Mormo, Gello, Carco, Empusa. Sono figure terrificanti appartenenti al genere delle Lamie, spesso evocate assieme ad altre entità femminili oscure quali Gorgo, Acco, Alfitò e Mormolice nei racconti con cui le nutrici spaventavano i bambini. Ma prima di entrare a far parte del folklore, e assumere contorni sempre più mostruosi e ripugnanti, la loro origine va ricercata lontano nel tempo, nel mito delle donne serpente e nella demonologia semitica.
Discendenza divina
Lamia era, almeno in origine, un nome proprio. Di lei si dice fosse figlia di Poseidone (θυγατέρα τῆς Ποσειδῶνος), la prima donna a cantare gli oracoli, e che la prima Sibilla giunta a Delfi dall’Elicona, dove era stata allevata dalle Muse, fosse sua figlia (Plutarco, De Pythiae oraculis, 9).
Ed è sempre Plutarco a dirci che, secondo il mito (ἐν τῷ μύθῳ), quando è a casa, prima di andare a dormire, la Lamia è cieca, poiché ripone gli occhi dentro un vaso, per poi rimetterseli quando esce (De curiositate, 2).
Nelle favole e nelle leggende, la figura di Lamia si confonde con altre entità femminili oscure. E così, alcuni ricordano che la madre di Scilla, spaventoso mostro marino, era la notturna Ecate (νυκτιπόλος Ἑκάτη, Apollonio Rodio, Argonautiche, IV, 829-830):
La malefica Scilla Ausonia che la notturna Ecate, detta anche Crateide, partorì a Forco
D’altronde anche Empusa, spaventosa figura cui spesso ci si riferiva al plurale, che si mostrava a volte nelle sembianze di una mula, a volte di una giovenca, altre con le fattezze di una bella donna, può figurare indipendentemente, ma anche come attributo di Ecate (Aristofane, frammenti, 500-501).
Lamia è grottesca, ripugnante, orribile e spaventosa, ma non è sempre stato così.
La storia è raccontata da Filostrato nel quarto libro della Vita di Apollonio. Un giovane di Corinto di nome Lycius, innamoratosi di una bella fanciulla sconosciuta, attratto da lei per occulto e magico potere, la fa sua sposa; ma nel giorno delle nozze scopre che in realtà è una Lamia, cioè una donna serpente che sparisce ad un tratto come un fantasma.
— Sulle donne serpente leggi anche Sangue di drago e sorellanze feeriche
A lei, il poeta romantico John Keats dedica un lungo poema scritto nel 1820, Lamia, un’opera quasi pittorica più che letteraria, ricca di descrizioni, splendida e magica, dove sogno e visione lasciano amaramente il posto al “risveglio” del protagonista, Lycius, salvato dal suo maestro, il filosofo Apollonio, dall’incantesimo di una esistenza fittizia (307-8) [6].
And Lycius’s arms were empty of delight,
As where his limbs of life, from that same night.
E le braccia di Lycius furono vuote di diletto, / come di vita le sue membra, da quella notte stessa.
La λάμια greca, il cui nome probabilmente è collegato con il sostantivo λαιμός, “gola”, “esofago”, ha caratteristiche simili alle striges latine, demoni con artigli e becchi ricurvi che lacerano le carni dei bambini come avvoltoi.
A questo aspetto del folklore greco forse allude Aristotele quando parla delle atrocità commesse da una donna che, dicono,
divorava i feti dopo aver squartato le donne gravide
(τὰς κυούσας ἀνασχίζουσαν τὰ παιδία κατεσθίειν, Etica nicomachea, 1148b.20).
— Leggi anche: Nocte volant. Le streghe secondo Ovidio
Altri demoni femminili, figure terrificanti spesso usate per spaventare i bambini, erano Acco, Alfitò, Gorgo, o Gorgira (Γοργύρα) moglie di Acheronte, per il fatto che «le cose nell’Ade appaiono impetuose» (γοργός, “truce”, “spaventoso”, “terribile”), e ancora Mormolice, o Mormolica, nutrice di Acheronte, il cui nome deriva da μορμώ/μορμολύττομαι, “spavento” (formido in latino) (Porfirio, Sullo Stige, fr. 4, e anche Strabone, Geografia, 1.2).
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John William Waterhouse, studio per Lamia (Yale Center for British Art) |
Demoni dalla Mesopotamia
Queste figure, prima di confluire nelle favole per bambini, risalirebbero all’epica sumera e ittita. Gello, ad esempio, che si diceva rubasse e mangiasse i bambini piccoli, trova una corrispondenza con Gallu, tra i nomi sumero-accadici più comuni per uno spirito maligno, che a sua volta ha un parallelo con Azugallatu/Asgelatas [3].
