Una quantità indefinita di troll, orchi, fantasmi ed esseri soprannaturali, che non sempre incarnano inequivocabilmente le qualità del male o del bene, popolano un folto e variegato materiale letterario cui è difficile applicare qualsiasi criterio tassonomico, anche per via delle “nebbie del tempo” che ci separano dalla comprensione dei testi più antichi. Protagonisti di fiabe intrise di magia, questi esseri non appartengono a categorie univoche perché risiedono ed esistono esclusivamente nell’immaginario umano, che dà loro un nome e una sfera d’azione e, attraverso il racconto, li evoca e li percepisce.
Linneo e le briglie delle categorie / Un immaginario che cambia: i troll / Gli elfi si allontanano / Strumentalizzazioni ideologiche / Non morti, mutaforma e il nebuloso lessico medievale
Linneo e le briglie delle categorie
Un ruolo centrale nel progetto di ridefinizione nazionalista in chiave romantica dell’Islanda nel XIX secolo lo ha rivestito la collezione di racconti folklorici Íslenzkar þjóðsögur og œvintýri (Racconti e leggende islandesi) a cura del letterato Jón Árnason (1819-1888), il “Grimm” islandese. Una fonte molto influente per gli studiosi successivi che hanno voluto intraprendere un’opera di catalogazione delle forme e dei contenuti del folto materiale tradizionale, come il tedesco Knrad Maurer, che nella raccolta Isländische Volkssagen der Gegenwart del 1860 aveva individuato tre categorie narrative: racconti di elfi e troll, di streghe e magia e storie di fantasmi.
Questa esigenza di catalogazione risentiva delle correnti e dei modelli allora in voga nelle scienze umane e naturali, il più rilevante dei quali fu quello dettato dal naturalista Carl Nilsson Linnaeus (Linneo, 1707-1778), vescovo di Uppsala, il “Plinio del Nord”, riconosciuto un “genio” da personalità quali Rousseau, Goethe e Strindberg, che con il suo Systema naturae (1758-59) ha rivoluzionato le modalità della catalogazione scientifica.
Un immaginario che cambia: i troll
Il sistema di classificazione scientifica, applicato alla materia fluida della tradizione popolare, non ha prodotto però gli auspicati risultati di sistematizzazione e ordine, perché certi termini non vengono sempre usati con la stessa accezione e comprendono categorie anche molto diverse tra loro.
Ad esempio, nella letteratura medievale dei secoli XIII e XIV il termine “troll” sembra rivestire un significato molto ampio: può essere chiamato così, infatti, non solo il gigantesco orco abitatore delle montagne (significato che andrà consolidandosi appunto nel XIX secolo), ma anche una strega o un altro essere non umano o non corporeo. E, proprio perché oggi tendiamo a interpretare la tradizione medievale attraverso una terminologia più recente, se ne è persa gran parte del significato originale, ben più esteso e indefinito.
Questa indeterminatezza dei vocaboli è testimoniata, poi, da una raccolta di inni pubblicata nel 1589 dal vescovo luterano Guðbrandur Þorláksson, il quale esortava a «sradicare le rime sui troll e sugli antichi». L’ecclesiastico intendeva probabilmente richiamare i fedeli ad astenersi dal tramandare favole non solo sugli irsuti e brutali orchi, ma piuttosto da ogni forma di racconto popolare che avesse come protagonista esseri soprannaturali di qualsiasi specie.
Gli elfi si allontanano
I troll non sono stati gli unici a subire questa “costrizione semantica” da un significato più ampio che rivestivano nell’antico norreno a uno via via più specifico. Anche gli elfi hanno attraversato un processo linguistico simile.
Ancor prima della collezione di Árnason, gli elfi compaiono con il termine álfar in diverse fonti medievali, inclusa l’Edda poetica, e in narrazioni dai contenuti più o meno leggendari come la Saga degli Islandesi e la Sturlunga saga, con un significato più ampio rispetto a quello che assumerà in seguito.
Gli álfar medievali erano esseri soprannaturali senza distinzione di specie o razza, destinatari di un culto e di rango di poco inferiore agli Æsir veri e propri, inclusi i Vanir. A loro volta, anche gli elfi contemporanei sono diversi da quelli della letteratura folklorica del Sette-Ottocento: gli elfi di Árnason, ad esempio, sono descritti simili agli umani anche nella statura, quasi dei loro “doppi”, mentre gli elfi del XXI secolo, complici anche certe produzioni letterarie e cinematografiche, tendono a essere immaginati più piccoli ed essenzialmente diversi per natura e qualità.
