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Saggio sulla visione degli spiriti

Di Arthur Schopenhauer (1788-1860) forse si ricorda poco l’attenzione per l’occulto, la magia, la chiaroveggenza, la preveggenza e i fenomeni spiritici. A differenza di Kant, che aveva criticato lo scienziato e visionario svedese Emmanuel Swedenborg per la sua concezione filosofico-religiosa di stampo neoplatonico[1], non si avverte in Schopenhauer alcun tratto polemico nei confronti del soprannaturale. Al contrario, complice la ventata romantica tedesca che aveva riabilitato tutta una serie di interessi relativi alla sfera spirituale, Schopenhauer dà a questi fenomeni una spiegazione idealistica che permette di maturare un giudizio “corretto”, termine su cui peraltro insiste più volte, non viziato da pregiudizi né entusiasmi, gettare una luce, insomma, su «una questione importantissima e interessante» attorno alla quale nei secoli si sono fronteggiate opinioni e approcci del tutto differenti.

Dr. Jaynes Sanative Pills (1900 ca). Wiki Commons

(I riferimenti ai numeri di pagina rimandano ad A. Schopenhauer, Saggio sulla visione degli spiriti, introduzione di L. Casini, traduzione integrale di F. Ricci, Newton Compton editori, Roma 1993.)

L’invisibile essenza della realtà

Per l’autore del “Mondo come volontà e rappresentazione” esiste un’unica realtà universale e invisibile: la volontà, l’“in sé” del mondo, la sua essenza metafisica e profonda, il nucleo di tutte le cose, insita nella natura più intima dell’uomo. La volontà non soggiace alle leggi del mondo fenomenico, si trova al di fuori dell’orizzonte spazio-temporale, non soggetta ai suoi limiti; e per questo non può essere annientata, è indistruttibile dalla morte.

Spazio e tempo sono categorie cognitive attraverso cui ordiniamo i fenomeni che si mostrano ai nostri sensi. Derivano da funzioni cerebrali che noi giudichiamo a priori come oggettive, ma è una convinzione del tutto arbitraria. La stessa distinzione tra “oggettivo” – posto al di fuori di noi e diverso da noi – e “soggettivo” in fondo non è assoluta ma relativa, nella misura in cui anche ciò che è empiricamente oggettivo è sempre e comunque condizionato da un soggetto.

La nascita e la morte, come tutti gli altri fenomeni, non sono altro che manifestazioni di un evento nello spazio e nel tempo; la morte non corrisponde all’annullamento totale dell’individuo ma solo della sua corporeità, del suo manifestarsi spazio-temporale. Con la morte, l’essenza dell’uomo non cessa ma torna, per così dire, a ricongiungersi con la totalità della volontà.
Se invece nell’uomo, al di là della materia, rimane qualcosa di indistruttibile, non si può stabilire, almeno a priori, che questo qualcosa, che ha determinato il prodigioso fenomeno della vita, alla fine della stessa non sia assolutamente capace di agire su coloro che ancora vivono (p. 75).
Prescindendo dallo spazio e dal tempo, e mediante una comunicazione di tipo eccezionale, non è quindi impossibile, anzi è verosimile che i viventi possano comunicare con i defunti sul piano comune e profondo della volontà. 

Su questo principio si basa la possibilità non solo di una reale apparizione degli spiriti, ma anche di altri fenomeni simili che non obbediscono alle leggi naturali, inspiegabili attraverso gli strumenti cognitivi razionali – e, per questo, ostinatamente negati – come la chiaroveggenza e la magia: tutto proviene dal vasto e infinito mare inconscio della volontà, popolato da spiriti, tensioni e forze in una totale e completa fusione osmotica tra di loro.

