità.

Se Mirra compare solo in questa vicenda come madre incestuosa del giovane eroe, il padre Cinyras ha un ciclo indipendente ed è menzionato già nei poemi omerici come un re cipriota di cui si dice che non partecipò alla guerra di Troia per viltà. In altre fonti ne è descritta la straordinaria ricchezza e bellezza, e sarebbe colui che ha introdotto il culto di Afrodite a Cipro.

Altrove, infine, si accenna all’esistenza di sorelle di Adonis che, avendo offeso Afrodite, devono espiare praticando (e quindi fondando miticamente) la prostituzione sacra, istituzione tipicamente orientale e relativamente tarda (tardo-babilonese) che riguarda le dee Ishtar e Astarte. In epoca sumerica, al contrario, le sacerdotesse erano castissime, oppure erano sposate e avevano rapporti solo con il proprio consorte.

Erodoto narra che, nella regione di Babilonia, vigeva la regola per cui tutte le donne prima del matrimonio dovessero praticare la prostituzione sacra in onore di Ishtar, oppure sacrificare le loro chiome. E tutte, a detta dello storico greco, sceglievano la prima opzione. In realtà, la prostituzione sacra era praticata nel Vicino Oriente ma non nella misura descritta da Erodoto. Esistono prove che l’attestano anche a Cipro, nel tempio di Afrodite, e in alcune zone della Magna Grecia.

— Leggi anche Venere, il piacere dei sensi

Valenza funeraria...

La versione sumerica della storia tra Dumuzi e Inanna racconta di come un giorno la dea abbia deciso di scendere dal cielo sulla terra “verso il kur”, ad inferos, un luogo identificato con una montagna situata a occidente benché sotterraneo, il punto in cui i corpi astrali passano al di sotto dell’orizzonte terrestre nel cammino che compiono da est a ovest per ricomparire al mattino, se si tratta del sole, o la sera nel caso degli altri corpi celesti. Potrebbe quindi trattarsi del mito di fondazione del ciclo del pianeta Venere, che comprende i giorni della sua scomparsa perché non è visibile tutto l’anno. 

Dopo essere stata ridotta a cadavere per poter scendere nel mondo dei morti, il padre Enki cosparge Inanna di acqua per farla tornare in vita, ma a patto che nell’aldilà venga lasciato un sostituto della dea. Nel frattempo, tutti piangono la scomparsa di Inanna tranne Dumuzi, il quale viene inseguito dai demoni e poi catturato. Dumuzi, insomma, se ne stava pacificamente sulla terra quando, in conseguenza dell’azione della dea, viene trasportato negli inferi.

Segue una parte frammentaria, quindi gli ultimi versi enigmatici che alludono a un’alternanza di “sei mesi tu, sei mesi tua sorella” (Geshtinanna) e poi un termine che, in maniera non del tutto certa, può significare “risalire”; quindi la dossologia (lode) finale dedicata però a Ereshkigal regina degli inferi, non a Inanna. 

Il testo accadico aggiunge che Tammuz ascolterà le lamentazioni e aspirerà incenso, alludendo quindi a riti funebri, il che fa supporre che egli non torni affatto in vita se non per un solo giorno, nell’occasione della festa dei morti

Abbandonata definitivamente l’interpretazione naturistica, si ammette ora che Tammuz compare solo nei testi funerari perché non torna in vita e non risorge, ma rimane vivo nell’aldilà

Nella pratica del culto Tammuz, al pari di Adonis, viene lamentato ritualmente dalle donne come nel mito lo piange la sua sposa divina.

