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Simbologia del numero sette

L’uso simbolico del numero sette era diffuso in varie culture dell’antichità ed è con ogni probabilità collegato alla nozione dei sette pianeti, se non addirittura anteriore ad essa. Quella dei sette pianeti fu una scoperta mesopotamica, datata per diversi motivi (sebbene non su prove dirette) al secondo millennio e certamente anteriore al 612 a.C., anno della distruzione di Ninive, e raggiunse il mondo greco nel VI secolo a.C. Ma non è scontato che l’emergere della formula dei sette pianeti abbia dato origine al simbolismo del numero sette, o non piuttosto viceversa.

I sette pianeti classici, dal manoscritto ottomano Meraviglie della Creazione (Zakariya al-Qazwini, XII secolo), via Wiki Commons

Le sette stelle erranti / L’altalena d’oro nel cielo / Sette è il tutto / L’oracolo di Apollo

Le sette stelle erranti

L’intuizione, non banale, che esistano sette pianeti (e non otto) era innanzi tutto basata sull’osservazione che la stella del mattino e la stella della sera sono di fatto la stessa cosa, cioè il pianeta Venere, e che il gruppo di astri include sia i pianeti sia il sole e la luna, i quali non brillano allo stesso tempo, e mostrano movimenti simili rispetto alle cosiddette stelle fisse.

Presupposto di questa scoperta fu riuscire a tracciare il percorso del sole in relazione a quello della luna e delle altre stelle, come attestato per la prima volta nel Mul.Apin, un compendio astronomico in cuneiforme risalente forse al VII secolo a.C. per cui il sole, la luna e le stelle vaganti non costituivano, ancora, un gruppo di sette pianeti.
Giove percorre lo [stesso] percorso in cui viaggia la Luna. Venere viaggia lo [stesso] percorso che la Luna percorre. Marte percorre lo [stesso] percorso che la Luna percorre. Mercurio il cui nome è Ninurta percorre lo [stesso] percorso che la Luna percorre. Saturno percorre lo [stesso] percorso in cui viaggia la Luna. Insieme sei dei che hanno le stesse posizioni, [e] che toccano le stelle del cielo e continuano a cambiare le loro posizioni.
Sempre in Mesopotamia, le eclissi furono registrate dagli astronomi almeno dal 747 a.C. Si osservò che un’eclissi solare si verificava solo al momento di una nuova luna, suggerendo l’idea che la luna avesse qualcosa a che fare con l’evento; questo a sua volta potrebbe aver disposto gli osservatori del cielo a mappare la traccia notturna del sole, stabilendo che «il Sole percorre lo [stesso] percorso della Luna», mentre la scoperta che il sole compie lo stesso percorso dei cinque pianeti fu probabilmente solo una conseguenza.

In alcuni testi cuneiformi e classici, il numero sette appare ripetutamente in congiunzione con le Pleiadi, una costellazione con un ruolo importante nel calendario, le cui stelle sono chiamate “i sette dei” nel Mul.Apin (1. 1. 44). A differenza dell’Orsa Maggiore, la più cospicua costellazione circumpolare che si sapeva composta da sette stelle, la composizione delle Pleiadi era di più difficile lettura perché soggetta a cambiamenti e non includeva invariabilmente sette stelle; anche quando si definì il gruppo di stelle che ne facevano parte, gli antichi si trovarono ancora in disaccordo sul fatto che ne comprendesse sette o sei. L’associazione tra il numero sette e le Pleiadi fu quindi molto probabilmente secondaria, non di sufficiente importanza per innescarne un simbolismo così diffuso.

L’altalena d’oro nel cielo

I testi mesopotamici, così come quelli dall’India e dalla Grecia, mostrano una frequente connessione tra il numero sette e il sole. Questi paesi adottavano un calendario lunare o luni-solare, con un mese lunare della durata all’incirca di ventinove giorni e mezzo e un periodo di sei mesi che comprende 177 giorni. Il nuovo mese era caratterizzato dalla prima visibilità di una sottile mezzaluna lunare, un paio di giorni dopo il momento in cui la luna è di fatto invisibile nel cielo. Un mese era quindi il periodo che intercorre tra due prime apparizioni della mezzaluna ed era segnato da due apparizioni di mezzaluna, due mesi sono contrassegnati da tre apparizioni e sei mesi da sette apparizioni.

Dopo il solstizio d’estate, il sole sorge sempre più a sud all’orizzonte e descrive un arco sempre più corto sopra la terra, mentre le notti diventano più lunghe e l’oscurità arriva ad occupare la maggior parte di un giorno. Con un movimento invertito, quando l’inverno lascia il posto all’estate, il sole si alza sempre più a nord e si muove in alto sopra la terra.

Insieme ai solstizi, anche gli equinozi furono al centro dell’attenzione dell’osservazione astronomica, in quanto segnano il passaggio alla metà estiva di un anno (equinozio di primavera) e coincidono con il tempo del raccolto (equinozio d’autunno). Dal solstizio d’inverno al solstizio d’estate corrono sei mesi: il numero sette segna dunque il valore più importante del movimento del sole in quanto entra nel suo nuovo corso nel settimo mese.