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Kr. Kålund, Sturlunga Saga, 1904, via Wiki commons |
Esistere oltre la vita
Ecco altri esempi di quanto le categorie moderne non risultino affatto adatte o corrispondenti alla terminologia dell’antico norreno.
Draugr, fantasma, è un termine ben noto sia alle antiche fonti medievali, dove il suo significato era ambiguo, sia ad Árnason. Nelle saghe, come quella degli Islandesi, però, non ci si riferisce mai ai “non morti” con questo appellativo. Questa incertezza è probabilmente dovuta al fatto che la parola, come molte altre anticoislandesi, è spesso utilizzata in senso metaforico, in particolare nel contesto poetico, con un conseguente arricchimento di significati di difficile ricostruzione e che spesso si esprimono in apparenti contraddizioni.
In un episodio della Örvar-Odds saga è narrata la storia di un mago che acquisisce la divinità. Ögmundr era un essere malvagio che aveva imparato l’arte della stregoneria in giovane età. Sottoposto a un rituale che ha a che fare con il canto (trylla), da creatura mortale è poi diventato qualcos’altro, un essere extraumano cui è stato attribuito anche un culto. Non si parla mai di morte, piuttosto si racconta una trasformazione, in seguito alla quale Ögmundr non potrà mai più morire. Ögmundr comprende e asseconda il suo cambiamento essenziale, e commenta: «Sarei morto, se fosse nella mia natura».
Eppure, sebbene fosse un non morto, non ci si riferisce mai a Ögmundr con il termine draugr, fantasma: è chiamato genericamente spirito (andi), descritto con le caratteristiche tipiche degli spettri (è bianco e blu). Probabilmente i destinatari del racconto sapevano bene a quale categoria appartenesse il personaggio, senza che ci fosse il bisogno di specificarlo, che fosse un troll, uno spirito o un fjandr (demone).
Strumentalizzazioni ideologiche
La raccolta di Jón Árnason è un punto fermo nel processo di identificazione nazionale del popolo islandese, che attraverso di esso si è visto riconoscere una sua propria cultura fatta di tradizioni orali e letterarie.
Altra cosa sono stati i tentativi, più o meno riusciti, più o meno ingenui, di tassonomizzare il mondo magico islandese attraverso metodi che oggi riconosciamo come discutibili, e che tuttavia hanno appassionato un certo filone di studi postilluministi. Tra questi, il tentativo di ordinare il vasto materiale folklorico identificando le varie specie di personaggi fiabeschi con etnie e popolazioni reali, come i Sami del Finnmark, con il rischio di ingabbiarli in un sistema (umano) al quale non appartengono, secondo un’impostazione e un linguaggio che non riescono a rendere i significati originari, i quali ci continuano a sfuggire.
Elfi e troll non sono razze, ma nozioni. Il termine troll, come abbiamo visto, è usato per designare in generale una creatura soprannaturale negativa di qualsiasi specie o varietà che trae origine dalla magia o che la pratica. Allo stesso modo sono chiamati elfi tutti gli esseri, umani e non, che hanno poteri soprannaturali e ai quali viene tributato un culto.
Anche i nani non sono caratterizzati in maniera schematica: essere nano non vuol dire appartenere a una razza, ma è un attributo che può ricorrere indifferentemente, persino nella stessa fonte, in riferimento a qualsiasi creatura, un troll, un umano e persino un gigante (risi).
Molto successo ebbe poi la tesi, sostenuta dal curatore dell’edizione originale di Racconti e leggende (Leipzig, 1862), secondo cui ci sarebbe una tradizione ininterrotta, una continuità storica tra il folklore medievale e quello ottocentesco. Ipotesi suggestiva ma arbitraria, mai del tutto passata di moda, che deve essere verificata caso per caso e non assunta in maniera predefinita.
Non morti, mutaforma e il nebuloso lessico medievale
Fin dal Medioevo, ben prima di Linneo, qualcuno aveva tentato, se non di sistematizzare, quanto meno di spiegare la natura e le differenze tra i vari personaggi del folklore. L’autore della Bárðar saga, ad esempio, ci descrive il protagonista tracciandone la genealogia tra giganti buoni dall’aspetto gradevole (risar) attraverso svariati matrimoni fino ai più loschi troll, piccoli e corrotti, e a una non meglio specificata tipologia di abitatore delle montagne (bergbúar).
Alcuni termini, inoltre, non sono classificabili secondo una metodologia di stampo positivista semplicemente perché la loro natura occulta non deve essere compresa, ma deve rimanere impenetrabile a qualsiasi interpretazione: è il caso dei Þurs, flagð, dei quali non si è tentata nemmeno una definizione.
