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Processo per magia ad Apuleio di Madaura

Romanziere, poeta, avvocato, medico, scienziato, oratore, maestro, filosofo, conferenziere, saggista... per di più bello, elegante, mondano: Apuleio ha 33 anni ed è all’apice della gloria quando subisce un processo in seguito all’accusa di aver esercitato pratiche di magia sulla ricchissima Pudentilla allo scopo di carpirle la dote, e poi anche indicato come il probabile avvelenatore del figliastro Ponziano (dicunt Apuleio Madaurensi magiae crimine reo). 

Pseudo Apuleio, Herbarium o De medicaminibus herbarum liber, in un manoscritto del XV secolo, via Wellcome Collection

Apuleio platonico e mistico / «Apuleio m’ha stregata» / Processo a un intellettuale / Apuleio naturalista e medico / Leggi romane contro la magia / La difesa/ Cos’è un mago?

Il processo per magia contro Apuleio di Madaura (oggi Mdaurusc’, Algeria), giovane e brillante uomo di lettere e di scienze originario dell’Africa latina, autore delle Metamorfosi (meglio conosciute con il titolo L’asino d’oro), si è celebrato a Sàbrata (Libia) nel 158 d.C. 

Da tutte le parti sono accorsi amici, nemici, famigliari e curiosi, poiché il nome dell’accusato era molto noto, e il foro era gremito. A presiedere il dibattito c’èra il proconsole di Roma e giudice supremo, Claudio Massimo, durante gli ultimi anni di regno di Antonino Pio. 

Apuleio platonico e mistico

Filosofo e conferenziere itinerante, retore “curioso di magia” alimentato dal clima della nuova sofistica, Apuleio ha dimostrato sempre vivo interesse per la sfera mistico-magica e attenzione ai problemi religiosi, approfondendo la conoscenza di molti culti fino all’iniziazione nei rispettivi misteri.

Il suo curriculum di formazione, come ricorda egli stesso, è molto ampio e parte dagli studi di grammatica e retorica a Cartagine fino al perfezionamento ad Atene, dove si dedica allo studio della geometria, della musica, della poesia, della dialettica e soprattutto della filosofia universale (universa philosophia), nella cornice concettuale del platonismo. Fu naturalmente anche a Roma, dove risiedette per vario tempo ed esercitò l’avvocatura.

Sullo sfondo la “dolce vita” di un’età corrottissima, quella in cui la compagine dell’impero, dietro l’immagine rassicurante della pubblicistica di regime, è minacciata dalle popolazioni barbariche ai confini e percorsa al suo interno da forti contrasti. Il desiderio di cambiamento e riscatto, le frustrazioni sociali per i problemi irrisolti se non addirittura ignorati, tutta la sfera delle angosce e delle paure individuali e collettive sfocia nella tensione verso nuove esperienze religiose, nella ricerca di una religiosità “personale” che non trova più soddisfazione nelle istituzioni ufficiali.

Ed ecco che, nella letteratura del I e II secolo, si possono incontrare sorprendenti intrusioni del mondo della magia e del sogno, dell’orrido e dell’angoscia, del misterioso e dell’ignoto (come ad esempio Una scena di necromanzia nella Pharsalia di Lucano). 

«Apuleio m’ha stregata»

Durante uno dei suoi molti viaggi, da Cartagine all’Egitto, giunge a Oeia (Tripoli) e vi si ferma a lungo, tra amici e ammiratori, finendo con lo sposare Pudentilla, una matrona ricchissima, non più giovane, che una vedovanza di quattordici anni aveva portato a un languore quasi mortale: 

Era afflitta dalla lunga astinenza, deperiva di giorno in giorno, si riduceva in fin di vita. I medici, che la visitavano, gli ostetrici, erano tutti dello stesso parere: i suoi malesseri erano prodotti dalla mancanza di un marito, e tutti le consigliavano di provvedere urgentemente, per non aggravare il male. Fino a che l’età lo avesse consentito, il matrimonio sarebbe stato per lei la più salutare delle medicine (p. 37).

E perché non proprio Apuleio, giovane, famoso, colto e brillante intellettuale, che aveva imparato a conoscere e apprezzare durante il soggiorno di lui in casa sua? Ma ben presto la situazione cambia e Apuleio perde il favore dei figliastri, divenendo vittima di loschi intrighi famigliari che sfociano nella misteriosa morte di uno dei figli di Pudentilla, Ponziano. Ed ecco che l’accusa contro di lui si delinea.