Sulla realtà delle visioni di questo genere Schopenhauer non ha dubbi, per quanto sia molto difficile distinguere le esperienze autentiche dagli inganni, intenzionali o meno, perché durante tali percezioni il confine tra soggetto e oggetto rimane incerto, dubbio, sbiadito.
Il rifiuto a priori della possibilità di una vera apparizione di un defunto potrebbe essere fondato soltanto sulla convinzione che con la morte l’essenza umana sia completamente annientata. Finché questa convinzione non sussiste, non si capisce perché un essere, che in qualche modo esiste ancora, non dovrebbe potersi manifestare e agire su un altro, per quanto quest’ultimo si trovi in un altro stato (p. 75).

Il sogno, una breve follia

La nostra percezione del mondo è intellettuale, o meglio cerebrale, in quanto condizionata dal cervello: è l’intelletto che «costruisce questo mondo di corpi» (p. 20).

Occorre quindi domandarsi se nel nostro cervello, o intelletto, possano crearsi delle immagini visive perfettamente uguali e indistinguibili da quelle provocate dalla presenza di corpi fisici. La risposta è sì («un effetto uguale a quello provocato da un corpo non presuppone necessariamente la presenza di un corpo», p. 19), e possiamo riscontrarlo in un fenomeno molto noto e sperimentato da ciascuno di noi: il sogno.

Lungi dall’essere un mero gioco di pensieri, una fantasia – dove le immagini sono fugaci, opache, deboli –, nel sogno la nostra capacità di rappresentazione arriva a superare la più vivida immaginazione, riuscendo a cogliere con chiarezza e immediatezza, e un’oggettività assolutamente pari a quella della realtà, esperienze e sensazioni tangibili fin nei minimi particolari.
E infatti, se solo potessimo sceglierci l’oggetto dei nostri sogni, essi ci procurerebbero le visioni più mirabili (p. 21).
Il sogno è un mondo esterno, completamente estraneo, che irrompe contro la nostra volontà quando la normale attività cerebrale e dei sensi è assente, sospesa, in una quiete del cervello «che abbiamo tutte le ragioni per supporre perfetta e, al tempo stesso, completamente incosciente» (p. 24). Per questo, presenta una innegabile somiglianza con la follia, al punto che
Il sogno potrebbe essere definito una breve follia, e la follia un lungo sogno (p. 23).
Non tutti i sogni, però, sono uguali. Solo i sogni che sopraggiungono nel sonno profondo, non gli ultimi sogni del mattino o quelli sognati mentre ci si addormenta, quando il cervello e i sensi sono ancora vigili, ma quelli sognati durante la “quiete perfetta” del cervello che ci fa sciogliere ogni legame con il mondo sensibile, solo quelli, sebbene in casi molto rari, possono avere un significato profetico.

Chiaroveggenza

Durante il sogno il cervello «lavora come alla rovescia», è sollecitato “dall’altra parte”, secondo un ordine temporale invertito, attraverso un organo onirico che, in modo intensamente penetrante, in alcuni casi, nelle fasi di sonno profondo, può intensificarsi fino al pieno e perfetto sviluppo delle sue capacità. È per mezzo dell’organo onirico che si realizzano l’intuizione sonnambula, la chiaroveggenza e le visioni di ogni genere. L’organo onirico è «l’occhio con cui vediamo i sogni» (p. 58) ed è interno al nostro organismo, ma completamente diverso da quello che interviene abitualmente durante la veglia, e nel corso di questi fenomeni particolari permette di raggiungere un’intuizione che si presenta come assolutamente oggettiva.

