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Gli scheletri danzanti di Cuma

Nel 1809, un contadino che conduceva gli animali al pascolo nei pressi del lago di Licola, nel comune di Pozzuoli, trovò per caso un sepolcreto. Insieme ai compagni, discese nel piccolo buco praticato nella volta e vi trovò tre scheletri, custoditi dentro altrettanti sarcofagi. Allinterno del fabbricato, sono stati rinvenuti dei bassorilievi in stucco, ricchi di figure inedite, che ritraggono una rara immagine della sorte dei defunti nellaldilà.

Primo bassorilievo da Cuma.

Teschi nudi di bellezza

Il primo bassorilievo rappresenta una elegante composizione di scheletri danzanti. O meglio, non proprio scheletri, ma ossa ricoperte di pelle. 

Dei tre, quello centrale è in una posizione certamente danzante, con la figura poggiata sul piede destro, la gamba sinistra tirata su a formare un angolo acuto con il ginocchio, e il braccio sinistro ripiegato sulla testa in contrapposizione con il destro. I lombi dello scheletro sono ben rimarcati, a indicare che si tratterebbe di figure femminili.

Raffigurazioni di questo tipo non sono comuni nel mondo greco e romano poiché non sembrano rispecchiare l’idea della sorte dell’anima (e del corpo) dopo la morte: i defunti sono immaginati come psychailarvae, pallidi simulacri degli esseri viventi che sono stati, ma comunque dotati dei tratti fisici e comportamentali che appartenevano loro in vita e permettono di riconoscerli. 

Se si escludono alcuni brani, come quello tratto dai Dialogi mortuorum di Luciano di Samosata, neanche la letteratura riporta un’idea dei defunti nella forma di scheletri.

E di’ ai belli e ai possenti, come Megillo di Corinto o Damasseno il lottatore, che tra noi non avranno più chiome forti, né occhi celesti o neri, né l’incarnato del volto; non avranno valide membra né omeri robusti; ma di’ che siamo una moltitudine di polvere, teschi nudi di bellezza [κρανία γυμνὰ τοῦ κάλλους] (dal dialogo tra Diogene e Polluce).

Raffigurazioni di scheletri sono un soggetto del tutto occasionale anche nell’arte e il loro significato è di non facile interpretazione. 

Alcune gemme (intagli) recano l’immagine di scheletri che sembrano ricordare la filosofia epicurea della brevità della vita, un richiamo a godere dell’oggi perché, domani, potrebbe sopraggiungere la morte, al senso di vanità e vacuità della fama postuma. 

Uno scheletro emerge da unurna accanto alla quale è poggiata unarmatura, nellatto di raccogliere un ramo da una palma, forse unallegoria della morte come mietitrice. Cfr. Aspects of Death, and their Effects on the Living, in “The Numismatic Chronicle and Journal of the Royal Numismatic Society”, 10, 1910, p. 166.

Ancora più rare, nel mondo greco e romano, sono le immagini di scheletri danzanti. Un caso del tutto inconsueto è rappresentato da un vaso di epoca ellenistica (I secolo aev), dove lo scheletro è raffigurato come un uomo ubriaco

Anche la connessione tra la morte e il vino, o un’anfora che lo contiene, richiama la brevità della vita e l’esortazione a godere dei piaceri che essa offre, finché si è in tempo.

Un vaso di epoca ellenistica raffigurante uno scheletro “ubriaco”. In E. Holländer, Die Karikatur und Satire in der Medizin, Stuttgart 1905.

L’inedita raffigurazione di scheletri danzanti nei bassorilievi di Cuma non sembra comunque riferirsi alla sorte di anime dannate, sottoposte a un castigo eterno, né a un’allegoria della brevità della vita, ma piuttosto ad anime destinate agli Elisi, giunte alla beatitudine forse in virtù di una iniziazione misterica.

Un’iscrizione funebre greca, collegata ai misteri di Samotracia, similmente recita:

ἐν δέ [τε] τεϑνε[ιὥ]σιν ὁμηγύρι[ἐς] γε πέλουσιν
δοιαί, τῶν [ἑτ]έρ[η] μὲν ἐπειχϑονίη πεφόρηται, ἡ δ᾽ ἑτέρη τείρεσσι σὺν αἰϑερίοισ[ι] χορεύει, ἧς στρατιῆς εἷς εἰμ[ι], λαχὼν ϑεὸν ἡγεμονῆα.
Tra i morti ci sono due folle: mentre l’una vaga inquieta sulla terra, l’altra danza con con le costellazioni delle stelle radiose. Io sono tra questi ultimi, un dio ho trovato come guida.

(Epigrammata graeca ex lapidibus conlecta, n. 650; cfr. anche R. Eisler, Danse macabre, in Traditio, 6, 1948, pp. 187-225)

Lo scheletro di sinistra, con la testa, il petto e il busto reclinati in avanti e le braccia aperte, sembra nell’atto di sospendere la danza, in atteggiamento di sorpresa nel vedere l’altro scheletro, quello di destra, che sopraggiunge correndo. Forse, queste anime non sono state ancora traghettate nell’oltretomba, dove avrebbero di nuovo assunto fattezze viventi, o quanto meno simili a ciò che erano state in vita.

Secondo bassorilievo da Cuma.

Il secondo bassorilievo

Il secondo bassorilievo raffigura personaggi con sembianze umane, non più scheletriche. La figura principale è ancora una ballerina, in posizione elegante, poggiata sul piede destro mentre la gamba sinistra è piegata all’indietro. 

I capelli scarmigliati, la veste, graziosamente trasparente e svolazzante attorno all’addome e sulle cosce, lascia scoperti il braccio, la spalla sinistra e il petto fino a metà della vita.