A trascinarlo in tribunale è l’altro figliastro, il giovane Pudente, dietro il quale muove i fili lo zio Emiliano. L’accusa è quella di aver circuito e fatto innamorare di sé Pudentilla, descritta come una vedova ingenua e indifesa, di averla fatta impazzire d’amore con l’uso di nefandi afrodisiaci, di averle tolto il senno inculcandole l’odio per i propri figli, allo scopo di impossessarsi del suo patrimonio: 

Pudentilla, che ostinatamente era rimasta nello stato vedovile per ben quattordici anni, che viveva sola e tutta dedita alla famiglia ed ai figli, improvvisamente si butta nelle braccia di uno straniero, scaccia di casa le sue creature e consegna corpo e sostanze a uno sconosciuto! (p. 20). 

Quello che viene percepito come pericoloso è che, con i suoi incantesimi, le pozioni, le formule magiche e con la sua potenza ipnotica, il mago sia in grado di turbare gli animi di chiunque, fino a piegare ai suoi nefandi arbitri la volontà altrui. 

Processo a un intellettuale

L’accusa incalza: Apuleio è «un pericolo permanente per le vite umane» ed è in grado di dare anche la morte con incantesimi e pozioni, affidandosi a forze occulte. 

E fate attenzione al suo aspetto! Non vi lasciate ingannare dalla sua cultura, dalla sua eloquenza, dal suo greco, dal suo latino. Eloquenza e aspetto piacevole sono le armi delle quali si serve per sedurre (p. 11).

Spuntano anche accuse di «riti sacrileghi, riti erotici», «sacrifici notturni» praticati durante le «orge» compiute insieme all’amico Quinziano, a cui un cancelliere del foro aveva affittato la casa a Roma per poi ritrovarla, al suo ritorno, in grande stato di disordine.

A questo punto si sospetta di tutto, anche della polverina bianca e profumata, confezionata dallo stesso Apuleio con certe piante aromatiche d’Arabia e poi donata agli amici, un dentifricio portentoso che serve per pulire e sbiancare i denti. Che non sia invece una pericolosa pozione affatturata? Pure è opera di magia, secondo i detrattori, l’essersi trasformato «con un colpo di bacchetta magica» (p. 15) da straniero miserabile e sconosciuto a ricco e raffinato signore di città, grazie alle sue arti seduttive. 

Apuleio è una persona colta e parla anche le lingue antiche, sconosciute ai più. Per questo il parlare persiano, «la lingua dei maghi», è addotto come una delle prove contro di lui. In quanto poeta, lo si accusa inoltre di scrivere versi d’amore, o meglio erotici, giudicati “pornografici” e immorali.

Tra gli strumenti di cui si serve per le sue “fatture”, l’accusa annovera anche «il malefico specchio»:

C’è chi lo ha visto aggirarsi per luoghi solitari, proiettando la luce del sole sugli oggetti più vari, facendo cadere i raggi su erbe, su pietre ed animali. Perché? E la sua impunità lo ha reso così sfacciato che non compie più le sue imprese col favore delle tenebre, in luoghi reconditi, ma, da quando ha messo le mani sul patrimonio della moglie, passeggia in lungo e in largo con arrogante sfrontatezza (p. 14). 

Il processo ricostruisce il modo in cui Apuleio avrebbe preparato le sue pozioni:

Gli ingredienti, che sono alla base di ogni sua fattura, li ricava dalle erbe, dalle pietre, dalle viscere degli animali, in special modo dai pesci. Del resto, il potere afrodisiaco dei pesci è noto a tutti (p. 15).

In particolare, egli avrebbe acquistato da un pescatore un pesce raro e velenosissimo, la cosiddetta lepre di mare, per trarne gli organi e le viscere «con cui il mago impasterà i suoi afrodisiaci, gli afrodisiaci che usa per sfogare impunemente la sua libidine» (p. 18). 

Apuleio naturalista e medico

Gli scritti di filosofia naturale (De piscibusDe arboribusDe re rusticaMedicinaliaDe musicaAstronomica) sono per noi perduti, ma la fama di Apuleio come naturalista e medico (e mago) è stata così grande che si diffusero sotto il suo nome scritti e ricettari, certamente non autentici, a metà tra medicina empirica e pratiche magiche. È il caso ad esempio dello Herbarum medicaminibus (IV sec.), un erbario che descrive le proprietà curative delle piante, e una raccolta di rimedi erboristici tratti da fonti greche e latine, De remediis salutaribus.

