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In liquido aere. Cosmogonia di Talete

Talete, considerato il fondatore della filosofia greca e il più antico cosmografo greco, fu, secondo una tradizione che Platone ha reso celebre, primo dei Sette sapienti (Protagora, 343a), inauguratore delle scienze, «che alla metà del VII secolo sorge come il primo raggio all’orizzonte ed annunzia una grande e luminosa giornata». Morì in età avanzata nel 548 ca aev.

Talete era molto noto nell’antichità. Possedeva delle approfondite doti nautiche anche in virtù della sua attività di mercante, grazie alla quale non si esclude che abbia avuto conoscenza diretta dell’Egitto; d’altronde, gli scambi commerciali e i rapporti con le colonie ionie erano assidui e frequenti, e hanno permesso che si diffondessero molte notizie sulla lontana terra dei faraoni. Si sapeva, ad esempio, che i sacerdoti egizi avessero «in dispregio» la terra ellenica perché non irrigata dai fiumi e prima o poi avrebbe corso il rischio di inaridirsi, «dovendo aspettarsi dalle piogge, o dal beneplacito di Giove, la propria fecondità».

Ritratto di filosofo, Roma, 400 ev ca, via Getty.edu

Sarebbe facile per i filosofi essere ricchi, se lo volessero

Ma soprattutto Talete era famoso per le doti predittive che si riteneva avesse acquisito per via genealogica la quale, secondo una «malsicura tradizione», lo collegava ai Fenici. Celebre è ad esempio la predizione dell’eclisse solare del 585, oppure la capacità di prevedere i terremoti o l’entità di un raccolto. Aristotele (Politica, 1.1259a) racconta che, grazie alla sua conoscenza dell’astronomia, Talete avesse osservato, mentre si era ancora in pieno inverno, che ci sarebbe stato un gran raccolto di olive. Così investì una piccola somma per affittare tutti i depositi e i frantoi tra Mileto e Chio; quando venne la stagione, la sua intuizione si rivelò fondata e ci fu una straordinaria richiesta di olio che gli fruttò un cospicuo guadagno, dimostrando così che
ῥᾴδιόν ἐστι πλουτεῖν τοῖς φιλοσόφοις, ἂν βούλωνται, ἀλλ᾽ οὐ τοῦτ᾽ ἐστὶ περὶ ὃ σπουδάζουσιν.
è facile per i filosofi essere ricchi se lo vogliono, ma questo a loro non importa.

Teoria “nettuniana”

Per Talete la terra è piatta (è attribuita ad Anassimandro l’intuizione della sua sfericità, isolata nell’aria al centro del mondo), un disco che “riposa” sul mare che si riteneva infinitamente disteso, come un legno galleggiante; e da esso non solo è circondata e sostenuta, ma è stata generata. Gli astri allo stesso modo dovevano fluttuare in questo liquido cosmico contornando lateralmente il disco terrestre, come Helios portato sopra un calice d’oro a fior d’acqua dal paese delle Esperidi verso oriente in un’elegia di Mimnermo.
Helios lavora molto tutti i giorni, / nessun riposo per lui / né per i suoi cavalli, quando l’Aurora / abbandona l’oceano e tinge il cielo di rosa. / Di notte deliziosamente riposa sopra le onde in una coppa alata / forgiata da Efesto, / rigonfia e tutta d’oro, / portato in placido sonno a filo d’acqua / dal paese delle Esperidi / alla terra d’Etiopia, dove i cavalli e il cocchio veloce attendono / finché non giunge la precoce alba. / Allora il figlio di Iperione monta sul suo carro.
Di qualunque fosse la sua forma, la caratteristica principale della terra era di essere nata dalle acque e circondata da esse, e così il sole, le stelle e tutto ciò che è loro affine. Il mare è un “residuo” dell’umidità primitiva all’origine della vita, un’origine “talassica” che ritrova forse eco nel divieto pitagorico, diffuso soprattutto in Egitto, di mangiare pesce.

