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Astrologia “barbarica”. Gli Aratea e gli Astronomica

Con la morte di Augusto (14 ev), e prima ancora di Mecenate, tramonta anche la letteratura augustea: nel primo quindicennio dell’era volgare scrivono già autori che sono l’antitesi delle grandi concezioni eroico-religiose espresse da Virgilio e Tito Livio. Da Tiberio in poi si approfondisce il contrasto tra principe e senato mentre gli imperatori impongono sempre più la loro volontà e applicano, a difesa della propria persona, quella lex maiestatis che un tempo tutelava la maestà del popolo sovrano.

Per la magia rinascimentale, gli astri sono cause e segni degli eventi universali e la loro osservazione è l’aspetto matematico-descrittivo dell’astrologia; accanto a questo più “scientifico” ce n’è un altro, quello divinatorio, che si basa sulle congiunzioni (piccole, medie e grandi) dei pianeti nei segni, da cui deriverebbero cicli di eventi universali di grandi conseguenze (che è possibile prevedere attraverso l’osservazione delle congiunture astrali).
Andromeda nell’Aratea di Leida, manoscritto miniato carolingio che contiene la traduzione in latino di Germanico dei Phenomena di Arateo; via Wiki commons

Involuzione postaugustea

Di questo contrasto si alimenta lo stoicismo il quale a Roma, facendo proprio il concetto di libertà sul piano politico, mantiene vivo il culto dell’antica repubblica: è l’opposizione di una minoranza di aristocratici che vogliono colpire la tirannide, soprattutto da Claudio in poi, ed è in ambienti stoici che sotto Neurone matura la “congiura dei Pisoni”.

La dinastia giulio-claudia mantiene fede alla linea augustea di consolidare i confini dell’impero piuttosto che estenderli, dando un opportuno e ordinato assetto alle province; proprio queste, di oltralpe e di oltremare, iniziano a reclamare l’annullamento di ogni distinzione tra vincitori e vinti e l’inclusione (come già l’avevano ottenuta sotto Cesare le province della penisola) nella res publica. A queste pressioni dovranno cedere gli imperatori ed estendere progressivamente la cittadinanza romana che culminerà con la constitutio antoniniana del 212: è la sconfitta politica degli aristocratici nazionalisti, ma dalle province gravitanti verso il centro, specialmente la Spagna, affluirà nuova linfa all’humus letteraria latina, mentre la lingua si arricchisce e diviene veicolo di una civiltà universale.

Germanico e gli Aratea

Nipote e figlio adottivo di Tiberio, valente generale, colto poeta e ottimo oratore, Germanico (15 aev-19 ev) ha lasciato alcuni epigrammi in greco e latino e un poemetto, noto comunemente con il nome Aratea, che gli è ormai universalmente attribuito. Ne possediamo un ampio estratto di 725 esametri e altri frammenti, per un totale di circa 200 versi, che vanno sotto il nome di Prognostica.

Gli Aratea sono un rifacimento in latino, con una certa libertà rispetto al modello greco, del primo libro dei Fenomeni del poeta alessandrino Arato di Soli (IV-III sec. aev) che Cicerone aveva già tradotto (ce ne restano circa 200 versi). Il poemetto è una descrizione del cielo e degli astri, con continui riferimenti alla mitologia greca. Il tema degli Aratea sembra andasse molto di moda ai tempi — la dedica al padre adottivo Tiberio, già sul trono, proverebbe che il poema sia stato scritto dopo la morte di Augusto, e non si esclude che a guidare la scelta dell’argomento siano stati certi segreti interessi dell’imperatore per l’astrologia: la quale godeva al tempo di una massiccia diffusione, ma vi si guardava con sospetto vigendo ancora la legislazione augustea contro di essa, pur se applicata senza particolare severità.

La mitologia classica, alla quale si rifanno i nomi delle stelle, si “fonde” con la visione dell’immensità del firmamento, ma il “distacco” di questo mondo siderale da quello terreno tradisce il sostanziale scetticismo del poeta guerriero: il suo cielo rimane lontano e freddo, anche quando si accenna all’influenza degli astri sulla vita degli uomini.

Manilio e gli Astronomica

Dell’autore non sappiamo quasi nulla, manca qualsiasi testimonianza se non qualche allusione da lui stesso lasciata nei testi. La stesura dell’opera deve essere contemporanea a quella di Germanico e si protrae per diversi anni, per poi rimanere incompiuta. Astronomica o Astronomicum libri è un poema in cinque libri: nel primo sono esposti i principi di astronomia, gli altri quattro sono dedicati all’astrologia e agli oroscopi e trattano degli influssi (determinanti) degli astri sulle vicende umane.

Altri autori latini avevano trattato l’argomento, per esempio Varrone e Nigidio Figulo, ma non in versi: Manilio vuole dare una veste poetica alla disciplina che nella sua rielaborazione risente in primo luogo dello stoicismo — la dottrina della predestinazione delle vicende umane —, ma anche di influssi orientali — la connessione con gli astri. I presupposti filosofici della formazione di Manilio si rispecchiano in una metrica rigorosa e aspra e si risolvono in un fatalismo passivo che giustifica la storia, sia quella degli imperi sia quella dei singoli individui, senza alcun interesse o partecipazione apparente alle miserie umane; siamo lontani da Lucrezio (cfr. Sull’invocazione a Venere nel De rerum natura) e dall’intima forza del suo epicureismo.

Ofiuco.
(Cfr. Ronconi A., Posani M. R., Tandoi V., Manuale storico della letteratura romana, Le Monnier, Firenze 1980, pp. 267-71)

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