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Su una disciplina

Durante la lezione inaugurale della prima cattedra di Storia delle religioni tenuta all’Università di Roma (ora La Sapienza), Raffaele Pettazzoni presentava la sua materia con queste parole: «mentre sento tutta la gravità del compito che oggi assumo, ecco che mi si delinea ancora più vasto, perché ora più che mai mi sembra che veramente esso vada oltre la scuola a investire la vita; e di scientifica – quale è – si allarghi e si complichi di una funzione altamente civile …» (pubblicata con il titolo Svolgimento e carattere della Storia delle religioni, Bari 1927, corsivi miei).

Parigi, ottobre 1923. Congresso internazionale di storia delle religioni. Via

Gli uomini pensano gli dei: invertire l’ordine e capovolgere la prospettiva

A giudicare dall’attualità di queste parole pronunciate il 17 febbraio 1927 (saranno firmati due anni più tardi i Patti lateranensi), si intuisce già la natura sperimentale di una disciplina originale e coraggiosa. Il suo fondatore fu, si legge, importante intellettuale dagli autorevoli riconoscimenti internazionali, persona schiva e dall’indole forse poco incline al compromesso. Infatti, la conclusione a cui arriva dopo un vasto percorso di studi è chiara: anche nel campo delle religioni non esiste nessun “dato” (una volta per tutte), ma solo un “voluto” dall’uomo, che produce la molteplice varietà delle culture umane: cultura è «quella parte dell’ambiente che è fatta dall’uomo» (M. Herskovitz, 1948), la cultura è la misura delle cose.

Non esistono rivelazioni, le religioni sono un prodotto culturale e quindi possono essere studiate attraverso gli strumenti delle discipline umanistiche, verso le quali si relaziona in termini di interdisciplinarietà; stringerà, ad esempio, un fortunato sodalizio con l’antropologia (studi sulle religioni dei “popoli a interesse etnologico”), la sociologia (con un focus maggiore sui meccanismi contemporanei condizionati da fattori di massa) e la psicologia, ma l’approccio storico sarà irrinunciabile.

Gli orientamenti di inizio Novecento nel campo degli studi storico-religiosi erano impostati sull’idea che le religioni si dovessero studiare per come si presentavano, con il loro bagaglio di miti, riti e credenze per riscontrarne magari qualche somiglianza con culture lontane; un fenomeno nel senso greco di “manifestazione”, oltre la quale non valgono gli strumenti dell’intelletto. Persino Croce (di cui Pettazzoni fu per molti versi debitore) lasciava le religioni fuori dall’indagine storiografica. La giovane disciplina, invece, suggeriva di proseguire la ricerca.

Il germe della vanificazione

È vero che le religioni sono un prodotto storico come altre espressioni della cultura (l’arte, la letteratura, il diritto, l’economia), ma sono il prodotto specifico di un rapporto unico, quello tra gli uomini e il “divino”. Perché di rapporto si tratta, intangibile e vicendevole. Una volta svelato, però, è come se l’oggetto stesso della ricerca perdesse parte del suo significato, vanificandosi. Come all’archeologo a cui si sgretoli un prezioso manufatto sotto i suoi occhi, appena dissotterrato.

Era un non facile incarico quello che spettava ad Angelo Brelilch nel succedere a Pettazzoni alla sua cattedra nel 1959; si esprimerà più tardi a proposito della «consistenza di una eredità» di cui non nasconde i nodi problematici (Studi e materiali di storia delle religioni, 1983).

A oggi, la Storia delle religioni mostra le sue debolezze. In primo luogo, non aver creato una “scuola”: l’indipendenza intellettuale, vanto ed esigenza dei molti che hanno contribuito in maniera decisiva alla disciplina, ha generato un certo isolamento e ha di fatto impedito la formazione di una solida eredità. A parte qualche esperienza nelle scuole e nelle università per adulti, non è mai uscita dalle mura accademiche dove attualmente sembra perfino languire.

In Italia, al momento, la condizione degli studi storico-religiosi è piuttosto disarticolata. Di integrazione, diritti e libertà d’espressione, di multiculturalismo e di dialogo interreligioso si occupano a vario titolo sia gli organi istituzionali internazionali che le confessioni religiose, mentre a livello accademico la scena più “vivace” è quella della scuola di indirizzo sociologico a cui si deve, ex alia, un capillare e aggiornato studio sui cosiddetti nuovi movimenti religiosi.

Mentre si celebrava la leggendaria epoca d’oro di una scuola di cui nessuno voleva ammettere l’esistenza, l’inarrestabile corrosione del bugdet per scuola e università aveva interrotto le attività di ricerche all’estero a cui negli anni precedenti alcuni studenti avevano avuto l’occasione di partecipare (in Messico, Argentina, nel Finnmark “lappone”; l’ultima, se ricordo, sulla Santeria cubana e la neostregoneria agli inizi del 2000, incompiuta). Il progressivo impoverimento di finanze e di intelletti ha prodotto un involucro di memorie e qualche progetto, senza conseguenze di rilievo.

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