Tutto questo ben richiama l’omerico Okeanos che cinge la terra, «progenitore dell’universa natura», ma, a differenza di Talete, sia il filone omerico sia quello esiodeo prediligono l’elemento tellurico, quando non addirittura il Chaos. Lo stesso Aristotele dà spiegazioni generiche, ne parla in termini sempre dubitativi e mai per notizia diretta, insomma per semplici congetture che non hanno validità di notizia storica. Se non in Grecia, l’antecedente andrà cercato altrove.

L’abisso acquoso dello spazio

In Egitto si riteneva che il mondo galleggiasse sul mare, residuo delle acque caotiche primordiali. L’Oceano, il Nilo cosmico, distendeva la sua enorme superficie nell’emisfero inferiore e superiore del cielo, e i suoi flutti, nel suo corso diurno e notturno, sono attraversati dalla barca solare. Questo principio generatore della materia umida primitiva era conosciuto come Nu, Nunet nell’aspetto (anche) femminile, la “potente signora” che genera luce. Nel “mattino del mondo” non c’erano né il cielo, né la terra ma, «cinta dalle tenebre, riempiva tutto l’illimitata acqua». Nu conteneva i germi del mondo futuro. Nel Libro dei Morti dice di sé stesso
Sono lo sciacallo degli sciacalli, io sono Shu [attributo per “colui che sorge”, e anche “vuoto”].
Quest’analogia certo non basta a configurare un’origine egizia del pensiero di Talete. Ma a questo punto occorre fare i conti con una apparente antitesi, perché l’acqua non è solo l’origine di ogni cosa, ma, secondo una nota dossografica riportata da Aristotele, anche il suo fine (τέλος), e allora come potrebbe avere, allo stesso tempo, principio e fine ciò che è principio e fine e perciò non ha né principio né fine?

Nel De Anima (I, 2, 405 a e I, 5, 411 a), Aristotele nomina Talete e le sue posizioni al riguardo, «almeno per quanto ci è stato tramandato»: l’anima è un principio motore, come la calamita che muove il ferro. Confutando invece di «coloro che fanno consistere l’anima nell’aria e nel fuoco diffusi per tutto l’universo», deduce che forse è da qui che Talete si ispirò per un’opinione che lo stesso Stagirita gli attibuisce – ed è una congettura sua, «ma noi non abbiamo alcuna ragione per crederci più informati di lui»:
πάντα πλήρη θεῶν εἶναι
tutte le cose sono piene di dei.
Ad unire le antitesi apparenti sarebbe questo: ciò che non ha principio e fine, come l’acqua per Talete, è il divino, θεῖον, tanto da far valere alla sua dottrina la definizione di “panteismo ilozoistico” con riferimento all’inclinazione a considerare la materia intrinsecamente dotata di vita. Si spiegherebbero meglio, alla luce di queste considerazioni, anche le analogie con la cosmogonia egizia: la materia primordiale del filosofo greco possiede delle qualità simili a quelle di Nu: fornita di forza creatrice e di moto, ravvivata da un alito divino e inseparabile dalla materia, come Nu è detto essere il moltiplicatore, la genesi delle cose dalla materia originaria, colui che genera innumerevoli divinità. Un egiziano avrebbe ben potuto dire, quindi, come Talete, che “tutte le cose sono piene di dei”, e che dall’acqua, principio e fine del giro solare diurno come della generazione e dell’estinzione del mondo, tutto proviene e tutto ritorna.


Cfr. Alessandro Chiappelli (ordinario di Storia della filosofia all’Università di Napoli dal 1886 al 1908 e senatore della Repubblica), Elementi egizi nella cosmogonia di Talete, XI volume degli Atti del Congresso internazionale di scienze storiche, che si è tenuto a Roma nell’aprile del 1903. Nel contributo, viene analizzata la dottrina del filosofo di Mileto alla luce delle corrispondenze con le religioni del Vicino Oriente Antico, in particolare dell’astronomia babilonese, e soprattutto con quella egiziana, ad ogni modo sostenendo una sua origine extraellenica

Cfr. anche D. Mulroy, Early Greek Lyric Poetry, University of Michigan Press, 1999, p. 44.

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