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Teofania e morte di Pan. Dal Dialogo sul tramonto degli oracoli

Pan comunica la sua presenza ai mortali attraverso prodigi che generano stupore, con parole sussurrate che giungono da lontano o melodie suonate con il suo flauto, senza mai rendere manifesta la sua figura. Così, la causa scatenante delle crisi paniche descritte nella letteratura antica è spesso una voce innaturale, di origine inspiegabile, che provoca spavento e confusione. Antica divinità delle greggi e dei boschi i cui luoghi di culto sono frequentati fin dall’età neolitica, Pan “muore” in un passo di Plutarco (47-127 ev) tratto dal Dialogo sul tramonto degli oracoli, in cui domina con tutta la sua drammaticità la premonizione della fine di un mondo.

Peter Paul Rubens, Pan reclining, 1610 ca. (National Gallery of Art)

Dio d’Arcadia / Una presenza che incombe invisibile / Teofania di Pan / Pan e la crisi del mondo antico / Sulla morte dei daimones / Il grande Pan è morto / Un arcano gemito

Dio d’Arcadia

Pan, dio dei campi aperti, delle greggi e dei boschi che si estendono fuori dai centri abitati, divenne molto popolare in tutto il mondo greco. I suoi attributi sono la syrinx, il flauto, e il pedum, il bastone da pastore. 

Dio pastore amato figlio di Hermes, selvaggio e caprino, bicorne, irsuto, che regna sulle alture nevose, lungo lo scorrere dei fiumi, sulle valli e tra le rupi scoscese, fa strage di fiere e danza con le ninfe mentre talora, al tramonto, tornando dalla caccia, suona solitario una musica limpida e serena... Così lo celebra Omero nel suo inno n. 19.

Le prime evidenze archeologiche di un culto a Pan (due statuette votive in bronzo con iscrizioni, in una delle quali sono identificati una brocca e un montone come offerte) risalgono all’ultimo terzo del VI secolo aev e provengono dal monte Lykaion, nella regione d’Arcadia. 

Nonostante Pan fosse cultuato prevalentemente in luoghi extraurbani, all’interno di antri e grotte quasi sempre posti ai margini del territorio controllato da una comunità, le tracce archeologiche testimoniano la presenza di un antico santuario proprio in questa “ruvida” regione pastorale (di cui non rimangono che pochi resti di edifici), sulle pendici meridionali del monte Lykaion presso la sorgente del fiume Neda, luogo da cui provengono le statuette votive, oltre a terracotte e altri frammenti e ritrovamenti di figure umane e animali sotto forma di sagome ritagliate in lamine di bronzo.

Probabilmente Pan non fu l’unico dio a ricevere voti nel santuario. L’elaborata statuetta di Hermes Kriophoros (“portatore di ariete”) rappresenta forse la seconda divinità venerata nel sito; indossa stivali alati, un corto chitone e un cappello a punta curiosamente decorato sulla sommità da un mazzo di piume. E non è escluso che vi venisse venerata anche una terza divinità, a giudicare da una statuetta rinvenuta nel sito raffigurante un giovane che impugna un arco, che può essere identificato con Apollo.

Ma l’antichità di Pan sembra andare ben oltre il periodo cui risalgono queste testimonianze archeologiche, se è vero che, come suggerisce il suo nome, questo dio può essere collegato al vedico Pushan, guardiano del bestiame, con una funzione simile legata al mondo pastorale. La radice del nome Pan potrebbe quindi affondare nella lingua proto-indoeuropea parlata dalle popolazioni che abitavano le steppe a nord del Mar Nero tra il 4500 e il 2500 aev, prima di separarsi in seguito alle migrazioni e gradualmente evolversi in linguaggi distinti.

Gli epiteti di Pan rimandano tutti ai suoi antichi attributi agropastorali: Agreus (della caccia, cacciatore), Agrotas (donatore di pascoli), Haliplanktos (che girovaga per il mare),  Nomios (dei pascoli), ma anche Lyterios (il liberatore, riferito al suo ruolo nella fine dellepidemia che colpì Atene e parte della Grecia meridionale nel 400 aev), Phorbas (il terrificante), Sinoeis (dispetto, o rovina) e Skoleitas (storto).

(Cfr. U. Hübinger, On Pan’s Iconography and the Cult in the Sanctuary of Pan on the Slopes of Mount Lykaion, in The Iconography of Greek Cult in the Archaic and Classical Periods: Proceedings of the First International Seminar on Ancient Greek Cult, organised by the Swedish Institute at Athens and the European Cultural Centre of Delphi (Delphi, 16-18 Novembre 1990), Presses universitaires de Liège, Liège 1992, pp. 189-207; P. Robichaud, The Great God’s Modern Return, Reaktion Books, London 2021.)

