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Februarius, il mese che non c’era

La storia del mese di febbraio è avvolta nell’ombra dei secoli. Fonti erudite classiche ammettevano che anticamente, sotto Romolo, i Romani conoscessero soltanto dieci mesi, da Martius a December, a cui solo tra il VI e il V sec. aev il re “civilizzatore” Numa Pompilio aggiunse Ianuarius e Febriarius a seguito di quella che viene definita la riforma calendariale arcaica (o numana). In questo primo calendario, a sua volta probabile codificazione di sistemi differenti adottati dalle diverse comunità che vivevano sul suolo romano, l’inizio dell’anno è indicato essere a marzo e non a gennaio, come sarà con la riforma giuliana: marzo era, in tempi molto antichi, il primo mese dell’anno e, di conseguenza, febbraio chiudeva l’anno vecchio.

Joachim von Sandrart, Febbraio, 1642 ca. (particolare)

Un problema storico religioso

Ma perché la scelta di un capodanno cadeva proprio in questo mese? Se il capodanno di gennaio (Giano dà inizio a ogni cosa) corrisponde a una crisi cosmica associata al solstizio d’inverno, se quello di luglio sancisce l’inizio del ciclo agrario dei cereali, quello di febbraio-marzo a cosa è dedicato?

Angelo Brelich ci porta, indizio dopo indizio, a una possibile risposta, secondo un ragionamento che via via disvela i risultati del metodo comparativo (A. Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, ed. or. Edizioni dell’Ateneo, Roma 1955, cap. III: Februarius, prefazione di E. Montanari, Editori Riuniti university press, Roma 2010, pp. 137 ss.).

Che fosse un periodo dedicato agli inizi lo confermano ad esempio i riti del 1ᵒ marzo, che prevedevano il rinnovamento dei rami di lauro sulle porte dei flamini, delle curie e del tempio di Vesta dove aveva luogo il rituale spegnimento e accensione del fuoco di Vesta (ignis Vestae), elementi che li configurano «con tutta evidenza» come riti di capodanno.

Il problema storico-religioso non è riconoscervi un significato iniziale, quanto semmai comprendere il motivo per cui i Romani (o alcune delle comunità che anticamente abitavano il territorio) abbiano situato l’inizio (ovvero uno degli inizi) dell’anno proprio a marzo.

Il fatto che in questo mese si aprano le cerimonie in onore di Anna Perenna a me sembra una prova seria che gli anni iniziassero da qui (Ovidio, Fasti, III).

Le spiegazioni formulate nell’antichità (si cita una glossa di Festo su materiale di origine varroniana) sembrano concordare sull’importanza del dio Marte rispetto alla tradizione fieramente guerriera della stirpe (gens bellicosissima), una sorta di capostipite divino, fondatore del popolo romano; eppure questa spiegazione non convince, se rovesciamo la prospettiva e ci chiediamo semmai perché è stato dato il nome di Marte a quel mese che secondo antiche tradizioni iniziava l’anno.

Crisi cosmica e sussistenza

Esclusa come non esaustiva la spiegazione che rimanda al dio della guerra come fondatore di gens, e anche quella semplicistica di considerare il passaggio alla stagione del rinnovamento primaverile (in Italia centrale marzo non rappresenta una cesura climatica particolarmente netta), resta da appellarci alla comparazione calendariale e verificare le seguenti considerazioni, tenendo conto che la scelta del periodo d’inizio anno non è mai casuale;

  1. esso si situa spesso in corrispondenza di un avvenimento di importanza essenziale per l’esistenza stessa del popolo (che può essere la mietitura per le culture agricole e così via);
  2. in altri casi, l’inizio dell’anno è associato a un fatto astronomico che si verifica in corrispondenza di una stagione importante, come la levata di Sirio nel calendario egiziano, che coincide con l’inondazione del Nilo;
  3. qualora, infine, l’evento non sia riconducibile all’economia o alla sopravvivenza del gruppo, si può avere un capodanno associato a una crisi, come accade nei calendari dove il capodanno cade nelle prossimità del solstizio d’inverno.

Il capodanno marzolino antico romano sembra non inserirsi in nessuna di queste categorie, eppure l’importanza di questa cesura doveva essere ben sentita nei tempi arcaici di Roma.

Non trovando nulla di particolarmente illuminante in marzo, proviamo a volgere l’attenzione non al primo mese dell’anno ma all’ultimo, cioè febbraio, al periodo nel quale può aver avuto luogo l’evento decisivo che determina la cesura.

Se scorriamo il calendario romano, quello con dodici mesi, si noterà come alcune feste di febbraio rivelino apertamente il carattere di dipendenza da un successivo rinnovamento.

