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Sulla natura degli incubi

Illusori o veritieri, spesso difficili da interpretare, bizzarri, confusi. Sono diversi i generi di sogni riconosciuti nell’antichità: il sogno propriamente detto, la visione e l’oracolo, considerati forme di divinazione di eventi futuri o presenti. Di altro tipo sono le apparizioni, frutto di ansie e paure, talvolta spaventose, ma del tutto immaginarie. A quest’ultima categoria appartiene l’incubo, il più opprimente e morboso dei sogni. E tuttavia, l’incubo può essere foriero di buoni presagi, o manifestarsi nelle forme di un folletto in grado di svelare tesori nascosti. Il “viaggio nell’incubo” ci condurrà in territori inaspettati, dove, tra un’elegia di Tibullo e un’ode di Orazio, gli dei della notte saranno pronti a svelarsi.

Sogno, visione, oracolo

Per loro natura i sogni sono inesplicabili e portano messaggi difficili da interpretare, né ogni cosa si compie per i mortali. Due sono le porte dei sogni immateriali, una di corno e l’altra d’avorio; e quelli che escono attraverso l’avorio illudono, perché portano messaggi che non si realizzano, mentre quelli che procedono per la porta di limpido corno compiono cose vere, ogni volta che un mortale li veda.

Sono i vv. 535-567 del canto XIX dell’Odissea, a parlare è Penelope. Già nel poema omerico si distinguono i sogni veritieri da quelli illusori, a seconda che provengano dalla porta di corno o da quella d’avorio.

Commentando il Sogno di Scipione, ultimo libro del De re publica ciceroniano, Macrobio elenca cinque generi di sogno (In Somnium Scipionis commentarii, I, 3, 1-10): il somnium, la visio, l’oraculum, l’insomnium e il visum. I primi tre sono ritenuti veritieri, mentre gli ultimi due non hanno alcun significato divinatorio. La divinazione per mezzo dei sogni (onirocrizia o oniromanzia) è d’altronde tra le arti divinatorie più antiche, e tra i primi manuali di cui siamo a conoscenza si annovera l’Onirocritica di Artemidoro

Il somnium (ὂνειρος) è il sogno propriamente detto, che nasconde ciò che intende comunicare sotto uno stile simbolico e velato di enigmi, quindi deve essere interpretato. Anche per Artemidoro (1.2) l’ὂνειρος ha una valenza divinatoria, in quanto presagisce le cose future.

Il somnium a sua volta può essere particolare, o personale (proprium), quando il sognatore sogna sé stesso, estraneo (alienum), quando a subire l’azione sognata è un’altra persona, comune (commune), quando la situazione sognata è condivisa insieme ad altri, pubblico (publicum), quando riguarda la città, lo stato o il territorio, e infine universale (generale), se riguarda il cosmo, il cielo e simili. 

Insieme al sogno di questo tipo, prosegue Macrobio, sono strumenti di divinazione la visione (visio, ὄραμα) di persone o cose che nella realtà vedremo più tardi e l’oracolo (oraculum, χρηματισμός), l’apparizione in sogno di un parente o un’importante personalità che ci informa di ciò che accadrà e ci consiglia su come comportarci.

Apparizioni, fantasmi e folletti

Diversamente dai primi tre generi di sogno, ve ne sono altri, ritenuti falsi, che non possono aiutarci a conoscere il futuro. 

Tra questi Macrobio annovera il cosiddetto insomnium (ἐνύπνιον), una visione interna al sogno che ha origine da un disturbo fisico o psichico, dall’oppressione, dall’agitazione, dalla paura o dall’ansia che ci assillano da svegli. Questi sogni, che si manifestano anche dopo gli eccessi di vino e cibo, sono falsi perché nascono dall’inquietudine e, una volta svegli, non lasciano su di noi alcuna traccia d’interesse o di significato.

Diversamente, per Artemidoro (1.2), come il somnium presagisce le cose future, lἐνύπνιον riguarda invece la conoscenza degli eventi presenti.

ἄγαν δ’ἀληθεῖς ἐνυπνίων φαντασμάτων / ὄψεις
Troppo vere le visioni di fantasmi apparsi nel sonno.

A pronunciare queste parole è Eteocle nei Sette contro Tebe di Eschilo (vv. 710-711), quando, pronto ad affrontare la morte, apprende che ad attenderlo all’ultima porta della città troverà Polinice. 

Il motivo delle misteriose ὄψεις (visioni) notturne è richiamato solo una volta nel dramma, in questo passo di difficile interpretazione. Le donne del coro esortano il sovrano a desistere dal combattimento, ma l’eroe, richiamato il ricordo delle visioni oniriche, troppo veritiere per essere trascurate, s’incammina verso la propria morte, consapevole della fatale necessità che lo spinge alla sua scelta.

