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Esoterismo e occultismo. Dalle parole alle idee

Sfuggenti a ogni tentativo di definizione, circondati da sospetto e incertezza, i termini “esoterismo” e “occultismo” sono spesso utilizzati impropriamente e in maniera interscambiabile. Al di là delle dispute ideologiche e delle polemiche, per una maggiore comprensione e per dissipare gli equivoci etimologici e filosofici che le circondano, è utile tracciare una breve storia di queste parole, a lungo relegate e smarrite nell’opaco territorio dell’ignoto e del “misterioso”, distinguendo l’arbitrario e il luogo comune, allo scopo di ristabilire i giusti termini nell’appropriato contesto culturale, storico e religioso.

Sebastian Stoskopff, Grande Vanité, via Wiki Commons

Con l’aggettivo “essoterico” (ἐξωτερικός), Aristotele nella Politica (composta attorno al 348 a.C.) designa i dialoghi pubblici, letteralmente “esterni”, cioè popolari, accessibili alla comprensione (ἐν τοῖς ἐξωτερικοῖς λόγοις, 1323a, 20), anche se non è chiaro se si riferisca ai propri discorsi o a quelli di qualche altro filosofo. Fino a un periodo relativamente recente, ma infondatamente, gli è stata pertanto attribuita anche la creazione del termine antitetico “esoterico”. A proposito dell’insegnamento di Aristotele, le glosse latine di Cicerone e Aulo Gellio (Noctes Atticae, 20, 5), del I e II secolo d.C., riportano il termine greco “essoterico” senza tradurlo. 

Altri commentatori di Aristotele ricorrono al termine acroatico (ἀκροατικός) quale sinonimo di “esoterico”, o meglio come contrario di “essoterico”, per designare i frammenti andati perduti in opposizione al pensiero e alle teorie dei testi conservati. Allo stesso modo Plutarco, nella Vita di Alessandro (7, 3), usa i termini “acroatico” ed “epoptico” (ἐποπτικός) come sinonimi di esoterico, per indicare gli insegnamenti più segreti e profondi impartiti da Aristotele ad alcuni dei suoi allievi. Ma il senso di queste parole ha scarsissime analogie con quello che si attribuisce loro oggi. 

La prima menzione del termine “esoterico” (εσωτερικός) è invece attestata negli scritti di Luciano di Samosata, intorno al 166 d.C., ma non sappiamo se fu una sua creazione o piuttosto una presa in prestito da autori precedenti. Nel dialogo XIV, Luciano immagina una vendita all’incanto di vite umane (Βίων πράσι), precisamente di filosofi, altrimenti inutili al mondo. Non ne cita i nomi, rimane nel vago per poterli prendere in giro più liberamente, anche se sono riconoscibili dalle descrizioni che ne tratteggia in poche righe ciascuno. Il penultimo filosofo a essere messo all’asta è Aristotele, venduto al prezzo più alto perché è moderato e di buon carattere, ma soprattutto perché è doppio (διπλούς), di fuori in un modo e dentro in un altro, esoterico ed essoterico appunto (τον εσωτερικόν και τον εξωτερικόν), con riferimento alle sue dottrine.

È tuttavia con Clemente di Alessandria (negli Stromata, composti verso il 208) che il termine assume un significato diverso, più simile all’accezione odierna, per indicare propriamente ciò che deve restare segreto, alludendo sia ai misteri eleusini, dionisiaci e orfici – cerimonie religiose che prevedono una preparazione e un’iniziazione alle verità nascoste della divinità – sia agli insegnamenti riservati ad alcuni discepoli eletti.

Se nel Rinascimento e nel Medioevo “occulto” o “magia” designavano le virtù e le proprietà che uniscono segretamente i tre regni animale, vegetale e minerale, attraverso metodi finalizzati a captare gli influssi dello spirito sulla materia, è a partire dal XVIII e XIX secolo che i termini iniziano a ricoprire un settore molto diverso. 