Considerata in questi termini, la capacità di sognare è una «seconda capacità di intuizione» (pp. 28-30) non mediata, come la prima, dai sensi e dalla coscienza vigile, quella che nel mondo anglosassone viene definita “second sight”, seconda vista:
Nella seconda vista dunque la visione [...] raggiunge il massimo grado di verità reale e oggettiva [...]. Essa corrisponde, nello stato di veglia, al massimo grado della chiaroveggenza: è un perfetto sogno vero in stato di veglia [...] la visione della seconda vista, come i sogni veri, in molti casi non è teorematica, ma allegorica o simbolica; è comunque straordinariamente sorprendente che in tutti i soggetti i simboli abbiano lo stesso significato (p. 65).
La chiaroveggenza è un sogno intensificato, è un sognare il vero che può essere guidato dall’esterno e orientato dove si preferisce. Questi sogni che preannunciano le cose future o lontane sono chiamati fatidici o profetici e spessissimo si riferiscono allo stato di salute di colui che sogna, «talvolta anche incidenti esterni, come incendi, esplosioni, naufragi, ma soprattutto morti» (p. 41).
ogni chiaroveggenza, sia indotta artificialmente che durante il dormiveglia sonnambulo spontaneamente presentatosi, ogni percezione, resa possibile dalla chiaroveggenza, di quanto è nascosto, assente, lontano o addirittura futuro, non è nient’altro che un sogno vero di ciò i cui oggetti si presentano visivamente e fisicamente al nostro intelletto, come i sogni (p. 40).
Magnetismo animale, cure per simpatia, magia, seconda vista, chiaroveggenza e visioni di ogni genere sono fenomeni affini e indicano «in modo sicuro e imprescindibile» un nesso tra gli esseri fondato su un ordine delle cose totalmente diverso da quello che conosciamo, molto più profondo, primordiale e immediato.

Oniromanzia

Esistono due tipi di sogni fatidici: i sogni teorematici, molto rari, i quali prevedono nell’immediato futuro il realizzarsi di fatti anche insignificanti o totalmente estranei a chi sogna, come se l’evento sognato, e poi realmente accaduto, fosse già esistito nella coscienza di qualcun altro. Molto più frequente è invece l’altro genere di sogni fatidici, gli allegorici, la cui interpretazione però è così difficile che li comprendiamo soltanto quando si verifica l’evento sognato.

Imparare a conoscere il simbolismo dei sogni è un’arte che ha bisogno di esercizio ed esperienza cui gli uomini si sono cimentati fin dall’antichità[2]. Per questo sono simili agli oracoli, che non danno mai direttamente la loro sentenza ma la avvolgono in un’allegoria che ha bisogno di interpretazione e spesso è compresa solo quando l’oracolo si compie.

Ultima e più debole emanazione della stessa fonte onirica è la premonizione, il semplice presentimento, spesso accompagnato da un’angosciosa attesa per il futuro «anche perché nella vita c’è più tristezza che gioia» (p. 44).

Vis naturae medicatrix, la forza terapeutica della natura

In molti casi, le visioni riguardano il proprio stato di salute quando la volontà, dal suo strato infinitamente profondo, detto sonno magnetico, fa emergere alla coscienza nozioni e informazioni che possono giovarci. 

Nel sonno profondo può così verificarsi un’intensificazione del naturale effetto benefico che il sonno esercita su tutti, la vera grande panacea che rimette sul giusto binario tutti i disordini introdotti nell’organismo e consente all’energia vitale di liberarsi completamente. 

In questo caso è la natura stessa a provocare la chiaroveggenza, perché il malato possa rivolgersi “da qualche altra parte” per autoprescriversi quanto lo farà guarire.