In Erodoto (Storie, 8, 54) ὄψις ἐνυπνίου è la visione del sogno: protagonista Serse che, una volta conquistata Atene, dà ordine agli esuli della città di salire sull’acropoli e offrire sacrifici secondo la propria usanza. Un’azione insolita, dettata forse dal rimorso di aver incendiato il tempio, ovvero per aver ricevuto qualche visione in sogno. In ogni caso si tratta di vedere, percepire chiaramente con la vista, fisica o interiore, qualcosa che in realtà non esiste ma che può esprimere uno stato d’animo, un avvertimento che affiora dai recessi della nostra coscienza.

Infine l’apparizione (visum, φάντασμα), un fenomeno ancora più ineffabile, che si verifica tra la veglia e il sonno profondo, quando si sta per cedere ai “primi vapori soporiferi” (prima somni nebula) e il dormiente, che crede di essere ancora sveglio, si sente assalito da figure fantastiche

— Leggi anche Saggio sulla visione degli spiriti 

Così Cornelio Agrippa nel trattato ermetico De occulta philosophia (sive de magia, 1533), cap. LIX, torna a menzionare l’insomnium e il phantasma come specie di sogni vani e privi di significato divinatorio, originati da turbamenti del corpo e dell’anima, diversamente dal somnium che invece produce visioni veritiere grazie agli influssi dei corpi celesti sullo spirito, quando anima e corpo sono in buona salute.

Incubi, Fauni, Silvani

Arriviamo così all’incubo (ἐπιάλτες, o φιάλτες, Efialte, da ἐπί e ἅλλομαι, “saltare sopra”, “opprimere”), che per Macrobio fa parte di quest’ultima categoria cui appartengono anche le apparizioni e i “fantasmi”. 

L’incubo è un demone responsabile di un sogno morboso, talvolta assimilato a Pan (Artem. I, 2) talvolta a un Fauno

Plinio (Storia naturale, XXX, 84) parla di persone turbate dagli dei della notte e dai Fauni, «a nocturnis diis faunisque agitentur», ma resta un fenomeno del tutto immaginario, che pertiene al folklore popolare piuttosto che a dotte dissertazioni.

publica persuasio quiescentes opinatur invadere et pondere suo pressos ac sentientes gravare.

Il volgo è persuaso che s’impossessi di coloro che dormono e che gravi col suo peso su di essi prostrandoli e facendoli soffrire. 

Efialte è identificato con Pan ma ha un significato diverso (Artem. 2, 37). Se opprime o grava qualcuno senza parlare, è presagio di avversità e angoscia, ma, se interrogato, dirà sempre la verità. Sia Pan sia Efialte (così come Ecate e Asclepio) sono divinità terrestri intellegibili, cioè possono essere percepiti con i sensi.

— Sulle manifestazioni di Pan, “presenza divina che incombe invisibile”, leggi Teofania e morte di Pan. Dal Dialogo sul tramonto degli oracoli

Queste visioni notturne, benché immaginarie, per l’estensore dell’Onirocritica non sono del tutto prive di qualche presagio. Se l’incubo appare nell’atto di porgere qualcosa, soprattutto se non è appoggiato con il suo peso sul dormiente, è segno di grande profitto. Può anche presagire la guarigione da un male, poiché non si manifesta mai a un moribondo. 

In latino, il termine incubare mantiene il significato di “giacere sopra” o “dentro un luogo”, come per la pratica dell’incubatio che si teneva a scopo terapeutico nei santuari di Asclepio/Esculapio (in greco εν- κοιμητήριον, “dormire sopra”), che consisteva appunto nel dormire a terra attendendo l’intervento guaritore del dio, in sogno o in visione. 

— Leggi anche Asclepio, genesi e mito

Incubo (onis) è quindi, letteralmente, “colui che giace sopra qualcosa”. In Petronio (Satyricon, 38), Incubo è il nome di uno spirito, un folletto posto a guardia di un tesoro nascosto, che può rivelarne la posizione se si riesce a togliergli il berretto: 

dicunt quom[odo] Incuboni pilleum rapuisset, et thesaurum invenit

dicono che ha tolto il berretto a un folletto e ha trovato un tesoro.

Ma è solo con l’avvento “demolitore” del cristianesimo che l’incubo assume una connotazione totalmente negativa, demoniaca e, quel che più conta ai fini della discriminazione e della soppressione delle antiche credenze, assolutamente reale. 