Leggi anche: Nuove ipotesi sul culto di Pan

Frammento di un cratere a voluta dal santuario arcadico raffigurante Pan dalle fattezze caprine (fonte)

Una presenza che incombe invisibile

La descrizione di una crisi di panico come fenomeno psicologico in rapporto al dio Pan emerge in termini specifici a partire dal IV sec. aev. Enea Tattico (un comandante arcade, vissuto nella prima metà del IV secolo aev) è il primo a darne testimonianza, nei Poliorketica, chiamandolo però πανείων e non, come accadrà più tardi πανικὸν.

La natura di questo fenomeno e sia umana, perché si manifesta nel mondo degli uomini, sia divina, in quanto si tratta di un potere che Pan può scatenare contro i suoi nemici o in soccorso dei suoi alleati. L’episodio più noto è riportato da Erodoto (Storie, 6, 105 ss.): alla vigilia della battaglia di Maratona contro i Persiani, gli Ateniesi inviarono a Sparta un araldo a chiedere alleanza — richiesta che, alla fine, non venne accolta. Lungo la strada, il messaggero fu testimone di un prodigio: udì la voce di Pan il quale, senza mostrarsi nell’aspetto, chiedeva agli Ateniesi di rivolgergli tutti gli onori, affinché potessero continuare a ricevere il suo aiuto.

Quale fu l’entità dell’intervento di Pan durante la battaglia è, tuttavia, sconosciuta. Non si sa se il dio fosse direttamente accanto agli Ateniesi, oppure se abbia provocato una “crisi di panico” nell’esercito nemico, inducendolo a una ritirata precipitosa, o se semplicemente abbia impedito agli Ateniesi di cadere nello sconforto per essere stati lasciati soli. 

Quello che conta, per gli autori antichi, non è il modo ma la capacità di Pan di controllare il panico, provocando disordini che sono interpretati come un fenomeno soprannaturale e una chiara manifestazione del suo favore. 

All’improvviso si assiste a un capovolgimento, un ribaltamento caotico di una condizione naturale, insieme a una brusca e repentina interruzione dei normali canali di comunicazione — a causa ad esempio della perdita della capacità del linguaggio, su cui Pan sembra esercitare un significativo controllo. Così instillato, il panico può assalire gli uomini con allucinazioni e immotivati timori, impedendo loro di distinguere la realtà, fino a condurli alla follia. 

Teofania di Pan

Le caratteristiche del panico sono l’immediatezza e l’irrazionalità e alcuni dei suoi elementi ricorrenti sono voci e suoni incorporei, innaturali, fenomeni acustici inspiegabili dal forte impatto emozionale che provocano spavento e confusione. 

Pan, da abile musicista, è in effetti un dio legato alla sfera del suono e comunica la sua presenza attraverso parole che giungono da lontano o tramite melodie suonate con il suo flauto, senza rendere manifesta la sua figura ai mortali. Anche la musica si declina in conseguenza del favore o della punizione del dio: può infatti essere capace di creare e preservare l’ordine, o viceversa distruggere tale ordine e squarciare il tessuto sociale. Nelle Avventure pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista, gli uomini che hanno rapito la fanciulla si sono attirati l’ira del dio e trascorrono notti insonni e giorni spaventosi, pieni di terribili prodigi, tra cui l’alzarsi di una musica di zampogna così terribile da sembrare una tromba di guerra.

Nonostante la componente allucinogena, il panico non è però un’esperienza compiutamente onirica; Pan è comunque frequentemente legato al mondo del sogno: egli può comparire nei sogni oppure indurre con incanti i sogni a occhi aperti, che si rivelano pericolosi inganni.

Quello che contraddistingue il panico da altri fenomeni psicologici è la sua dimensione plurale, anche se non si può definire un fenomeno “di massa” perché è piuttosto la somma di tanti vissuti psicologici individuali che determina una condizione in cui sprofonda un’intera collettività (un esercito, un gruppo di uomini in armi, una flotta).

La causa scatenante è spesso una voce che inizia a circolare, generando paura e confusione, in un momento che si carica di tensione, come è la sola voce del dio che si fa udire da qualcuno per annunciare il suo intervento. Il fenomeno del panico sembra proprio condensarsi nella voce.

Il legame tra Pan e la guerra rappresenta uno snodo teorico di non facile soluzione; la dimensione bellica di Pan potrebbe procedere da quella della pastorizia e della caccia, cui la guerra è talvolta associata (per l’uso delle armi, ad esempio, nella lotta uomo contro uomo o uomo contro animale).

(Cfr. L. Boragno, Panico! La potenza di una epifania musicale. Alcune considerazioni fra sacro e profano, in “Historika”, 9, 2019, pp. 297-352.)

