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Dal caos al cosmo. Inno orfico a Zeus

Questo inno (frammento 21 a dell’edizione Kern), dove Zeus viene identificato con un Essere diffuso e operante in tutte le cose, è anteriore con ogni probabilità al IV sec. aev, in quanto riportato in un corpus di opere di Aristotele; anzi doveva essere ritenuto antico già a quel tempo, se Platone (Leggi IV 715) lo definisce παλαιὸς λόγος (lo scoliaste ne riporta i vv. 2-3): «Uomini, il dio, come recita anche l’antica tradizione, avendo in sé il principio, la fine, e il mezzo di tutte le cose che sono, compie perfettamente, secondo la sua natura, un moto circolare». Lo stile risente della liturgia orientale (si veda la ripetizione del nome) e non ha nulla in comune con gli inni arcaici (Esiodo e Omero) dove vengono descritte la nascita e le peculiarità del dio. Qui sono riportati i suoi attributi, secondo formule misteriche ben attestate. Il metro è in esametri dattilici, la lingua è il dialetto ionico letterario attenuato nella κοινή attica.

Jupiter enthroned, Heinrich Friedrich Füger (1751-1818), via Museum of Fine Arts Budapest

Testo, traduzione e interpretazione da C. Del Grande, ΦΟΡΜΙΓΞ. Antologia della lirica greca, Loffredo Editore, Napoli 1982, pp. 307-9.

Ζεὺς πρῶτος γένετο, Ζεὺς ὓστατος ἀργικέραυνος
Ζεὺς κεφαλή, Ζεὺς μέσσα· Διὸς δ’ ἐκ πάντα τελεῖται
Ζεὺς πυθμὴν γαίης τε καὶ οὐρανοῦ ἀστερόεντος
Ζεὺς ἄρσην γένετο, Ζεὺς ἄμβροτος ἔπλετο νύμφη
Ζεὺς πνοιὴ πάντον, Ζεὺς ἀκαμάτου πυρὸς ὁρμή
Ζεὺς πόντου ῥίζα· Ζεὺς ἤλιος ἠδὲ σελήνη
Ζεὺς βασιλεύς, Ζεὺς ἀρχὸς ἀπάντων ἀργικέραυνος
πάντας γὰρ κρύψας αὖθις φάος ἐς πολυγηθές
ἐξ ἱερῆς κραδίης ἀνενέγκατο, μέρμερα ῥέζων.

1. Ζεὺς... ἀργικέραυνος: «Zeus fu primo, Zeus, dal fulmine abbagliante (fu) l’ultimo». L’autore non intende che Zeus, come nell’essere fu il primo, sarà l’ultimo nel senso che sarà destinato a sparire dopo tutte le altre cose, ma che il mondo è tutto concluso in Zeus, che ne è principio e fine in quanto l’abbraccia tutto: il cosmo potrà anche scomparire nel caos, ma Zeus non verrà mai meno.

2. Ζεὺς... μέσσα: l’universo, individuato in Zeus, è visto come un macrocosmo con una “testa” ed una “parte media”, di fronte al microcosmo che ne ripete la forma. Διὸς... τελεῖται: in quanto Zeus ha in sé il τέλος, la possibilità di compiere, cioè concretizzare, tutto ciò che vuole.

3. πυθμὴν... ἀστερόεντος: «il fondamento (= la base su cui poggia) della terra e del cielo stellato»; cioè terra e cielo promanano da lui ed esistono per la sua volontà. Zeus, se volesse, potrebbe scardinare la terra dalle radici delle sue fondamenta.

4. Ζεὺς... νύμφη: «Zeus fu maschio, Zeus immortale nel suo intimo diveniva sposa»; ἔπλετο è imperfetto di πέλω, che indica essere in immobilità, ma con possibili continui moti nel suo intimo. Più che riferirsi al principio della divinità bisessuata, l’autore intende che, essendo Zeus il tutto e l’origine del tutto, in lui coesistono elemento maschile e femminile, dalla cui unione ogni cosa è generata e per cui il mondo sussiste. Questa affermazione viene formulata qui per la prima volta per poi tornare nei tardi inni orfici, come in quello a Selene (inno 9), ad Atena (32), a Misa, divinità anatolica assimilabile alla Magna Mater (42) e persino in Sinesio, vescovo cristiano, che dice di Dio (inno I, vv. 183-186): «seme di tutte le cose, radice e fronda, natura dei moti e spiriti intellettivi, femminile e maschile».

5-6. πνοι: «alito, soffio, respiro»; ἀκαμάτου... ὁρμή: «impulso del fuoco indomabile», in quanto è nella natura di tutte le cose; πόντου ῥίζα: «radice del mare», cioè la sua parte più profonda. L’autore intende ancora una volta che Zeus è tutto, il visibile e l’invisibile; ἤλιος ἠδὲ σελήνη: «(è al tempo stesso) sole e luna», da cui anche il doppio principio sessuale del v. 4.

7. βασιλεύς: dall’immanenza alla trascendenza e viceversa; Zeus, diffuso in tutte le cose, è contemporaneamente persona, re e capo (ἀρχὸς) dell’universo.

8-9.  πάντας γὰρ... ῥέζων: «infatti, dopo aver nascosto tutte le cose, dal suo sacro cuore (le) riportò di nuovo nella gaudiosissima luce, operando imprese mirabili» (μέρμερα, letteralmente, “cose difficili, terribili”). Si accenna al trascorrere dal cosmo al caos e poi di nuovo dal caos al cosmo. Circa ἱερὴ κραδίη, l’antichità non conobbe un culto al “sacro cuore” di Zeus, ma la frase resta importante e indicativa in quanto può significare, in un contesto misterico, la sua parte più profonda e attiva, il  centro intellettivo e pulsante dove la divinità si conferma come essenza.

in [ religione_greca ]

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