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Thanatos, la Morte

Diversi esseri extraumani, oltre agli dei reggenti Ade e Persefone, popolano l’altro mondo o ne sono in qualche modo legati. Tra questi la Morte in persona, Thanatos che, come Hypnos (Sonno) suo fratello, è figlio della Notte oscura (Nyx) e ministro di Zeus. Nei documenti letterari, Thanatos è considerata una divinità che presiede al destino mortale e che conosce lo scopo ultimo della vita.

Il sonno e la morte trasportano il corpo di Sarpedonte in Licia, da The story of the Iliad (1892), via Wiki Commons

Genealogia infernale / Il segno della morte / «Oh potessi trarti fuori dalle stanze dell’Ade e dalle correnti di Cocito alla luce!» / La morte spietata / L’invocazione dell’eroe

Genealogia infernale

Thanatos è stato generato da Νύξ, la Notte, e insieme a lui una stirpe di entità più o meno funeste: 

Notte poi partorì l’odioso Moros e Ker la nera
e Morte, e generò Sonno, generò la stirpe dei Sogni;
per secondo poi Biasimo e Sventura dolorosa
non giacendo con alcuno li generò la dea notte oscura:
e le Esperidi che, al di là dell’inclito Oceano, dei pomi
belli e aurei hanno cura, e degli alberi che del frutto ne portano;
e le Moire e le Kere generò, spietate nel dare le pene:
Cloto Lachesi Atropo, che ai mortali
appena son nati danno da avere il bene e il male,
che di uomini e dei i delitti perseguono;
né mai le dee cessano dalla terribile ira
prima d’aver inflitto terribile pena, a chiunque abbia peccato.
E generò anche Nemesi, sciagura degli uomini mortali,
Notte funesta; e dopo di essa Inganno e Amore
e Vecchiaia rovinosa, e Contesa dal cuore violento.
Poi Contesa odiosa generò Pena dolente,
Oblio e Fame, e Dolori, che fanno piangere,
Lotte e Battaglie, e Delitti e Omocidi,
Discordia e Inganni, e Discorsi e Ambigui Discorsi,
Anarchia e Sciagura, che vanno congiunte tra loro
e Giuramento, che agli uomini della terra grande
sciagura reca quando qualcuno di loro, volendo, spergiura.

(Esiodo, Teogonia, vv. 211-232, trad. G. Arrighetti, Bur, Milano 1984.)

Thanatos e Hypnos sono fratelli gemelli, «trasportatori veloci» per Omero (Iliade, XVI, vv. 672 ss.):

Su adesso, caro Febo (dice Zeus ad Apollo), va’ a purificare Sarpedonte dal sangue scuro, quando lo avrai tratto fuori dal raggio dei dardi, e poi portalo lontano e lavalo. Ungetelo con ambrosia, vestitelo con vesti immortali e affidatelo ai trasportatori veloci perché lo portino con sé, ai fratelli gemelli, il Sonno e la Morte, che lo condurranno rapidamente nella ricca terra dell’ampia Licia. Là i suoi fratelli e i suoi parenti gli daranno sepoltura con tumulo e stele; poiché questo è ciò che spetta ai morti.

Il segno della morte

Thanatos è rappresentato come un kouros alato ed è la divinità che cura la deposizione del cadavere. Nei monumenti figurativi, generalmente Thanatos è ai piedi del morto e Hypnos alla testa, e depongono il cadavere presso una stele. 

Sebbene ne riportino testimonianze anche Eschilo e Aristofane, la sua massima e più compiuta rappresentazione è con Euripide nell’Alcesti, eroina simbolo della fedeltà ai doveri coniugali, a sua volta cultuata da sola o insieme a Hermes Chthonios (o Psychopompo) come divinità conduttrice di anime. Nelle steli funerarie, era rappresentata la figura di Alcesti nel ruolo di colei che doveva introdurre nel mondo degli inferi la devota defunta.

Non sappiamo quanto Euripide abbia ripreso da tradizioni letterarie o mitologiche precedenti, ma di certo contribuì potentemente a determinare la figura plastica e poetica di Thanatos nelle epoche successive. Nella sua opera ha infatti un ruolo centrale, anzi sembra essere la divinità suprema del mondo infero: esso è signore degli dei inferi (δαιμόνων κύρίος) ed esercita il suo impero sui defunti. In Euripide, molto spesso lo stesso Thanatos è chiamato dàimon.

Il suo ingrato compito è quello di tagliare un capello a colui che dovrà morire e che, in questo modo, gli apparterrà per sempre (Euripide, Alcesti, v. 75):

Poiché quando questa spada recide un capello dalla testa di qualcuno, questi è consacrato agli dei d’oltretomba (τῶν κατὰ χθονὸς θεῶν).