Attori nelle vesti di Pan, 475-450 aev (via Luna Commons)

Pan e la crisi del mondo antico

Il concetto di panico è servito a definire una serie di fenomeni che erano noti nell’arte militare greca fin dal V secolo per poi cambiare lentamente significato, perdendo via via di specificità, assimilato sempre più alle paure notturne o riducendosi ad una pura emanazione del potere divino. Come Pan, anche il panico si dimostra essere flessibile, adattandosi a situazioni e contesti differenti.

Plutarco, nel Dialogo sul tramonto degli oracoli, riporta un episodio in cui una voce fu udita all’improvviso, e con grande sgomento, dai passeggeri di una nave diretta in Italia. La voce si rivolgeva, chiamandolo per nome, a un membro dell’equipaggio, intimandogli di annunciare la morte di Pan. Obbedendo all’ordine, l’uomo fece l’annuncio e subito si udì un lamento, «un gran gemito, non di una persona sola, ma di tante, pieno di stupore». 

E così Pan, insieme ai poteri da lui incarnati fatti di suoni, emozioni ed erotismo, “muore” in un giorno qualunque, nelle prime decadi dell’era volgare, mentre a Roma regnava Tiberio. Lo stesso imperatore rimase molto colpito dalla notizia, che già circolava per tutta la città, e volle conoscere il protagonista per farsi personalmente raccontare quanto accaduto.

Dell’ampia produzione letteraria di Plutarco (47-127 ev) ci rimangono numerose opere, suddivise in due grandi complessi: le Vite parallele e i Moralia, in cui sono compresi circa 80 scritti di natura eterogenea per struttura, estensione e tematica, i cui argomenti vanno dalla filosofia alla politica, dalla storia alla critica letteraria, dalla religione alle scienze fisiche e naturali. Il filo conduttore di questi brani è il confronto tra la tradizione antica e classica, irripetibile, in cui la Grecia riponeva la sua dignità e la sua gloria, e il proprio tempo, un’età di crisi dove domina la premonizione della fine di un mondo. 

L’erudito Plutarco, intriso di platonismo, percepiva con molta chiarezza quanto anche la religione fosse soggetta ai mutamenti della storia. A questa crisi, egli opponeva una fiducia incrollabile nell’eternità dei valori dell’Ellade, nel tentativo di ricavare una dimostrazione razionale che vanificasse il terrore per una imminente estinzione degli dei.

L’occasione di questo trattato è una conversazione tra uomini dotti che si svolge a Delfi ai tempi di Plutarco in cui intervengono diversi personaggi. Qui sono nominati il giovane Eracleone, amico dello scrittore, e lo storico Filippo di Prusa, seguace dello stoicismo. L’argomento si riallaccia al quesito posto in precedenza, cioè se i demoni (daimones) possono morire.

(Traduzione di M. Cavalli in D. Del Corno, Antologia della letteratura greca, vol. 3, pp. 486-93. Qui il testo greco.)

Sulla morte dei daimones

17. [...] περὶ δὲ θανάτου τῶν τοιούτων ἀκήκοα λόγον ἀνδρὸς οὐκ ἄφρονος οὐδ᾽ ἀλαζόνος. Αἰμιλιανοῦ γὰρ τοῦ ῥήτορος, οὗ καὶ ὑμῶν ἔνιοι διακηκόασιν, Ἐπιθέρσης ἦν πατήρ, ἐμὸς πολίτης καὶ διδάσκαλος γραμματικῶν. οὗτος ἔφη ποτὲ πλέων εἰς Ἰταλίαν ἐπιβῆναι νεὼς, ἐμπορικὰ χρήματα καὶ συχνοὺς ἐπιβάτας ἀγούσης: ἑσπέρας δ᾽ ἤδη περὶ τὰς Ἐχινάδας νήσους ἀποσβῆναι τὸ πνεῦμα, καὶ τὴν ναῦν διαφερομένην πλησίον γενέσθαι Παξῶν.

Quanto alla morte di questi esseri, io ho sentito la storia di un uomo che non era né uno sciocco né un imbroglione. Alcuni di voi hanno ascoltato il retore Emiliano [la sua esistenza storica è accertata da Seneca il Vecchio], che era figlio di Epiterse, mio concittadino e maestro di grammatica. Proprio lui mi raccontò che una volta si era imbarcato per l’Italia su un mercantile con molti passeggeri a bordo: alla sera, quando già si trovavano presso le isole Echinadi [oggi Curzolari, nella Grecia occidentale], il vento cadde di colpo, e la nave fu trasportata dalla corrente fino a Paxo [isola a sud dell’odierna Corfù].