Gli Equirria, ad esempio, dedicati a Marte, cadevano l’ultimo giorno dispari di febbraio, ma anche, specularmente, alla vigilia delle idi di marzo, verso la metà del mese, in modo che l’anno vecchio fosse saldato ciclicamente a quello nuovo, mentre quello circoscritto dalle due feste sarebbe un periodo di passaggio


Calendari di Romolo, Numa e Giulio Cesare (Macrobio, Saturnaliorum convivia, I, 12-13)

La fuga del re

Un’altra festa del mese è il Regifugium che cade il 24 febbraio, ma non sappiamo altro che il suo nome e quello di colui che doveva fuggire, il rex sacrorum, che in campo religioso rappresentava l’idea (romana) della regalità.

Eppure, la sua posizione sul calendario sembra irregolare: non segue un giorno festivo, quindi il 24 non è una vigilia, tuttavia cade in un giorno pari, unica eccezione nel calendario romano  insieme agli Equirria di marzo (quelli sì aventi funzione di vigilia alle Idi di Anna Perenna).

Se questa festa non può essere compresa in funzione del giorno successivo, sarà allora opportuno analizzare il giorno precedente: i Terminalia del 23 febbraio. Andando indietro, quindi, troviamo una festa di chiusura dell’anno presieduta dal dio Terminus (lo indica chiaramente anche il nome, anche se non mancano interpretazioni che ridimensionano il rapporto con il tempo in favore di un’accezione spaziale di “confine”), alla quale segue, il giorno successivo, la fuga rituale di un re sacro e poi una festa dedicata a Marte nell’ultimo giorno dispari del mese...

Sembrerebbe allora che anche il Regifugium si inserisca nella successione di riti di fine anno. Come a dire: il vecchio ciclo annuale si chiude con i Terminalia ma non necessariamente il successivo inizia immediatamente dopo. Regifugium ed Equirria si inseriscono in un periodo di tempo che non era compreso nell’antico calendario di dieci mesi, un mensis intercalaris, e le celebrazioni che vi ricadevano venivano regolate su quelle di marzo.

Qualcosa che manca, qualcosa che è in più 

Ancora nessun indizio, però, del motivo per cui febbraio sarebbe stato scelto come mese di chiusura, passaggio e saldatura.

Andando ancora a ritroso nel calendario, troviamo tre feste importanti e significative in tal senso: i Lupercalia del 15, i Quirinalia del 17 e i Feralia del 21, che rappresentavano questi ultimi la conclusione con rito pubblico di un periodo di celebrazioni private (dies parentales o Parentalia) che aveva inizio il 13 febbraio.

Si tratta di una festa dei morti concepiti come antenati, che sanciva l’annuale rinnovamento dei legami di sangue e di culto con gli avi attraverso sacrifici e con accorgimenti rituali se ne placavano le anime minacciose:

ora errano le anime impalpabili e i corpi consumati nei sepolcri, ora le ombre si pascono dei cibi lasciati sulle tombe (Ovidio, Fasti, 2, 565 ss.)

(leggi anche: Tradizione funeraria romana)

L’assenza dei Feralia dal calendario arcaico non vuol significare che in tempi più antichi non vi fosse, ma potrebbe rivelare il suo carattere privato, a conclusione del quale è stata istituita una festa pubblica.

All’interno di queste celebrazioni a carattere spiccatamente famigliare si inserisce la caristia, una festa che cadeva il 22 febbraio e consisteva in un banchetto (convivium solemne) da condividere rigorosamente con i membri della famiglia, una vera folla di parenti, inter hilaritatem (in allegria).

Libro delle Ore, (forse) Milano 1470-80, segno zodiacale dell’Acquario, via The Morgan Library & Museum

Per quel che riguarda i Lupercalia, sono senza tema di obiezioni una festa di purificazione. L’etimologia stessa dell’intero mese di febbraio rimanda a februare, lustrare, mentre il februum era lo strumento.

 L’oggetto di purificazione e pulizia, durante i Lupercalia (che pure prevedevano un “disordine rituale” e una reimmersione nelle condizioni caotiche), era l’intera città intesa nella totalità del suo territorio e dei suoi cittadini:

con strisce di cuoio i Luperci percorrono tutta la città, considerando ciò una purificazione perché, ormai placati coloro che dimorano nei sepolcri e trascorsi i giorni dei Feralia, il periodo è puro (Ovidio, Fasti, 2, 31 ss.)

Sacrifici ai Manes, riti di purificazione: il significato sacrale di febbraio sembra essere pienamente confermato. Ma non èè ancora abbastanza, perché manca l’elemento chiave, il motivo per cui proprio a febbraio venissero celebrate queste ricorrenze così chiaramente terminali (e a marzo quelle iniziali). Manca l’evento decisivo, cosmico o agrario che fosse, fatto sta che non ve ne è finora indizio.