Nel 1752, nel Supplément del Dictionnaire universel francois et latin composto da alcuni gesuiti a Trévoux, compare per la prima volta in francese questa definizione:
Esoterico [scritto letteralmente ézotérique]: ciò che è oscuro, nascosto e poco comune. Le opere esoteriche degli antichi non potevano essere comprese, poiché esse stesse non fornivano una spiegazione. Queste opere erano opposte a quelle che si definivano essoteriche, delle quali davano volentieri una spiegazione, pubblicamente e a tutti.

Sulla scorta di questa glossa, l’aggettivo viene ripreso nell’Encyclopédie raisonnée des sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de lettres, e precisamente nel tomo IV curato da Diderot risalente al 1756, ma con un senso del tutto diverso. La voce, firmata da M. Formet, richiama la radice greca esoterikòs, tradotta come “dell’interiore”, e si rifà all’ambigua definizione di Clemente Alessandrino qualificando come “esoterica” la dottrina segreta dei filosofi dell’antichità, e menzionando peraltro i misteri nell’accezione ristretta della storia della filosofia ellenistica.

A partire dal 1800, si inizia a utilizzare il sostantivo che deriva dall’aggettivo esoterico e cioè “esoterismo”; il termine compare in ambienti massonici, nelle società e negli ordini segreti vicini ad essi, ma in maniera tanto evidente quanto vaga: così, il socialista utopico Pierre Leroux, in De l’humanité del 1840, nomina l’esoterismo quale appannaggio della scuola segreta e iniziatica di Pitagora, mentre E.-J. Marconis de Nègre, in Le sanctuaire de Memphis ou Hermès. Développements complets des mystères maçonniques del 1849, ne dà una spiegazione a dir poco lapidaria:

l’esoterismo costituisce il pensiero, l’essoterismo il potere. L’essoterismo si apprende, si insegna e si dà; l’esoterismo non si apprende, non si apprende e non si dà, esso viene dall’alto.

Questa dichiarazione, che segue un Discours sur l’ésotérism maçonnique, iscrive l’esoterismo nella tradizione antica, dalle rivelazioni dell’antico Egitto – in un secolo profondamente caratterizzato dall’“egittomania” dopo le campagne napoleoniche e la decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion – fino ai misteri greci passando per il “mitico” ordine dei pitagorici, instaurando una gerarchia nell’iniziazione ai misteri divini e mantenendo dei livelli segreti nella divulgazione.

Così, gli esoteristi ottocenteschi, talvolta ai margini delle istituzioni ufficiali del sapere e preoccupati di preservare le loro idee dalle accuse della Chiesa, si rifanno a miti antichi e a un’augusta e ancestrale eredità mistico-filosofica, a una scienza sacra, “interiore” e inalterabile, a una via della conoscenza divina trasmessa attraverso i secoli da alcuni maestri eletti quali Thot, Orfeo, Pitagora ed Hermes Trismegisto all’interno di cenacoli, comunità, sette e ordini, sotto il sigillo del segreto e il velo delle allegorie.

— Leggi anche: Le radici vittoriane del “revival occultista”

In questo modo, il termine “esoterismo” assume un significato proprio di “via” o metodo “verso l’interiore” (eso-thodos), ossia introspezione che, per mezzo di una conoscenza graduale, condurrebbe alla conoscenza e comprensione dei complessi rapporti che legano il divino, la natura e l’uomo. A tale orientamento, per certi versi limitato, si oppone la pratica di ciò che, sempre in quegli anni, viene definito occultismo.

La creazione del termine occultismo è attribuita a Eliphas Lévi intorno al 1845, sebbene l’aggettivo (occultus, nascosto) risalga almeno al XII secolo, mentre l’espressione “scienze occulte” è impiegata fin dal 1600, un’epoca segnata in molti paesi d’Europa dalla caccia alle streghe e dalla dura reazione controriformistica contro i cosiddetti eretici. 