Altri nomi, infine, identificano una serie di esseri magici come i moras, succubi e homunculi spesso dall’aspetto di vecchie streghe che il mago crea allo scopo di arrecare danno, inviandoli al destinatario dell’incantesimo durante il sonno.
In antico norreno, poi, non esiste un termine generale che corrisponde al “soprannaturale”, ma vi sono diversi termini che significano “magia” o qualunque cosa avvenga o abbia origine attraverso pratiche magiche.
La maggior parte dei personaggi di racconti e saghe (elfi, giganti, troll, nani) ha a che fare con la magia e la stregoneria, ma questo ambito è a sua volta molto esteso e non riducibile alle categorie a noi più familiari. Vi rientrerebbe, infatti, anche una funzione sciamanica — ma in antico norreno, seiðr abbraccia un significato più ampio e non del tutto corrispondente.
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Acquerello di Ásgrímur Jónsso, Il principe Sigunður (da una fiaba), 1913, via Listasafn ĺslands - National Gallery of Iceland |
Nelle fonti medievali, i termini più ricorrenti per magia e stregoneria sono fjölkynngi, forneskja, galdrar e trollskapr. Gli ultimi due trovano una corrispondenza nella Eyrbyggja saga (XIII sec.), redatta nel contesto della cristianizzazione dell’isola, evento ricordato in molte opere dal XIII al XIV secolo.
Un altro termine ben noto alla letteratura medievale è eigi einhamr, che si riferisce alla capacità dei maghi di cambiare forma quando operano i loro rituali.
Trollskapr è invece un termine generico talvolta sinonimo di fjölkynngi o fitonsandi — una sorta di qualità “trollesca” che agisce con e nella magia, nella più specifica accezione di poteri magici posseduti dagli esseri soprannaturali, orchi (óvœttir) in particolare.
La conversione al cristianesimo allontanerà queste credenze in un indistinto passato dominato dalla superstizione, lavate via nella fonte battesimale con l’acqua dell’oblio, della vergogna e della paura. Così, via via che si acquisiscono e consolidano i nuovi strumenti, gli islandesi hanno dimenticato e abbandonato la “trollosità”, e anche il termine è caduto in disuso non trovando più spazio nell’ordine del nuovo mondo cristiano.
Questo aspetto storico è evidente anche per altri termini come forneskja, che significa sia il potere magico sia la credenza in esso e può essere tradotto con antica tradizione, parimenti sinonimo di galdrar, fjölkynngi, heiðni, hindurvitni, kynngikraptar.
Ancora nell’Eyrbyggja saga, di poco posteriore al compimento del processo di conversione, la parola forneskja è usata a proposito del seguente episodio: quando Þóroddr e la sua banda di morti in mare si recano presso quella che fu la sua dimora, la reazione degli abitanti è più di gioia che di terrore, anzi lo accolgono benevolmente poiché la visita di questi spiriti è ritenuta essere di buon auspicio, credenza che perdurerà alle dure repressioni luterane.
I termini galdrar e fjölkynngi sono ancora più popolari e diffusi. Il primo è un sostantivo generico neutro che forse ha origine nella pratica stessa del rito e nel suono che accompagnava il cerimoniale magico.
Fjölkynngi è altra parola precristiana per “magia”, usata anche per riferirsi al politeismo greco-romano, e Odino ne è la fonte divina.
Nella Eyrbyggja saga questo sostantivo non occorre mai, ma il saggio Geirríðr è definito con un termine che ha connotazioni semantiche simili, margkunnig. Qui l’accento è posto non tanto sull’antichità della sua grande sapienza, inaccessibile agli uomini e che caratterizza invece streghe, troll e berserk, quanto sulla profondità e la potenza.
Gørningar è invece meno comune e sembra indicare le intromissioni umane nel mondo della natura.
Impossibile, insomma, forzare il pensiero medievale con le categorie contemporanee, o viceversa voler sostituire queste con quelle più antiche, diverse per struttura e schemi interpretativi.
Nella tradizione linguistica islandese, le diverse parole giocano con le tante facce della magia alternandosi senza un criterio razionale apparente e senza che “il magico” venga mai chiaramente spiegato, aumentando il potere suggestivo della narrazione: galdral mette a fuoco l’aspetto rituale, fjölkynngi il raggiungimento della sapienza, forneskja la lontananza nel tempo, trollskapr i risvolti più sinistri, aspetti entro i quali vivono e agiscono esseri della più varia e sfuggente natura. E il caos può anche non trovare un ordine.