Ombre, immagini delle ombre dei morti

La convinzione che esistano gli spettri è innata nell’uomo: si trova in tutti i tempi e in tutti i paesi, e forse nessun uomo ne è completamente libero. Già la folla e il popolo, di tutti i paesi e di tutti i tempi, distinguono naturale e sovrannaturale come due ordini sostanzialmente differenti eppure contestualmente presenti. Al sovrannaturale attribuiscono prodigi, vaticini, spettri e magia; ma sono anche convinti che niente sia naturale fino in fondo e che la natura stessa si fondi su qualcosa di sovrannaturale (p. 53)[3].
L’«enigmatica facoltà cognitiva» (p. 63) di vedere, percepire tali fenomeni è dentro di noi, nascosta, limitata dalle condizioni spazio-temporali e perciò non giunge mai alla coscienza, ma rimane sempre schermata da un velo che le conferisce una certa “colorazione sognante”. In casi eccezionali l’organo onirico, agendo nel sonno più profondo, può entrare in funzione, “aprirsi” anche durante la veglia e farci vedere manifestazioni che, a seconda della causa remota che le ha prodotte (per esempio una malattia in fase acuta, o la follia), prendono il nome di allucinazioni, visioni, seconda vista o apparizioni di spiriti. Molto spesso le percepiamo sotto forma di ombre perché esse «amano scomparire» e, per non lasciarle sfuggire, l’occhio interno le proietta
in angoli bui, dietro tende che all’improvviso diventano trasparenti e, in particolar modo, nell’oscurità della notte, che ben per questo è l’ora degli spiriti; perché oscurità, silenzio e solitudine, eliminando le impressioni esterne, permettono libertà d’azione a questa attività cerebrale di origine interna [...] l’ora degli spiriti [...] è la mezzanotte buia, silenziosa e solitaria, perché già istintivamente in tale ora temiamo il verificarsi di fenomeni che sono apparentemente esterni ma la cui causa prossima è da rinvenire in noi stessi: in tal senso possiamo dire che in realtà temiamo noi stessi (p. 59).
Parliamo di fenomeni spiritici quando le visioni riguardano persone defunte, spesso indotte dalla vicinanza ai loro resti mortali, come nei casi in cui gli spiriti appaiono sempre nel medesimo luogo in determinate località: cimiteri, chiese, campi di battaglia, dimore dove sono stati commessi omicidi e in «quelle case malfamate in cui proprio per questo nessuno vuole abitare» (p. 67), «o forse il semplice locale situato tra quattro mura in cui qualcuno, in preda all’angoscia e alla disperazione, è morta di morte violenta» (p. 70).

Questi casi di apparizioni legate a certi luoghi o alla presenza delle spoglie mortali dei defunti, i più diffusi, non sarebbero altro che la percezione di una seconda vista retrospettiva, cioè rivolta “all’indietro”, alla cui base c’è sempre una realtà del tutto obiettiva, ma che appartiene al passato. L’immagine che appare in questi contesti non è il defunto nella sua essenza ma solo il suo èidolon, una immagine creata nell’organo onirico di una persona predisposta, stimolata da una qualche traccia anche lieve, impercettibile ai sensi.

I fenomeni spiritici sono stati descritti, fin dalle più antiche opere sull’argomento, in modi simili:
il bussare, l’apparente tentativo di forzare porte chiuse a chiave e non, il rumore di un oggetto caduto in casa, il chiassoso rovesciamento delle stoviglie in cucina, o della legna da ardere sul pavimento, che poi tornano silenziosamente in perfetto ordine, lo sbattere di botti, il rumore distinto di una bara inchiodata mentre muore un parente, passi strascicati o a tentoni in una stanza buia, gli strattoni alla coperta, l’odore di marcio, la richiesta di preghiere da parte degli spiriti, e simili (p. 78).
In alcuni casi, la visione può essere provocata da un vivente che ci sta pensando in modo talmente struggente e intenso da provocare nel nostro cervello la materializzazione della sua figura, non come spettro, come un’ombra, ma indistinguibile dalla realtà. Sono soprattutto i moribondi a manifestare questa capacità, riuscendo ad apparire ai loro cari nell’ora della morte, talvolta a persone diverse che si trovano in luoghi diversi. È invece molto più raro che questo effetto sia raggiunto da persone in salute.

Le visioni di questo tipo sono le più ingannevoli perché, per quanto possa sembrare che la persona ci appaia in carne ed ossa, «non sono assolutamente il frutto di un’azione esterna sui sensi, ma di un effetto magico esercitato sull’altro dalla volontà di colui da cui nascono» (p. 73). Tale influenza magica, esercitata anche dopo la morte, fa sì che un determinato spirito possa apparire in virtù della sua influenza diretta manifestando una presenza reale, personale, che permetterebbe anche di interagire con lui.