Rimane un’ultima festa di febbraio, i Quirinalia. Ancora più oscura delle altre, la prima crux che si presenta all’esegeta e allo storico delle religioni è la funzione e l’identità stessa del dio Quirino.

Dio della guerra (possiede armi), ha molto in comune con Marte (a entrambi sono soggetti i Salii) e allo stesso tempo sembra essere il suo opposto, pacifico e non bellicoso, quasi a sfociare in campo di pertinenza agraria; non è necessario prendere l’una o l’altra posizione, dal momento che «per la mentalità politeistica difficilmente esistono funzioni singole prive di molteplici implicazioni naturali, sociali, cosmiche, culturali ecc.» (ivi, p. 165) e le divinità di Roma arcaica sono figure complesse che non si esauriscono in una sola qualità o funzione.

Senza inoltrarci nella questione sulle origini di Quirino, basti qui prendere in considerazione quanto sappiamo sulla sua festa: la data segnava la fine dei Forcanalia, festa mobile che aveva nei Quirinalia la data (fissa) di chiusura come i Parentalia si concludevano con i Feralia. Dei Forcanalia, a loro volta, sappiamo che erano stati istituiti da Numa e dedicati alla dea Fornax, la fornace entro cui venivano tostati i grani di farro.

La festa del farro

Al centro della festa dei Forcanalia c’è insomma il farro e nient’altro, né l’orzo, né il frumento; Brelich cita una notizia di Plinio:

per 300 anni il popolo romano tra tutti i cereali usò solo il farro.

Si può ipotizzare, dunque, un’epoca molto antica in cui l’alimento fondamentale era il farro, dalla cui farina i romani ricavavano non il pane (la sua preparazione con l’utilizzo del lievito è posteriore alla fondazione del culto), ma una specie di polenta, la puls.

Il farro, come gli altri cereali, si miete in giugno-luglio, però a differenza del frumento non è subito commestibile: occorre prima immagazzinare le spighe, poi, al fine di farne uscire i semi, batterle (pinsere) e tostare i grani in fornaci speciali per renderlo fruibile, più digeribile e saporito. Si comprende come questa fosse un’operazione delicata, che metteva a rischio la sussistenza dell’intera popolazione, e dovesse essere accompagnata da cerimonie e offerte primiziali.

Sembra possibile ora avanzare una risposta alla domanda che aveva percorso tutta la trattazione: perché proprio febbraio-marzo come periodo di cesura tra vecchio e nuovo anno?

Se si riconosce l’importanza del farro nella società romana arcaica quale principale fonte di sostentamento, si comprende che il momento della sua trasformazione in alimento commestibile rappresentasse l’evento agrario principale di cui abbiamo cercato gli indizi lungo tutto il mese, e tale trasformazione avveniva proprio in questo periodo dell’anno: dopo la mietitura e l’immagazzinamento, solo in inverno veniva lavorato attraverso la torrefazione.

John Samuel Agar (1773-1858), Februa in a shell, pulled by Pisces, represented by two fish, via The British Museum

Due capodanni e una morte violenta

Infine, c’è un altro elemento a proposito dei Quirinalia fornito dalle fonti che a questo punto non può essere ignorato: essi cadevano nel giorno dell’uccisione di Romolo.

Vi sono in realtà due tradizioni, l’una che ne ambienta la morte alle Nonae del mese di luglio, l’altra (seguita da Ovidio) che la fa cadere in febbraio, in concomitanza con i Quirinalia.

Può non essere un caso: la vicenda di Romolo, riletta attraverso i temi del “mito agrario”, ne prevede l’uccisione da parte dei suoi, forse perché divenuto tiranno (non deve scandalizzare l’attribuzione di qualità negative al fondatore, che possono anche rimanere implicite nel commento letterario), e il suo sbranamento, assunto poi in cielo tra gli dèi e venerato sotto il nome di Quirino.

Questa identificazione tra Romolo e una divinità immortale, d’altronde, sarebbe tutt’altro che tarda, ma piuttosto percepita come una identità originaria «di cui i romani non hanno mai perduto la coscienza» (ivi, p. 171).

La morte di Romolo, comunque la si collochi a luglio o a febbraio, cade in corrispondenza di due capodanni, quello di marzo o quello di agosto, che segnavano, in tempi diversi, la calendarizzazione annuale romana secondo due eventi fondamentali: la tostatura del farro a febbraio (più arcaica) e la mietitura del frumento in luglio.

in [ religione_romana ]

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