Di fronte a lei ci sono tre personaggi, che la guardano. Il principale, unico a figura intera, è un vecchio vestito con un manto e una tunica, che, con una mossa naturale, esprime meraviglia e desiderio e sembra volersi slanciare per abbracciarla. Dietro si trova una giovane e una terza figura, appena abbozzata fino all’addome. 

Sul lato opposto si vede una figura intera, completamente ricoperta da un manto, con le mani sotto gli abiti, quasi del tutto danneggiata perché, al momento del ritrovamento, i contadini discesi nell’ipogeo ritennero di trovarsi di fronte a immagini demoniache, e ne fecero sfregio. Sembra comunque essere una donna, ritratta nel semplice atto di osservare la danzatrice; potrebbe trattarsi di una delle tre donne inumate nel sepolcreto, nell’attesa che la prima finisca la danza per iniziare a ballare anche lei. 

Un altro gruppo di figure, sulla destra, chiude il quadro: un Cerbero con tre teste canine, una donna e un vecchio barbuto. La donna, poggiando il braccio sinistro su un sasso, ha tra le mani un papiro srotolato su cui sono scritte alcune lettere, non riconoscibili. 

La sua testa è coperta da un manto che le scende sulle spalle e le ricopre la metà inferiore del corpo. Potrebbe trattarsi di una monodiaria, una cantante solista che accompagna la danza dando il tempo e la misura, oppure un’ombra che, con aria grave e autorevole, ha il compito di leggere le attestazioni della nuova ospite elencandone le virtù, affinché Radamante, uno dei giudici infernali, la ritenga degna di essere accolta tra i beati. 

Il manto che la ricopre per metà potrebbe allora essere interpretato come un drappo funebre, un sudario che, sottile e ampio, avvolge il corpo.

Il vecchio con la barba è seduto su un sasso e con la mano destra tiene un’asta, alla quale si sorregge, mentre la testa è rivolta all’esterno del quadro.

La scena, questa volta, sembra essere ambientata nei campi Elisi e non più in un territorio “di passaggio”, dove è tratteggiato quello che può riconoscersi come il lido di un fiume o di un lago, forse la palude Stigia. Inoltre, la presenza di rocce nel mondo dell’aldilà è attestata anche in letteratura (Seneca, Hercules furens, vv. 664-666):

hic ora solvit Ditis invisi domus
hiatque rupes alta et immenso specu
ingens vorago faucibus vastis patet

qui disserra la sua bocca la dimora dell’odiato Dite / e spalanca le fauci una rupe profonda e una ingente voragine si apre con le vaste gole di un’immensa spelonca.

La presenza del Cerbero conferma che ci troviamo in un luogo dell’oltretomba. Una delle teste è rivolta alla ballerina e un’altra alla donna con il papiro, che formano il soggetto principale del quadro. Il vecchio tranquillamente seduto sul sasso potrebbe allora essere il traghettatore e l’asta su cui si poggia è il remo della sua barca. 

Tornando al centro della scena, assoluta protagonista è la ballerina, nell’atto di sciogliersi i capelli. Analogamente, le Baccanti portavano i capelli raccolti ma senza che fossero legati con nastri, in modo da poterli facilmente sciogliere nell’entusiasmo e nel furore della danza. Nonno di Panopoli definisce infatti le Baccanti “senza fasce in testa” (ἀνάμπυκες, Dionysiaca, 35, v. 261).

Gemmae et sculpturae antiquae depictae ab Leonardo Augustino, 1694 (Google Books)

La fattura dell’abito sembra essere di origine spartana, ovvero dorica: una tunica talare, senza maniche, diafana, leggerissima e trasparente, con una delle aperture per le braccia che prosegue per tutta la lunghezza della veste, in modo da lasciare scoperto un intero lato, e rendere il corpo più libero e voluttuoso nell’estasi.

Nella mano destra, infine, reca una larga fascia rettangolare, chiamato in greco ampechonio, di cui si ornavano le danzatrici e le Baccanti, forse per dare un’idea di leggerezza, come lo stesso Zefiro non ha altra divisa se non uno svolazzante ampechonio tra le mani.

Terzo bassorilievo da Cuma.

Il terzo bassorilievo

Protagonista del terzo bassorilievo è di nuovo una danzatrice, la cui figura, dalle mosse libere e sicure, primeggia su tutte le altre: il capo rivolto all’indietro, i capelli ben acconciati sulla nuca, il braccio sinistro ripiegato dietro la testa e la mano destra che solleva di lato la veste. 

Le braccia, le spalle e tutto il lato sinistro del corpo sono lasciati completamente scoperti da una tunica di fattura dorica, anche questa leggerissima e trasparente, fermata sui fianchi da delle fibule.

A sinistra, su un triclinio, è un gruppo di sette ombre, tutti vecchi e barbuti, e altre due figure al centro del quadro, appena abbozzate dallo scultore forse per dare l’idea di lontananza.

La figura ai piedi del primo commensale sembra essere una donna, destinata a servire il pasto. Sulla destra è raffigurata una tavola quadrata piantata su un piede cui è attaccata un’erma; sulla tavola vi sono sette vasi, di diversa fattura e grandezza.

In questo terzo bassorilievo è quindi rappresentato un convito, che si svolge negli Elisi; tutti i commensali poggiano sul braccio sinistro (il destro era lasciato libero per mangiare): è una scena che sembra indicare l’accoglienza nell’aldilà della nuova arrivata, che balla, mentre tutti la ammirano con attenzione.

(Elaborato a partire da A. de Jorio, Scheletri cumani, Stamperia Simoniana, Napoli 1810)

in: [ religione_romana ] 

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