In questo contesto nefasto e turbolento, sotto la lente sempre solerte dell’Inquisizione, vengono generalmente classificate come “scienze occulte” la magia, la teurgia e la divinazione, contribuendo a distorcerne il significato e gettando discredito su questo sistema composito di idee e pratiche considerate “sovversive”, fantasiose e astruse, e ridotte sullo stesso piano della superstizione, dell’eresia e persino del satanismo – nella misura in cui, allo stesso tempo, le arti figurative e la letteratura dell’Ottocento hanno lasciato ampio spazio al personaggio di Satana e al mondo del fantastico, del meraviglioso e dell’occulto.

Alla luce di questi nuovi significati, ciò che distingue l’esoterismo dall’occultismo consisterebbe in questo: l’esoterismo costituisce un complesso teorico in grado di rendere possibile un insieme di pratiche che ricadono sotto il termine di occultismo, sebbene la differenza non sia sempre così netta in quanto non si può ammettere la totale assenza di pratiche nell’esoterismo, né di pensiero teorico nell’occultismo. 

In ogni caso, proprio perché l’occultismo ha adottato modalità di espressione variabili a seconda del contesto, bisogna tener conto delle diverse tradizioni a cui di volta in volta si richiama, così come dei suoi obiettivi prioritari – teurgici, divinatori, iniziatici, magici…

Sotto questo aspetto, l’esoterismo potrebbe essere definito come la filosofia dell’occultismo, mentre quest’ultimo – pur non essendo privo di esoterismo – è più volentieri attratto dalla pratica e dalla sperimentazione, basata sulla teoria delle corrispondenze, reti di segni e significati esistenti tra il mondo visibile e manifesto e quello invisibile o trascendente, o ancora tra piani diversi della realtà corporea e spirituale.

Seguendo questa ulteriore distinzione, bisognerebbe pertanto parlare di invocazioni a proposito dell’esoterismo e di evocazioni per quanto riguarda l’occultismo.

A partire dalla seconda metà del Novecento, l’esoterismo e le manifestazioni dell’occulto hanno conosciuto un rinnovato e crescente interesse che ha coinvolto non solo il grande pubblico, ma anche gli ambienti accademici. 

Nel 1965 è stata creata in Francia, presso l’École pratique des hautes études, una cattedra di Storia dell’esoterismo cristiano, denominazione poi revocata nel 1979 e trasformata in Storia delle correnti esoteriche e mistiche dell’Europa moderna e contemporanea, sotto la direzione di Antoine Faivre. Per la prima volta, si indagavano i rapporti spesso confusi e fluttuanti che legano l’esoterismo di diversa ispirazione alla questione della Tradizione, distinguendo tre “vie”:

  1. la via severa o purista, che enuncia il primato di un’origine metafisica della Tradizione e privilegia un sistema “identitario”;
  2. la via storica, che si riferisce a modalità “evolutive”, ricorrendo a un pensiero di tipo sincretista;
  3. la via umanista o alchemica, che integra la modernità prediligendo un punto di vista eclettico.
Secondo questo terzo approccio, la Tradizione non si presenta tanto come un deposito immutabile di conoscenze ancorate a un’inaccessibile rivelazione superiore, ma come una dinamica dell’intelletto animata dal risveglio della conoscenza: facendo sorgere dall’abisso del tempo i miti e i misteri, e attraverso una lettura “vivente” degli enigmi dell’universo, l’uomo realizzerebbe delle trasmutazioni in sé stesso e nel mondo – da cui l’impiego della definizione “via alchemica”.

Tale via viene chiamata anche “umanista” perché presuppone che l’esoterismo non sia necessariamente un rigoroso sistema elitario, ma una via di passaggio e di comunicazione tra le diverse manifestazioni della creazione e della realtà, una via aperta a tutti i campi del sapere, alimentata dalla mediazione, dalla conoscenza – questa, sì, basata su una rigorosa erudizione – e della condivisione.

(Elaborato a partire da: J.-P. Corsetti, Storia dell’esoterismo e delle scienze occulte, Gremese, Roma 1996.)

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