Pseudo Apuleio, Herbarium o De medicaminibus herbarum liber, in un manoscritto del XV secolo, via Wellcome Collection

Accanto alla produzione perduta e a quella spuria, altri tre trattati sono ritenuti autentici, De deo Socratis (qui la traduzione in inglese) e De Platone et eius dogmate, legati al corpo della dottrina platonica, e De mundo, rifacimento dell’omonima opera pseudoaristotelica (qui la traduzione in inglese). 

Il giovane Apuleio aveva fama di essere anche un abile guaritore, «che molti erano stati da lui miracolati» (p. 18), e a lui spesso si rivolgevano le persone le cui malattie o disturbi i medici non erano stati in grado di scoprire. Tra queste, una donna che soffriva, senza saperlo, di epilessia lo aveva consultato per dei ronzii alle orecchie. 

I testimoni sembrano poi insistere su un particolare aspetto di Apuleio, il suo sguardo, veicolo di un occulto potere incantatore. Uno sguardo penetrante, insistente, ipnotico: «mi guardò a lungo», «continuava a fissarmi negli occhi», «mi fissava negli occhi» (p. 19), ripete la donna epilettica, «mi guardava fisso», «insisteva a fissarmi senza parlare» (p. 15), racconta il pescatore.

Poiché la donna, durante il consulto con Apuleio, era caduta in terra svenuta, il poeta viene accusato di averle fatto appositamente perdere i sensi, così, «per sfoggio di magia», come avrebbe fatto con un giovane schiavo davanti a quattordici servi e compagni che possono testimoniare il fatto:

lo hai condotto in luogo appartato e, al lume di una fioca lucerna, alla presenza di alcuni compagni della tua risma, hai operato l’incantesimo. Tallo stramazzò a terra come morto e, tornato in vita, nulla ricordava di quanto accaduto.

Leggi romane contro la magia

Avendo raccolto le testimonianze, l’accusa conclude che vi siano sufficienti prove a sfavore di Apuleio e invoca la pena capitale secondo la Lex Cornelia de sicariis et veneficis, promulgata dal dittatore Cornelio Silla nell’82 aev e ancora vigente al momento del processo:

Con la pena capitale saranno colpiti coloro che, con arti subdole, hanno fatto perdere la vita ad esseri umani, o con pozioni venefiche, o con parole magiche, anche soltanto mormorate o sussurrate.

Le leggi cornelie (Leges Corneliae) furono emanate per riordinare la legislazione in materia di illeciti penali ed erano note per essere rigorosamente repressive. La legge cui si appella l’accusa nel processo ad Apuleio, in particolare, non solo prevedeva i casi di avvelenamento, ma conteneva disposizioni contro coloro che producevano, vendevano, compravano, possedevano o davano veleno allo scopo di uccidere.

Nell’«immenso cumulo delle leggi romane, successivamente sovrappostesi l’una all’altra» (p. 21), è difficile rintracciare le norme che si sono occupate della materia magica a Roma. Disposizioni contro i reati di incantesimi (malum carmen) e avvelenamenti si supponeva fossero contenute nelle Dodici Tavole. 

(Sul giudizio romano sulla magia, leggi Veneficio, incantesimo, divinazione. Magia “ingiusta” e “nefasta” a Roma). 

La condizione di Apuleio è poi ulteriormente aggravata dal fatto che l’omicidio si sarebbe consumato nell’ambito della sfera famigliare, circostanza che prevedeva una pena particolarmente severa:

Tale pena non sarà eseguita né con il ferro, né con il fuoco, né con impiccagione, né con altro mezzo contemplato nella normale giustizia. Il reo sarà cucito in un sacco di cuoio insieme a un cane, a un gallo, a una vipera, a una scimmia, e sarà gettato nel mare, o nel più vicino fiume, a seconda delle possibilità della regione, in modo che il reo, fino a che viva, non potrà più vedere il cielo; né la terra dovrà più sopportare l’odioso peso.

La difesa

Apuleio, avvocato di sé stesso, rigetta e smonta a una a una tutte le accuse proclamandosi pubblicamente innocente: sono solo calunnie, nessuna prova inconfutabile, solo meschine ridicole ingiuriose menzogne architettate contro di lui per invidia. 