L’azione “in distans”

Come la chiaroveggenza, le cure per simpatia e il magnetismo, anche la magia (o meglio l’influenza magica) contraddice le leggi a noi note di spazio, tempo e casualità: perché l’effetto magico percorre una strada che non passa per spazio e tempo, ma la strada che attraversa la cosa in sé, che è anche l’essenza interna di ogni uomo, cioè la sua volontà.
tutte le cose di cui ci stiamo occupando e che si definiscono magiche sono radicate immediatamente nella cosa in sé e provocano nel mondo dell’apparenza fenomeni che, in base alle leggi di quest’ultimo, sono completamente inspiegabili [...] in tutti quei fenomeni il vero agente [forza motrice] è soltanto la volontà: il che dimostra che essa è la cosa in sé (p. 52).
Nella visione degli spiriti, ad esempio, la forza magica è esercitata dalla volontà del defunto, ancora orientato verso le questioni terrene, perché colui che appare non vuole semplicemente essere visto, ma anche compreso nelle sue intenzioni e azioni. La magia però non è prerogativa degli spiriti ma propria di ciascun individuo, in vita come in morte: tra coloro che hanno vissuto e coloro che vivono adesso non c’è alcuna differenza assoluta, perché in entrambi si manifesta la stessa volontà di vivere.

L’ultima parola spetta alla filosofia

Le visioni e le apparizioni degli spiriti, così come il sogno, sono fenomeni cerebrali percepiti attraverso i nostri sensi come rappresentazione, ma non per questo meno reali del nostro mondo reale. Chiarito con numerose argomentazioni l’aspetto organico, fisiologico delle visioni, quello metafisico, per Schopenhauer, risiede nel rifiuto di una distinzione aprioristica tra oggettivo e soggettivo: non esistono verità eterne, ma solo manifestazioni individuali della volontà, la “cosa in sé”, l’essenza intima dell’uomo e di tutte le cose, immutabile, immortale, unica e onnipotente, situata al di fuori del principio di spazio e tempo, che ciascuno, con la propria sensibilità e il proprio intelletto, manifesta secondo l’immagine che questa volontà ha assunto nel suo cervello.

Essendo inspiegabili con i nostri strumenti cognitivi, i fenomeni di cui ci stiamo occupando hanno finito con l’essere negati come se fossero impossibili, soprattutto a partire dalla “rivoluzione cartesiana” che ha scardinato il realismo su cui si basa tutta la demonologia e la scienza degli spiriti nell’antichità e nel medioevo.

Da questo principio di relatività e dal rifiuto delle “veritates eternae” trae la sua ragion d’essere l’idealismo, posizione molto diversa dallo spiritualismo secondo il quale l’uomo consisterebbe di due sostanze, un corpo materiale e un’anima immateriale, che si separano con la morte. In filosofia, l’idealismo ha restituito dignità a questi argomenti consentendo di formarsi un giudizio corretto e libero da pregiudizi, portando alla luce «quella magia che in epoche precedenti era avvolta nell’oscurità e si nascondeva» (p. 80).

[1] Per Swedenborg, il mondo è un insieme di realtà spirituali emanate da Dio. Arcana Coelestia è la sua opera omnia.
[2] Già nell’Oneirocritikon, il più antico di tutti i libri sui sogni, Artemidoro aveva distinto due generi di sogni e definito “teorematici” i sogni che sono simili a ciò che si vede.
[3] Tra i più antichi libri che riportano testimonianze di fenomeni spiritici Schopenhauer cita Lavater, De spectris (1569), Thyraeus, Loca Infesta (1598) e l’anonimo De spectris et apparitionibus Libri duo (1597).

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