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Il Messia del tuo vicino: la Rivelazione di Gabriel

Nel 2008 il Boston pubblicava un articolo (lo stesso giorno il New York Times) su una tavola scritta in ebraico, risalente alle decadi immediatamente precedenti la nascita di Gesù e proveniente dalla Giordania, che aveva provocato agitazione tra biblisti, archeologi, teologi e storici perché conterrebbe profezie circa l’avvento di un Messia che muore e risorge.

“Essene”, via Tumblr

Scritto su pietra

L’artefatto è di rara fattura. Una pietra imponente, alta quasi un metro, scritta (non incisa) con inchiostro su due colonne, è stata trovata una quindicina di anni fa presso un antiquario giordano e acquistata da un amatore svizzero, quindi posta al vaglio degli studiosi israeliani. Non sembrano esserci dubbi sulla sua autenticità e datazione, verificata dall’Università di Tel Aviv, ma il cattivo stato di conservazione e quindi le lacune non ne consentono una lettura agevole.

Messaggero divino

La tavola è stata definita “un rotolo del Mar Morto su pietra”, un paragone che calza per l’area di provenienza e le tematiche comuni ai celebri testi scoperti ormai più di 60 anni fa in undici cave presso il sito di Qumran, i quali contengono un’ampia gamma di tradizioni religiose giudaiche dell’epoca del cosiddetto Secondo Tempio (dal ritorno da Babilonia alla devastazione dei romani, 515 aev-70 ev).

Molta parte del testo riporta una visione apocalittica trasmessa dall’angelo Gabriel; vi ricorrono le espressioni “Dio di Israele” e “Gerusalemme” e pare di potervi leggere riferimenti alla venuta di un Messia che muore e risorge dopo tre giorni.

via Asia Society

Messaggio messianico

In quei giorni la notizia aveva avuto una certa risonanza perché “sponsorizzata” da Israel Krohl, docente di Studi biblici all’Università Ebraica di Gerusalemme al quale premeva dimostrare le sue teorie su un tema mitico comune riguardo una profezia di morte e resurrezione precedente il Messia cristiano.
La teoria aveva suscitato scalpori, e non gli giovò quella che mi sembra di leggere una critica a un accenno di sensazionalismo che aveva accompagnato l’uscita dei suoi libri (Israel Khnol, The Messiah before Jesus: the Suffering Servant of the Dead Sea Scrolls, University of California Press, 2000).  

La novità consisteva nel dimostrare che il tema dell’attesa di un Messia non fosse esclusivo degli ambienti cristiani, ma doveva costituire un sostrato comune a un’area culturale più vasta nel contesto delle drammatiche vicende storiche (sociali e politiche) che il popolo ebraico affrontava in quegli anni nei confronti sia di Roma che delle proprie fratture interne, prodotte da frange ribelli al dominio imperiale. Ma, si ammette anche in ambienti accademici, “alcuni cristiani potrebbero trovarlo scioccante, mentre altri potrebbero sentirsi rassicurati” all’idea di far parte di una più ampia e condivisa tradizione cristiano-giudaica. Quello che si teme è la messa in discussione di una verità teologica della quale le fonti documentarie a volte forniscono chiavi di lettura diverse – forse scomode o imbarazzanti, in ogni caso altre.

Il Messia sofferente

Krohl sembra dunque aver trovato nella tavola la risposta a un’ipotesi che aveva già avanzato nel 2000, ma che senza un adeguato supporto documentario non aveva inciso molto negli studi cristologici; le sue ricerche si incentrano sul ruolo che le tragiche contingenze politiche avrebbero svolto nella formazione di gruppi e movimenti ebraici animati dall’attesa della prossima venuta di un “salvatore”, il quale avrebbe vissuto un’esperienza di dolore e morte per poi tornare in vita.

La ricerca si era svolta attraverso la comparazione delle poche fonti coeve, la letteratura rabbinica e primo-apocalittica e i documenti di Qumran. Si comprende quindi l’attesa per i risultati delle perizie, ma ai sostenitori di una rigida lettura scientifica delle origini del Cristianesimo forse non basterà la decifrazione di una pietra per dimostrare quello che non è riducibile a una valutazione puramente umana.