Nella mitologia greca si narra di Erigone, sedotta da Dioniso, che, rimasta orfana, povera e peregrinante, morì suicida appesa a un immenso albero che attraversa tutta la terra e i cui rami si perdono nelle costellazioni.
Sarà lei a salire al cielo come impiccata. Sua dimora celeste è la costellazione della Vergine. [...] Con Erigone siamo alle origini delle impiccate, e con lei torniamo all’altalena. Modello di quel gioco è “l’altalena d’oro nel cielo” di cui parla il Ṛgveda. Ogni volta che il sole si avvicina ai solstizi, rischia di impazzire; il mondo trema, perché la corsa dell’astro potrebbe procedere per inerzia, invece di invertire la rotta. E lì appunto si disegna quell’arco di cerchio che è l’altalena d’oro nel cielo. Giunto all’estremo dell’oscillazione, il sole torna indietro, come la fanciulla ateniese che un Satiro sospinge sull’altalena. [...] Quell’orfana impiccata ci ricorda la morte non riassorbita, quella che rimane vagante nell’aria, con le anime dei morti, bambole e maschere appese a un albero.
(Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano 2011, pp. 55-6).
 
L’alchimista regola il fornello, Tarocchi italiani Sola Busca (1471), via Wiki Commons

Sette è il tutto

Il collegamento tra il numero sette e il sole è ben attestato nella letteratura sumerica. Il dio del sole, «il giovane Utu», dà sette guerrieri a Gilgamesh (Gilgamesh e Huwawa, 34-50), sentiamo parlare del «fiume di Utu delle sette bocche» (Lugalbanda e l’uccello Anzud, 35), mentre Gudea, re di Lagash, costruisce per Ningirsu un tempio di sette “divisioni”, probabilmente sette piani.

I testi mesopotamici, specialmente i sumerici, mostrano un uso coerente del numero sette che non è necessariamente collegato a fenomeni e cicli naturali. In una cultura in cui il pensiero simbolico sembra essere stato profondamente sviluppato e radicato, il numero sette rappresenterebbe un’idea di completezza derivata dal fatto che il sole, ogni settimo mese, da solstizio a solstizio, attraversa il cielo dal basso verso l’alto e viceversa. Il numero sette è infatti talvolta tradotto dal sumero in accadico come kiššatu, “il tutto”, “tutto”.

Numerosi incantesimi sumeri menzionano sette cieli e sette terre emerse. Una nozione di difficile interpretazione, assente in ogni altro testo superstite della Mesopotamia, dove il cosmo non include più di tre cieli e terre, ma che si riscontra nelle più tarde tradizioni ebraiche e arabe.

In India, i sette cavalli del carro di Surya, il dio del sole, sono ripetutamente menzionati nei Veda, dove per i “sette flussi” forse si intendono i sette raggi del sole.
Sette cavalle che trascinano il tuo carro a condurti, o Dio lungimirante, Surya dei capelli fiammeggianti (Rv 1.50.8).
Nel calendario zoroastriano dell’Iran, il settimo mese sarebbe stato dedicato a Mithra, legato alla luce del sole e alla luce celeste in generale.

L’oracolo di Apollo

Il materiale greco è ricco di esempi sul numero sette, anche in connessione con il sole.
E tu verrai [dice Circe ad Ulisse] all’isola di Thrinacia. Lì in gran numero nutrono il bestiame di Elio e le sue robuste greggi, sette mandrie di bestiame e altrettanti greggi di pecore e cinquanta in ciascuna (Odissea 12, 127-131).
La maggior parte dell’antica tradizione dossografica attribuisce la prima menzione nella letteratura cosmologica a Parmenide, anche se Ibico, anteriore a Parmenide, pare abbia menzionato l’identità delle stelle del mattino e della sera in una poesia (fr. 331), e per i Greci divenne comune riferirsi al sole e alla luna come facente parte dei “sette pianeti”. Allo stesso modo, la simbologia di questo numero si diffonde e consolida nel mondo romano (leggi anche: Sette chicchi di melograno).

Tra i Greci, la divinità ad essere maggiormente associata al numero sette fu Apollo, e questa connessione era già nota ad Esiodo (Le opere e i giorni, 770):
Questi difatti sono i giorni che provengono dal saggio Zeus: anzitutto, il primo, il quarto ed il settimo del mese sono giorni sacri – in quest’ultimo infatti Latona generò Apollo dall’aurea spada.
Apollo era nato nel settimo mese e il suo compleanno cadeva il settimo giorno del mese, quando venivano celebrate le sue feste a Delfi, ad Atene, nelle città del Peloponneso e a Cirene. Alla sua nascita, i cigni girarono sette volte attorno all’isola di Delo (Callimaco, Hymn. εἰς Δῆλον 249-251). Inoltre, la sua lira ha sette corde, le Muse che lo accompagnano sono sette.

Una connessione tra Apollo e il numero sette appare anche in un tardo testo arcaico, iscritto su una tavoletta di osso della seconda metà del VI secolo a.C proveniente dall’isola di Berezan nel Mar Nero, di difficile interpretazione e lettura. Sulla tavoletta sono incisi strani segni, tra cui un’iscrizione complessa contenente un responso dell’oracolo di Apollo di Didyma, «portatore di vittoria dal Nord».
Recto A

«“Sette, il lupo è debole. Settanta, il leone è terribile. Settecento, l’Arciere è Amichevole per il suo dono, Medico per la sua potenza. Settemila, il Delfino è intelligente. C’è pace per Olbiē polis. Ti considero felice”.

Ricordo sempre.»

Recto B

«Sette.
Di Apollo
Didimeo
Milesio.
Grande, apportatore di prosperità,
apportatore di vittoria dal Nord.
Didimeo».

Verso

«Sette. Apollo Didimeo.
Apportatore di vittoria dal Nord».
(B. Bravo, Una tavoletta di osso della seconda metà del VI secolo a.C. contenente un responso di Apollo di Didyma, in “Pontica Varia”, Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 2 marzo 2021).

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Altri riferimenti: D. Panchenko, Solar Light and the Symbolism of the Number Seven.

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