La polverina bianca è un innocente rimedio per l’igiene orale e non una mistura velenosa, i carmi erotici non sono cose “da stregoni” e infatti ne produssero poeti della schiatta di Saffo, Alceo, Anacreonte e Simonide, la falsa testimonianza delle presunte orge e riti notturni consumati nella casa in affitto sarebbe stata comprata per tremila sesterzi. 

Lo specchio, poi, sarebbe servito non a pratiche magiche ma a sperimenti di ottica, sulla scorta di studi condotti nel campo della fisica come riportato anche nel trattato sugli specchi ustori di Archimede di Siracusa. Anche gli esperimenti sui pesci erano scevri da intenzioni “occulte” ma condotti a fini di ricerca. Ricerche che sarebbero poi confluite nel trattato scientifico De piscibus, tra quelli andati perduti. 

Quanto alla sua nascita, poiché accusato di essere uno straniero “di sangue misto”, egli rivendica la dignità delle proprie origini:

Hai detto che sono di sangue misto, mezzo beduino e mezzo berbero. Non lo nego. Gran scoperta! La mia patria è terra di confine. Madaura sorge su una delle vie carovaniere, che uniscono la costa alle lontane oasi del deserto libico. Ma non vedo che cosa ci sia di vergognoso per me, come per altra gente. Non è il candore della pelle quello che conta, ma il candore dell’anima. Non come si nasce è importante, ma come si vive e come ci si comporta (p. 27).
Apuleio di Madaura, dalla brochure dello spettacolo

Cos’è un mago?

Il cuore dell’accusa, al di là dei singoli aneddoti, consiste comunque nella pratica della magia. Ma gli stessi grandi filosofi, quelli che non sono stati accusati di essere atei e irreligiosi per aver indagato razionalmente l’essenza delle cose come Democrito ed Epicuro, sono stati tacciati di essere stregoni:

Di loro, il volgo ignorante ha detto spesso che sono maghi: mago è Orfeo, Pitagora, Empedocle, che svelava i riti dei suoi catharmòi, ossia purificazioni; Socrate, che udiva dentro di sé parlare il suo dàimon; Platone, che vedeva sempre in ogni luogo la presenza dell’agatòn, il sommo bene.

L’accusa stessa di magia, per Apuleio, è insussistente:

Mago, in lingua persiana, vuol dire sacerdote degli astri. La magia di cui voi mi accusate è l’arte di Zaratustra. Ed è riservata ai principi ed ai sacerdoti; e cioè alle due caste di grado più elevato in Persia. Ci sono anche dei re magi. Ma, nella loro ignoranza, i miei avversari credono che mago sia colui che, in comunicazione con misteriose forze soprannaturali, in virtù di certi suoi incantesimi, può operare tutti i prodigi che vuole, può fare tutto il male che vuole. [...] se realmente avessi questa potenza di far loro del male, vi giuro per gli dei che ne avrei già fatto uso, ne farei in questo momento (pp. 29-30).

Con la vicenda di Apuleio siamo già in un periodo di aspra battaglia intellettuale tra cristiani e seguaci della religione tradizionale, che si protrarrà per tutto il quarto secolo (leggi anche: Ultimi tentativi di restaurazione pagana a Roma).

Non sappiamo se il proconsole Claudio Massimo abbia emesso verdetto di assoluzione, ma tutto fa ritenere che Apuleio sia stato assolto con formula piena, tanto che curò personalmente la pubblicazione del suo discorso di difesa. 

«Solo la stoltezza umana, bassa e spregevole, riesce a trascinare sul banco degli accusati questi rarissimi ingegni; non di rado fabbricando puerili processi alle streghe, riesce a condannarli e talvolta ad arderli vivi» (p. 48).

(Il testo di riferimento, cui rimandano i numeri di pagina in parentesi, è la riduzione drammatica dell’Apologia vel De magia di Apuleio tradotta e curata da Francesco della Corte: Apuleio di Madaura, Processo per magia, in “I Quaderni del Centro Teatrale Italiano”, 1, 1962; lo spettacolo è stato rappresentato per la prima volta al Teatro Stabile di Torino nel 1961, qui la presentazione. Cfr. anche G. F. Gianotti, A. Pennacini, Società a comunicazione letteraria a Roma antica, vol. 3, Loescher, Torino 1986, pp. 142-7.)

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