Il grande Pan è morto

ἐγρηγορέναι δὲ τοὺς πλείστους, πολλοὺς δὲ καὶ πίνειν ἔτι δεδειπνηκότας: ἐξαίφνης δὲ φωνὴν ἀπὸ τῆς νήσου τῶν Παξῶν ἀκουσθῆναι, Θαμοῦν τινος βοῇ καλοῦντος, ὥστε θαυμάζειν. ὁ δὲ Θαμοῦς Αἰγύπτιος ἦν κυβερνήτης οὐδὲ τῶν ἐμπλεόντων γνώριμος πολλοῖς; ἀπ᾽ ὀνόματος. δὶς μὲν οὖν κληθέντα σιωπῆσαι, τὸ δὲ τρίτον ὑπακοῦσαι τῷ καλοῦντι: κἀκεῖνον ἐπιτείνοντα τὴν φωνὴν εἰπεῖν “ὁπόταν γένῃ κατὰ τὸ Παλῶδες, ἀπάγγειλον ὅτι Πὰν ὁ μέγας τέθνηκε”.

Quasi tutti i passeggeri erano svegli e molti, terminata la cena, stavano ancora bevendo. All’improvviso si sentì una voce dall’isola di Paxo, come di uno che gridasse il nome di Tamo. Questo Tamo era un pilota egiziano, ma quasi nessuno dei passeggeri lo conosceva per nome. Due volte la voce dell’uomo lo chiamò, e lui stava zitto. Alla terza rispose, e allora quello con tono più alto disse: “Quando sarai a Palode, annuncia che il grande Pan è morto”.

τοῦτ᾽ ἀκούσαντας, ὁ Ἐπιθέρσης ἔφη, πάντας ἐκπλαγῆναι καὶ διδόντας ἑαυτοῖς λόγον εἴτε ποιῆσαι βέλτιον εἴη τὸ προστεταγμένον εἴτε μὴ πολυπραγμονεῖν ἀλλ᾽ ἐᾶν, οὕτω γνῶναι τὸν Θαμοῦν, εἰ μὲν εἴη πνεῦμα, παραπλεῖν ἡσυχίαν ἔχοντα, νηνεμίας δὲ καὶ γαλήνης περὶ τὸν τόπον γενομένης, ἀνειπεῖν ὃ ἤκουσεν. 

A queste parole, diceva Epiterse, tutti restarono sbalorditi, e si domandavano se fosse meglio eseguire l’ordine oppure non darsene cura. Allora Tamo decise che, se ci fosse stato vento, avrebbero costeggiato la riva in silenzio; se invece giunti là avessero trovato bonaccia, avrebbe riferito la notizia. 

Un arcano gemito

ὡς οὖν ἐγένετο κατὰ τὸ Παλῶδες, οὔτε πνεύματος ὄντος οὔτε κλύδωνος, ἐκ πρύμνης βλέποντα τὸν Θαμοῦν πρὸς τὴν γῆν εἰπεῖν, ὥσπερ ἤκουσεν, ὅτι “Πὰν ὁ μέγας τέθνηκεν”. οὐ φθῆναι δὲ παυσάμενον αὐτόν, καὶ γενέσθαι μέγαν οὐχ ἑνὸς ἀλλὰ πολλῶν στεναγμὸν ἅμα θαυμασμῷ μεμιγμένον. 

Quando infine arrivarono a Palode, non un soffio di vento, non un’onda. Allora Tamo, sulla poppa, guardò verso terra e gridò: “Il grande Pan è morto”. Non aveva quasi finito di dirlo, che subito si levò un gran gemito, non di una persona sola, ma di tante, pieno di stupore. 

οἷα δὲ πολλῶν ἀνθρώπων παρόντων, ταχὺ τὸν λόγον ἐν Ῥώμῃ σκεδασθῆναι, καὶ τὸν Θαμοῦν γενέσθαι μετάπεμπτον ὑπὸ Τιβερίου Καίσαρος. οὕτω δὲ πιστεῦσαι τῷ λόγῳ τὸν Τιβέριον, ὥστε διαπυνθάνεσθαι καὶ ζητεῖν περὶ τοῦ Πανός: εἰκάζειν δὲ τοὺς περὶ αὐτὸν φιλολόγους συχνοὺς ὄντας τὸν ἐξ Ἑρμοῦ καὶ Πηνελόπης; γεγενημένον’ ὁ μὲν οὖν Φίλιππος εἶχε καὶ τῶν παρόντων ἐνίους μάρτυρας, Αἰμιλιανοῦ τοῦ γέροντος ἀκηκοότας.

In molti avevano assistito al fatto, e ben presto la sua fama si sparse per Roma. L’imperatore Tiberio, allora, mandò a chiamare Tamo, e tanta fu la sua fede nel racconto del marinaio che volle informarsi e fare indagini su questo Pan: i filologi di corte congetturarono che fosse il figlio di Hermes e Penelope». Molti dei presenti confermarono il racconto di Filippo, che già avevano sentito narrare dal vecchio Emiliano.

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