Antonio Canova, Venere e Adone, 1795 (via Wiki Commons)

... e l’aspetto erotico

Il rituale dello hieros gamos, le nozze sacre, in cui il giovane dio è impersonato dal re e la dea da una sacerdotessa, è un altro parallelismo tra Dumuzi-Tammuz e Adonis, anche se per quest’ultimo c’è minor margine di sicurezza. La ierogamia regale, pratica non molto antica ma una innovazione neosumerica, è stata introdotta da re Shulgi, il primo re mesopotamico divinizzato in vita. Da quel momento, la titolatura convenzionale per il re è “sposo di Inanna”. Un altro attributo del sovrano è proprio “Dumuzi”, in qualità di amante archetipico della dea

Tra i doni che la sposa divina porta in dote al re c’è tutto quello che serve a instaurare un regno corretto e per garantire benessere e fecondità al paese. Quanto al grano, Inanna nomina Nisaba (“faccia per te crescere il grano”), la dea della scrittura e dell’agricoltura. La sfera agraria, quindi, ancora una volta rimane al di fuori dalla portata di Dumuzi e della stessa Inanna. 

Il rituale ierogamico non era rinnovato ogni anno ma avveniva una sola volta in un regno, e non è neanche certo se venisse celebrato realmente, poiché non compare nei testi delle intronizzazioni. In ogni caso, questa pratica sarà interrotta a partire da Hammurabi di Babilonia, e si comprenderà l’enorme iato temporale tra queste pratiche rituali e l’Adonis greco. 

è probabile che le vicende del dio sumerico, e poi assiro, fossero conosciute dai Greci attraverso una trasmissione orale; ma, mentre l’antico Dumuzi mostra un carattere funerario e uno erotico, in Tammuz prevarrà decisamente l’aspetto funerario mentre quello erotico comparirà di nuovo con Adonis. 

Anzi, in Dumuzi l’aspetto erotico si inserisce nel quadro dell’ideologia regale, e nei testi più antichi egli compie anche azioni guerresche. In un testo tra il neosumerico e il paleobabilonese è, nel suo aspetto astrale, una stella che sconfigge i nemici. 

L’erotismo che caratterizzava i sovrani mesopotamici è una qualità fondamentale, e per regnare era necessario possedere una certa attrattiva sessuale: una serie di canti esaltano l’aspetto avvenente del figlio di Shulgi, le sue qualità di amante straordinario, fatto strano per noi da associare a un re guerriero, ma che serve a legittimare la seduzione di Inanna e le nozze con la dea affinché ella, in un rapporto di reciprocità, gli conferisca la regalità. 

Per i Greci, al contrario, la sensualità di Adonis diventa simbolo della regalità orientale (avendo i Greci rifiutato l’istituto politico della regalità tout court) in cui un re amante di una dea è visto come una figura mollemente voluttuosa. Adonis infatti, sebbene figlio di re, non regnerà mai.

In ambito greco, Afrodite è la riplasmazione di Inanna-Ishtar-Astarte. In lei sono confluiti elementi orientali e gli stessi Greci la chiamavano Cipride. Ma con una differenza: il campo d’azione della dea mesopotamica è amoroso-bellico (Inanna-Ishtar sceglie liberamente il suo re per concedergli la vittoria in guerra, come la Venere romana), mentre tutto quello che riguarda le armi è estraneo ad Afrodite.

— Sul rapporto tra Ishtar “signora della battaglia”, la sfera bellica e la regalità leggi Ishtar di Ninive

Nei poemi omerici, Afrodite compare solo una volta per salvare il suo protetto Paride (ancora una volta un principe orientale) e non ha nulla a che fare con la regalità, sia sul piano storico (non esisteva più l’istituzione politica) sia su quello mitico. Anche perché, semmai, la regalità greca era connessa con l’eroismo piuttosto che con l’erotismo.

Afrodite vanta numerosi amanti, ma Adonis è l’amante per eccellenza, che non fa nulla per conquistarla ma si limita a essere seducente, è un oggetto passivo della passione della dea. In alcune versioni Afrodite si innamora di lui appena nato, perché nasce già adulto.

Tratto dagli appunti del seminario I Greci e l’Oriente tenuto da Paola Pisi — Religioni del mondo classico — nell’ambito del corso di Storia delle religioni di Gilberto Mazzoleni, Università La Sapienza, Roma, a.a. 2000-01.

Immagine di copertina: James Childs (1945-2020), The Return of Adonis (fonte)

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