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Lamashtu, demonessa con testa di leone, artigli di uccello, in piedi su un asino, che brandisce serpenti e allatta un maiale e un cane. Lastra in bronzo da Carchemish, attuale Turchia (Burkert, The Orientalizing Revolution) |
Lamia, in particolare, oltre che per la corrispondenza del nome, assomiglia per molti aspetti alla demonessa Lamashtu — Dimme in sumerico — figlia del dio Anu, temuta dalle donne incinte, dalle partorienti e dalle madri, che si proteggevano da lei con amuleti, sigilli e immagini.
Un’entità che ha travalicato i confini della Mesopotamia per espandersi in tutto il Vicino Oriente Antico e nel mondo fenicio, dall’Età del Bronzo fino al periodo neoassiro. [4] Fino all’Italia, come attesta un amuleto di Lamashtu del 700-500 aev rinvenuto a Poggio Civitate, area archeologica etrusca vicino Siena, probabilmente arrivato fin lì dal nord della Siria, dove la demonessa è raffigurata con gli artigli e, ai suoi seni, presumibilmente un cane e un maiale [5]. Nel mito greco, non a caso, a Lamia è riconosciuta un’origine semitica, poiché figlia del fenicio Belo.
L’iconografia di Lamashtu la ritrae nuda, con la testa di leone, seni pendenti da cui succhiano un maiale e un cane, zampe di uccello rapace; spesso tiene un serpente in ogni mano. È rappresentata con un ginocchio piegato, nell’atto di spiccare il volo.
Oltre che con la Lamia, Lamashtu ha molto in comune anche con un altro mostro greco, la Gorgone — i tratti leonini, i serpenti, l’immagine del “mostro in fuga” — anche se, nella cultura greca, non è la magia che sconfigge il mostro e la paura pietrificante, ma l’azione dell’eroe, Perseo.
— Sulla figura della Gorgone leggi anche O mostro, o Gorgone, o Medusa, o Sole
Lamia e Lilith
Ma è solo con il Medioevo cristiano che queste entità assumono connotazioni “demoniache”, subendo un profondo cambiamento rispetto alla tradizione più antica.
Per Gervasio di Tilbury (Otia imperialia, 1660 ca.), così come per molti autori e lessicografi medievali, il nome lamia deriverebbe dal verbo laniare, “dato che esse lacerano i bambini” [1]. Lo stesso Gervasio afferma che
Hoc animal Hebraice vocant ledith
dove ledith può essere letto Lilith, parola derivante a sua volta dal nome assiro del demone notturno di genere femminile Lilitu, equivalente della parola “uccello notturno vampiresco”.
— Sulla figura di Lilith, prima moglie di Adamo, leggi Nata dalla Luna. Il mito di Lilith nella letteratura ebraica
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Jacob van Maerlant, Der Naturen Bloeme, Utrecht, 1450-1500 (Medieval Illuminated Manuscripts) |
C’è poi un elemento erotico, anche se subdolo, che non sfugge nella rappresentazione delle lamie: per ghermire la loro preda umana, mostrano il seno destando desiderio (Lamiae nudaverunt mammas, testimonia ancora Gervasio) e, quando il malcapitato si avvicina, esse lo avvinghiano con i loro artigli e lo divorano.
Nel Medioevo le lamie sono rappresentate come mostri dal volto umano e il corpo animalesco, di grandi dimensioni e feroci (quod lamia est bestia ferocissima, ancora Gervasio), escono di notte dai boschi, abbattono gli alberi e poi penetrano nei giardini e nelle case per mordere gli esseri umani (Tommaso di Cantimpré, Liber de natura rerum, prima metà del XIII secolo; cfr. anche Papias, Elementarium doctrinae rudimentum, sub voc.) [2]:
Lamia animal est magnum et crudelissimum. Nocte silvas exit et intrat ortos et frangit arbores et ramos eius dissipat, et hoc per brachia fortia nimis habilitata ad omnem actum. At ubi homines supervenerint ad prohibendum, pugnat cum eis et mordet eos.
Umana, ferina, divina, leggendaria, splendida o spaventosa, strega, maliarda, megera, incantatrice, singola e plurale. Così Lamia ha attraversato i millenni, giungendo fino a noi nella sua terrificante, multiforme ambivalenza.
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