«Oh potessi trarti fuori dalle stanze dell’Ade e dalle correnti di Cocito alla luce!»

I tratti macabri di Thanatos sono accentuati dal suo aspetto, avvolto da veli neri, mentre si aggira nei pressi del tumulo per bere il sangue delle offerte sacrificali (Euripide, Alcesti, vv. 843 ss.):

Andrò a cercare il signore dei morti vestito di nero, la Morte in persona, e penso che lo troverò mentre beve dalle offerte vicino alla tomba. 

Chi parla è Eracle, il quale ha promesso ad Admeto di riportare in vita dall’oltretomba l’amata Alcesti; vi riesce, traendo Thanatos in un agguato presso il tumulo attorno al quale si aggirava e dopo una prodigiosa lotta.  

Statuetta in argilla di Thanatos (o Hypnos), appoggiato a una torcia rovesciata (III sec. d.C.), via ASCSA Digital Collection

La morte spietata

Nonostante la vivida rappresentazione in Euripide, le caratteristiche di questa divinità ci sfuggono e non ne vengono mai descritti gli attributi. Ciò che sappiamo è che, a differenza delle altre divinità, è insensibile alle offerte e alle preghiere; è detto in un frammento della Niobe di Eschilo (e ripreso da Aristofane, Rane, v. 1392): 

Solo Thanatos tra gli dei non ama i doni. Non ti gioveranno per lui né sacrifici né libagioni; egli non ha templi, egli non accetta inni: è il solo tra gli dei, da cui la Dea Persuasione è lontana.

L’inno orfico Alla Morte (LXXXVII) lo conferma: 

tu sola né da preghiere né da suppliche ti lasci piegare.

Thanatos governa la vita di tutti i mortali. Esso dà a tutti l’ora sacra, ingiusta per alcuni, recisi nel fiore degli anni. Il suo sonno distrugge l’anima e il corpo, quando discioglie i saldi legami della natura. Non cede alle invocazioni e alle preghiere, ma lo stesso il poeta lo supplica di apprestarsi il più tardi possibile, dopo una buona vecchiaia. 

(Aeschylus, Tragedies and fragments, fr. 147; cfr. anche Inni orfici, a cura di G. Faggin, Edizioni Asram Vidya.)

L’invocazione dell’eroe

Pregare la Morte è del tutto inutile, eppure sono diversi gli eroi che si sono rivolti a lei nell’ora più disperata. In un frammento, Filottete la invoca attribuendole il peculiare appellativo di «guaritrice», poiché con la sua venuta cessano tutti i dolori:

O Thanatos Paiàn (Guaritore), non volere respingermi, giacché tu solo puoi guarire i mali incurabili; nessun dolore tocca più chi è morto.

(Aeschylus, Tragedies and fragments, fr. 229; leggi anche: Filottete e Laocoonte, sulla manifestazione della sofferenza nelle arti.)

Sempre Filottete si rivolge alla Morte, meravigliato che dopo tante invocazioni ella ancora tardi a venire (Sofocle, Filottete, v. 795):

ὦ Θάνατε Θάνατε, πῶς ἀεὶ καλούμενος
οὕτω κατ᾽ ἦμαρ, οὐ δύνᾳ μολεῖν ποτε;
O Thanatos Thanatos, perché anche se sempre ti invoco
giorno dopo giorno, tu non vieni mai? 

Aiace, sul punto di morire, rivolge alla divinità invocazioni disperate (Sofocle, Aiace, vv. 854 ss.):

ὦ Θάνατε Θάνατε, νῦν μ᾽ ἐπίσκεψαι μολών.
καίτοι σὲ μὲν κἀκεῖ προσαυδήσω ξυνών.
σὲ δ᾽, ὦ φαεννῆς ἡμέρας τὸ νῦν σέλας,
καὶ τὸν διφρευτὴν Ἥλιον προσεννέπω,
πανύστατον δὴ κοὔποτ᾽ αὖθις ὕστερον.
O Thanatos Thanatos, vieni e posa i tuoi occhi su di me. Eppure ti incontrerò anche in quell’altro mondo e lì ti parlerò. Ma tu, raggio del presente giorno luminoso, saluto te e il Sole nel suo carro per l’ultima volta.

(Leggi anche: Nient’altro che larve di sogni: Aiace e la vulnerabilità dell’eroe.)

Riferimenti: C. Pascal, Le credenze d’Oltretomba, vol. I, F. Battiato, Catania 1912, pp. 89-95; B. Zannini Quirini, L’aldilà nelle religioni del mondo classico, in P. Xella (a cura di), Archeologia dellinferno, Essedue edizioni, Verona 1987, pp. 263-307.

in [ religione_greca ]

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