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I misteri di Artemide, figlia di Demetra

Sembrano, apparentemente, non avere nulla in comune: Artemide, la vergine cacciatrice sorella del “solare” Apollo, dea della caccia e degli animali selvatici, e Persefone, sposa di Ade e regina degli Inferi. Eppure le due figure divine sono molto vicine, se non addirittura identificate, secondo una antica tradizione che ha origine in Egitto e poi diffusa in Grecia, riportata da Erodoto e Pausania. A divulgare questa informazione coperta dal segreto iniziatico sarebbe stato Eschilo, in una delle sue tragedie, in un passo per noi perduto ma che gli costò un’accusa di empietà di fronte al tribunale supremo di Atene. 

Diana come personificazione della notte

Nella città di Buto, in Egitto, situata sul delta del Nilo a circa 95 km a sud-est di Alessandria, lungo la sponda meridionale di un lago ampio e profondo, vi era un complesso di templi; tra questi, un grande santuario dedicato ad Apollo sorgeva su un’isola galleggiante sulle acque del lago, chiamata Khemmis. 

Secondo quanto riporta Erodoto (Storie, 2.156.5), per gli Egiziani Apollo (Horus) e Artemide erano figli di Dioniso e Iside (Demetra), anziché di Latona e Zeus, mentre Latona sarebbe stata la loro nutrice e protettrice. 

Artemide era invece chiamata Bubastis (Βούβαστις), dal nome di una città dove sorgeva un tempio imponente e bello dedicato, appunto, a una dea che portava lo stesso nome. Lo dice esplicitamente poco prima (2.137.5):

ἡ δὲ Βούβαστις κατὰ Ἑλλάδα γλῶσσαν ἐστὶ Ἄρτεμις
Bubastis è, in lingua greca, Artemide.

Da questa leggenda, afferma Erodoto, Eschilo avrebbe appreso l’idea che nessun poeta aveva avuto prima di lui, cioè che Artemide fosse figlia di Demetra (Ἄρτεμιν εἶναι θυγατέρα Δήμητρος).

— Sull’identificazione Artemide/Ecate e il suo ruolo nei Misteri eleusini leggi: Prodromi di una dea.

Frammento di Artemide (via Europeana)

Un’altra testimonianza è riportata da Pausania (Descrizione della Grecia, 8.37). Questa volta siamo in Grecia, a quattro stadi di distanza da Acacesio, antica città dell’Attica, dove si trovava il tempio di Desponia (Signora, Padrona: τὸ ἱερὸν τῆς Δεσποίνης), originariamente luogo di culto di Artemide Egemone (Ἡγεμόνη), con una statua in bronzo della dea, alta sei piedi, che regge le torce.

Despoina, secondo il racconto di Pausania, era adorata dagli Arcadi più di ogni altra divinità. Fu allevata dal titano Anito, raffigurato accanto al suo altare con le fattezze di un uomo che indossa l’armatura, ed era figlia di Posidone e Demetra (θυγατέρα δὲ αὐτὴν Ποσειδῶνός καὶ Δήμητρος, 8.37.9), così come chiamano Kore, 

Despoina è un attributo tra i tanti con cui la dea veniva appellata, ma non conosciamo il suo nome vero perché era coperto da segreto. Scrive Pausania: mentre conosciamo il vero nome di Kore (Κόρη), la figlia che Demetra ha avuto da Zeus e il cui vero nome è Persefone

τῆς δὲ Δεσποίνης τὸ ὄνομα ἔδεισα ἐς τοὺς ἀτελέστους γράφειν.
[Gli Arcadi] temevano di rivelare il vero nome della Padrona ai profani [non iniziati].

Da questo luogo si accede al recinto sacro di Despoina; sulla destra, un portico con rilievi in marmo bianco, tra cui, incisa con scritte o immagini, una tavoletta con le descrizioni dei misteri

Nel santuario gli Arcadi portano come offerte i frutti di tutti gli alberi coltivati, eccetto il melograno.

Accanto al tempio di Despoina, a destra, c’è quella che viene chiamata la Sala (τὸ Μέγαρόν), dove gli Arcadi celebrano i misteri (τελετὰς, al plurale, i mistici riti di iniziazione). 

Al di là della Sala c’è un boschetto sacro alla Padrona circondato da un muro di pietre, al cui interno ci sono molti alberi tra cui un olivo e una quercia sempreverde. 

Di fronte al recinto sacro è situato un altare dedicato a Demetra e un altro a Despoina (Δήμητρί τέ ἐστι βωμὸς καὶ ἕτερος Δεσποίνῃ), sedute su un trono, e dopo questi un terzo altare dedicato alla grande Madre (μετ᾽ αὐτὸν δὲ μεγάλης Μητρός).

Demetra reca una fiaccola nella mano destra mentre l’altra è appoggiata su Despoina, che tiene lo scettro, e la cosiddetta cista (κίστη, una cesta) sulle ginocchia, su cui posa la mano destra. Su entrambi i lati del trono vi sono delle immagini (8.37.4): 

τοῦ θρόνου δὲ ἑκατέρωθεν Ἄρτεμις μὲν παρὰ τὴν Δήμητρα ἕστηκεν ἀμπεχομένη δέρμα ἐλάφου καὶ ἐπὶ τῶν ὤμων φαρέτραν ἔχουσα, ἐν δὲ ταῖς χερσὶ τῇ μὲν λαμπάδα ἔχει, τῇ δὲ δράκοντας δύο. παρὰ δὲ τὴν Ἄρτεμιν κατάκειται κύων, οἷαι θηρεύειν εἰσὶν ἐπιτήδειοι.

Al fianco di Demetra sta Artemide avvolta nella pelle di cervo, e porta sulle spalle una faretra, mentre in una mano tiene una fiaccola, nell’altra due serpenti; al suo fianco è sdraiata una cagna, di razza adatta alla caccia.

E così, che Artemide fosse figlia non di Latona ma di Demetra, secondo il racconto egiziano, i Greci lo appresero da Eschilo (8.37.6). 

In realtà in Eschilo, che era originario di Eleusi, non si trova una tale notizia, ma è diffusa una tradizione per cui il tragediografo, anche se involontariamente, si fosse macchiato di empietà proprio per aver divulgato il segreto dei Misteri in una delle sue opere teatrali. 

Eschilo fu infatti accusato davanti all’Aeropago di aver divulgato i Misteri di Demetra in alcune delle sue tragedie, venendo poi assolto. A questo episodio alludono Platone  (Repubblica, 563c) e Aristotele (Etica nicomachea, 3, 1.17). Entrambi riportano l’aneddoto per cui Eschilo non si rese conto di aver reso pubblica un’informazione coperta dal più rigoroso segreto religioso.  

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