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I cinque fondamenti di Lilith nella stregoneria contemporanea

Regina del Deserto, come evoca uno dei suoi più potenti simboli, Lilith rompe ogni regola, incoraggia il caos e guida i suoi devoti attraverso i più oscuri luoghi dell’anima. Pericolosa e selvaggia, repulsiva e attraente insieme, è divenuta simbolo di resistenza all’autorità patriarcale, di indipendenza e libertà dall’oppressione a ogni costo; ma soprattutto, dalla magia ebraica alle moderne rivisitazioni, Lilith personifica l’intera gamma della sessualità femminile in tutta la sua potenzialità e continua a ispirare generazioni di donne. E non solo, come dimostreranno alcune rivisitazioni recenti. Antichissima e sempre attuale, il suo spirito, ancora oggi, travalica ogni definizione.

Norman Lindsay, Untitled, da Thief of the moon, 1924, via National Gallery of Victoria, Melbourne

Emblema della ribellione e della liberazione sessuale soprattutto a partire dalla “riscoperta” femminista, il potere di Lilith non si esaurisce in questa interpretazione e non ha mai smesso si suscitare l’interesse della neostregoneria proprio per il suo eclettismo; in particolare vengono messe oggi in discussione proprio quelle “certezze” attorno a cui si è costruito il modello romantico di eroina fatale e maledetta, a partire dalla stessa appartenenza al genere femminile.

Lilith e gender

L’identità di genere di Lilith non è determinata. All’immagine della sensuale ed elegante femme fatale, sostengono i wiccan di tradizione alessandriana del Circle of Cerridwen in Gender and Transgender in Modern Paganism, si affianca infatti quella proteiforme di un essere indefinito e ombroso, scomposto e disordinato – come talvolta sono rappresentati ad esempio i suoi capelli. È per questo che, soprattutto negli ambienti della stregoneria dianica, da emblema della “sacralità” che risiede nel corpo femminile è andata a identificarsi anche come icona transgender, condividendo con questa “categoria” il principio della libertà senza compromessi, che preferisce l’esilio alla sottomissione.

Un fermento crescente, quello promosso dalle devote transgender, che vuole indagare le radici “ermafroditiche” della dea semitica e ne predilige una rappresentazione androgina (così vengono letti i simboli che reca tra le mani la Regina della Notte nella sua più nota raffigurazione mesopotamica, un cerchio e una verga), quasi un mutaforma che rompe la “circolarità” femminile del ciclo mestruale e della gravidanza e concede “il dono” della sterilità. Lilith incarna insomma la paura che ciascuna cultura plasma attorno al tema della sessualità e delle sue molteplici espressioni e al tempo stesso il suo superamento, e sopravvive nella misura in cui vengono riconosciute tutte le sue facce.

L’inafferrabile essenza

Ecco perché, sostiene la sacerdotessa Anya Kless nel testo citato, «il primo pericolo nell’onorare Lilith consiste nel cadere in una mentalità dualistica che si basa su una scontata lista di antitesi: vergine/prostituta, bene/male, uomo/donna, reale/immaginario, vittima/carnefice», categorie rigide e semplicistiche; si ripercorre allora la sua storia nella mitologia ebraica e se ne scoprono quei lati che difficilmente sono riconducibili al genere femminile tout court: genera molti figli (lilim) ma non ha latte, può provocare sterilità e aborti spontanei, la morte delle vergini e dei bambini in culla, e a lei ci si rivolge al tempo stesso per allontanarla e invocarla.

Lo Zohar (cit. in R. Patai, The Hebrew Goddess), descrive la nascita di Lilith e del suo fratello-compagno Samael come l’emergere di due germogli intrecciati, rossi come una rosa, il maschio si chiama Samael, e il suo femminino, in lui compreso, si chiama Lilith... Nella pratica del culto contemporaneo, continua Anya Kless, questo significa riconoscerne entrambi i princìpi: «l’altare è più completo se le si affianca una statua di Samael – un san Raffaele “modificato” con le ali spezzate». E continua: maschile e femminile sono compresi l’uno nell’altro, e accettarli entrambi come inseparabili è una sfida che ci invita a considerare gli dèi nella loro complessità e nelle «molteplici incarnazioni» passate e presenti, senza ignorare quelle facce che non sembrano essere rivolte direttamente verso di noi.