L’ossessione contro il “paganesimo” — e contro il sesso e il piacere, soprattutto femminile — da parte dei padri della chiesa, permeati di demonologia patristica, si riflette anche sugli innocui demonietti della tradizione accennata da Petronio, mentre lo stesso Macrobio aveva sempre mantenuto un atteggiamento scettico verso queste visioni, non mancando mai di evidenziarne il contenuto immaginario.

Se, infatti, cerchiamo il termine incubo nel dizionario di latino, le uniche occorrenze, oltre a Petronio, rimandano ad Agostino e a Isidoro di Siviglia. 

Il vescovo di Ippona conferma la tradizione secondo cui incubi sono comunemente chiamati Pan e Silvano, che spesso si manifestano alle donne con le sembianze di uomini malvagi allo scopo di consumare con loro rapporti sessuali («Silvanos et Panes, quos vulgo incubos vocant, improbos saepe exstitisse mulieribus et earum appetisse ac peregisse concubitum», De civitate dei, 15, 23). 

L’Hispalensis dal canto suo si lascia andare a una sorprendente dissertazione su demoni, vampiri (lamie) che fanno a pezzi i bambini, fantasmi (larve) che fluttuano e altri esseri terribili e mostruosi, tra cui rientra il malvagio incubo, che i Romani chiamano Faunus ficarius in quanto è solito avere rapporti sessuali con le donne («Incubi dicuntur ab incumbendo, hoc est stuprando», Etymologiarum, 8, 11).

— Leggi anche Dominae nocturnae 

È dunque il silvestre Fauno, il greco Pan dio d’Arcadia, signore dei boschi e dei campi aperti, la divinità associata al fenomeno degli incubi. Non a caso Pan è figlio di Hermes padrone dei sogni, portatore dei messaggi divinatori contenuti in essi.

— Leggi anche La verga d’oro di Hermes e altri racconti

Nel mondo latino Fauno e Silvano sono distinti ma mai del tutto separabili, il secondo probabilmente un aspetto del primo. Sono selvaggi, irsuti, incorreggibili, beffardi, lubrici, ma al tempo stesso accessibili agli uomini, docili, concreti, addomesticabili, in grado di svelare la potenza segreta della terra e della fertilità, fecondare i campi, proteggere i pascoli e le case.

La prossima volta che ci sveglieremo nel cuore della notte assaliti da un incubo, allora, dissipiamo le paure con un’offerta a Silvano, deponendo ai suoi piedi tutti i frutti che reca l’anno nuovo («Et quodcumque mihi pomum novus educat annus, / Libatum agricolae ponitur ante deo», Tibullo, Elegiae, 1, 1, 13-14), e infine ricordando l’agreste Fauno, la cui festa nelle campagne ricorreva il 5 dicembre, come nella bella ode di Orazio (3, 18): 

Faunus, Nympharum fugientum amator
per meos finis et aprica rura 
lenis incedas abeasque parvis
aequus alumnis,

si tener pleno cadit haedus anno,
larga nec desunt Veneris sodali
vina craterae, vetus ara multo
fumat odore.

Ludit herboso pecus omne campo,
cum tibi Nonae redeunt Decembres;
festus in pratis vacat otioso
cum bove pagus;

inter audacis luput errat agnos,
spargit agrestis tibi silva frondes,
gaudet invisam pepulisse fossor 
ter pede ferram.
O Fauno, che sempre insegui le ritrose Ninfe,
attraverso il mio campo e la campagna inondata di sole
senz’ira passa e va’ lontano, 
benigno ai piccoli del gregge,

come è vero che, compiuto che sia l’anno, viene offerto
alla coppa amica di Venere vino in abbondanza, dagli antichi altari
un vasto profumo d’incenso.

Saltella in tuo onore il gregge per tutto l’erboso campo,
quando tornano le None di Dicembre:
il villaggio in festa si riposa 
sui prati insieme al bue inoperoso;

il lupo si aggira fra gli agnelli divenuti arditi,
la foresta stende le sue agresti foglie,
danza il contadino battendo
per tre volte il piede in terra.

Fonti edite: Macrobio, Commento al Sogno di Scipione, a cura di M. Neri, Bompiani, Milano 2007; Artemidoro, Oneirocticita. The Interpretation of Dreams, Nojes Press, Park Ridge (NY) 1975; Antologia delle opere oraziane, a cura di L. Annibaletto, Società editrice Dante Alighieri, Milano 1987. 

Cfr. anche: A. Abbate, Eteocle interprete di sogni, in “Kentron. Le rêve et les rêveurs dans l’Antiquité”, 27, 2011, pp. 17-44; J. Maxwell, La divinazione, Laterza, Bari 1932. 

In copertina: Ditlev Blunck, Nightmare, 1846 (Nivaagaard Collection)

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