La pietra, comunque, è troppo rovinata e lacunosa per avere un impatto così dirompente. Il testo è stato tradotto in inglese dallo Shalom Hartman Institute e parte di esso è consultabile on line.

Aporia storico-religiosa

Il Cristianesimo è una religione fondata su un evento storico – la venuta di un predestinato che nasce e muore come un uomo, risorge come un dio e tornerà come un salvatore; l’appellativo sotèr, d’altronde, accompagna molti nomi di dèi anche negli ambienti greci (Asclepio ad esempio). Una religione “storica”, dunque, secondo una terminologia comune (anche “abramitica” o “del libro” a seconda che si voglia intendere ora l’aspetto della discendenza ora del testo sacro): gli eventi che accompagnano le sue origini non si svolgono nel tempo incalcolabile del mito, ma nel tempo di tutti. L’universalità, l’unicità e quindi la verità del messaggio promosse da questa nuova religione sono le prime conseguenze dell’“entrata nella storia” del suo fondatore. Eppure, proprio quel nucleo di verità ha finito con l’astrarsi dalla storia e divenire un assunto indimostrabile se non per fede: condizione abbracciando la quale si avrà diritto a una sorte luminosa e beata dopo la morte, in una parola alla salvezza. La storia, strumento delle scienze umane, sembrerebbe non potervi più intervenire.

L’avvocato del diavolo, fuor di metafora

Non siamo abituati a essere l’oggetto della ricerca, ma il soggetto: esaminare, analizzare, sezionare e catalogare gli altri sono attività senza le quali non avremmo avuto le enciclopedie e i musei, e che ci hanno abituati a sentirci al centro di un campo di osservazione privilegiato. Ricordarlo è banale, ma mai quanto potrebbe essere sconveniente darlo per scontato.

Una delle difficoltà principali della ricerca è il linguaggio: gli antichi alfabeti devono essere decifrati come le usanze e le tradizioni di popoli sconosciuti e “non civilizzati”, quando la traduzione può essere un tradimento e un fatale fraintendimento non solo letterale – si pensi ai tentativi di tradurre in termini riconoscibili il significato e il ruolo, per esempio, delle potenze impersonali come il mana di certe culture a interesse etnologico. Per l’antichista e il classicista come per l’antropologo, spesso la fonte non parla la sua stessa lingua. Questo succede anche con i codici attraverso i quali interpretiamo la realtà secondo certi sistemi di valori, personali o comuni alla cultura a cui sentiamo di appartenere. Questi schemi non sono uguali per tutti, né tra singoli individui né tra culture; succede quindi che un certo fenomeno venga letto secondo due metodi interpretativi diversi: la scienza e la magia, un esempio classico, sono due codici differenti e incompatibili, due linguaggi diversi, impossibile spiegare la seconda con i termini della prima.

A ciascuno la sua Storia

È vero che non si può spiegare un fenomeno “magico” con il linguaggio della scienza, però si può intervenire con uno strumento scientifico, cioè storicamente: nel campo degli studi storico-religiosi ogni religione è passibile di ricostruzione storica (per usare un lessico caro alla cosiddetta scuola romana) e può divenire oggetto di ricerca. Qui si concentrano le resistenze all’indagine, perché i suoi risultati possono dimostrare connessioni, scambi e debiti laddove “la verità” risiede in una sola rivelazione. Ma la storia delle religioni, sebbene troppo spesso si accompagni alla fama sinistra di un troppo vago “relativismo”, non solo non è un intralcio, ma anzi può essere utile anche in una prospettiva confessionale: ammettiamo pure sia riconosciuta, attraverso la documentazione (epigrafica, archeologica), la diffusione di un topos mitologico di un Messia che muore e risorge, nulla toglierebbe all’originalità di ciascuna formazione religiosa; al contrario contribuirebbe, attraverso la comparazione delle fonti, a restituire a ciascuna la propria unicità – assoluta, questa sì, perché irripetibile.

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