Lilith’s tribe

Lilith non si è fermata all’Alfabeto di Ben Sira (XI sec. ev). Nel XIX secolo, soprattutto, è riapparsa nella sua dualità, donna disprezzata, suadente e diabolica, nella poesia e nella letteratura gotica; nel Novecento è stata rivalutata dal femminismo come una ribelle fino a estendere i confini stessi del ruolo delle donne nella cultura giudaica, come dimostra la scelta del nome della rivista indipendente frankly feminist fondata nel 1976 “Lilith magazine”. (Alcune considerazioni su Lilith nel femminismo ebraico in “The Coming of Lilith”: A Contemporary Midrash, Jewish Womens Archive, e Lilith and Feminism, via ThoughtCo.) Da ricordare in questa lista anche “Lilith: A Feminist History Journal”, rivista accademica dal 1984 dell’Australian Women History’s Network, e “Lilith Gallery of Toronto”, magazine femminista.

Rilievo babilonese in terracotta conosciuto come Regina della Notte, dettaglio, via Wiki commons

Ebbene, i “nuovi devoti” vogliono ora superare questa funzione “politicizzata” e forse ormai un po’ démodé di madrina delle donne sottomesse seppure consapevoli, lucide nel giudicare amaramente il proprio destino. Come, ad esempio, la Lilith di Enid Dame (1943-2003), condannata alla nostalgia di un paradiso alla quale non è stata ammessa (trad. mia):
Cacciata / dal paradiso / ho lasciato un buco nel mattino / nessuna nota, nessun arrivederci // l’uomo con cui vivevo / era paziente e villoso // si prendeva cura degli animali / lavorava fino a tardi la notte / piantando ortaggi / sotto la luna // a volte mi teneva / i nostri lunghi capelli intrecciati / impedendomi di rotolare / fuori dal pianeta // ero / al sicuro lì / ma la sicurezza // non era abbastanza. Continuavo / a lamentarmi / sottolineando i difetti / nella sua logica // portava sempre un dio con sé / e lo consultava // come un orologio o un almanacco // dimostrava sempre / che avevo torto // due contro uno, / non è giusto! Ho urlato / precipitandomi fuori dal paradiso / nella storia: // il Medioevo / è stato perfino divertente / mi chiamavano strega // continuavo a cadere / dentro e fuori / le fantasie della gente // ora // lavoro nel New Jersey / prendo lezioni di arte / vivo con un tassista // mi dice, hei piccola, / quello che mi piace di te / è il senso dell’umorismo // Qualche volta / piango chiusa in bagno / ricordando l’Eden / e l’uomo e / il dio / insieme al quale non ho potuto vivere.
Il recupero della “completezza” lilithiana nella neostregoneria passa ora attraverso lo sviluppo di cinque insegnamenti fondamentali, come sintetizzato ancora da Anya Kless:

conosci te stesso. Il neopaganesimo è un fenomeno “tentacolare”, cresce in maniera disordinata e abbraccia un’ampia gamma di realtà al punto da rendere impossibile conoscerne ogni sviluppo. Ciascun praticante può certo concentrarsi sulle “proprie” divinità, a patto però di studiare e approfondire tutti i loro aspetti per averne una conoscenza equilibrata, rispettosa e aperta.

autenticità. La ricerca di sé può portarci di fronte ad aspetti di noi stessi che preferiremmo non vedere, ma Lilith può aiutare in questi momenti a “scostare la pietra” e vedere la vita brulicare nella terra, a comprendere le “zone d’ombra” che teniamo nascoste nelle relazioni esterne, a rapportarci a noi stessi e agli altri con estrema onestà; e ancora: insegna ad accettare le diversità come parte del tutto, a discernere l’applicazione delle regole dalla razionalità che le ha determinate, a escogitare soluzioni alle crisi e ai fallimenti.

trasformazione. Nessun timore del cambiamento: la paura è una scusa, il nuovo è sempre un valore, una ricchezza e una conquista; Lilith distrugge, sovverte, “rovescia le torri”, ma in questo processo nulla viene perduto.

rabbia. È uno dei sentimenti più difficili da gestire in maniera costruttiva. Si fa esplodere oppure si ingoia, in entrambi i casi continuerà ad avere il controllo sulle azioni e le emozioni. Quale divinità legata alla rabbia per “giusti diritti”, Lilith può insegnare molto in questo campo: l’odio, il proprio e l’altrui, è un conflitto doloroso che va risolto e non respinto; l’obiettivo è trovare una soluzione fruttuosa, non dimostrare di avere ragione.

potere. Al pari della rabbia, è uno strumento difficile da utilizzare in maniera propria e corretta. Spesso abusato, il potere (magico) riguarda prima di tutto la responsabilità delle proprie azioni, in particolare nei confronti degli altri. Anche in questo caso Lilith può essere una valida alleata: ella “sussurra segreti proibiti” a chi le presta ascolto, è capace di trasportare fino agli albori del tempo aprendo spazi inimmaginabili, ma conosce e ama il genere umano e a chi le si affida, con l’aiuto della volontà, concederà sempre un riscatto.

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