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Sotto il segno del fuoco. Un inno a Zeus

Non solo l’epica e la poesia, ma anche la letteratura filosofica, in età ellenistica, è fonte di inni e preghiere alle divinità del pantheon. Prima tra tutte il sommo Zeus, padre universale, signore dell’Olimpo, signore del fuoco, cui è rivolta questa appassionata supplica di Cleante di Asso, vissuto circa fra il 331 e il 233/2 aev, successore di Zenone nella direzione della scuola stoica di Atene: unica, tra le molte opere composte dai filosofi della Stoa poikile (il “Portico”) di cui non restano che testimonianze indirette o pochi frammenti, a essere giunta fino a noi in forma integrale (qui proposto con testo greco e traduzione).

Hans Thoma (1839-1924), Jupiter (via Wiki Commons)

Cleante e il divino

A differenza di Zenone di Cizio (333-262 aev), che lo scelse come suo successore, Cleante era dotato di una particolare attitudine alla sensibilità artistica e alla forma poetica, che egli con grande originalità e fantasia ha coniugato con la norma etica dando corpo a una filosofia dal forte accento religioso.

Cleante visse a lungo, 98 o 99 anni (addirittura 101, stando alla testimonianza di Diogene Laerzio), 32 dei quali trascorsi alla guida della scuola fondata da Zenone. Per lui, la filosofia non era solo un esercizio intellettuale: al contrario, rivestì i suoi insegnamenti di un entusiastico fervore religioso, ritenendo l’aspetto teologico della dottrina di estrema importanza. 

Anzi, la fisica – una delle tre branche della filosofia secondo gli stoici, insieme alla logica e all’etica – e la religione sono strettamente connesse tanto che nella prima sono da ricercare le prove dell’esistenza del divino. Tali prove sarebbero cinque:

  1. la scala ascendente degli esseri viventi dalle piante all’uomo dimostra che deve esistere un essere che sia migliore di tutti, che non è l’uomo per via delle sue fragilità e dei suoi difetti;
  2. la prescienza degli eventi futuri;
  3. l’abbondanza e la fertilità della terra e altre benedizioni della natura;
  4. il verificarsi di fenomeni portentosi estranei al naturale ordine degli eventi;
  5. il movimento regolare dei corpi celesti.

Il mondo è un “rito sacro”

Ma non tutte le divinità sono uguali. Se l’astro maggiore, il Sole identificato con Helios-Apollo, è sorgente prima di luce e calore, di energia non solo fisica ma psichica e spirituale, principio della vita che con i suoi raggi mette in movimento l’aria ed è artefice dell’armonia del mondo, solo Zeus è l’unico dio eterno, al di sopra del mondo che è intorno a noi, che concentra in sé le prerogative delle molte divinità greche.

Anche lo Zeus di Cleante, come il più tradizionale dio olimpico cantato dall’epica, possiede il fulmine, che però non è solo un simbolo di potere: è il fuoco, essenza primordiale dell’universo, principio unificatore e regolatore dell’esistenza di tutte le cose, la legge sovrana del logos, il bene assoluto, grazie al quale ogni forma del creato viene a trovarsi in una condizione di reciproca solidarietà.

Associato al fuoco primordiale, Zeus è il criterio unificatore dell’universo, di tutto ciò che esiste in quanto corporeo, inizio del cosmo e anche la sua fine, in quanto al termine degli avvenimenti il mondo verrà annientato da una conflagrazione totale, dopo la quale la storia è destinata a ripetersi all’infinito, in forma identica. 

Il male esiste: nasce dall’errore dell’uomo, quando è sviato dalla falsa persuasione e dall’ingannevole aspirazione a ottenere vantaggi che non portano altro che alla rovina e alla delusione: è perciò compito dello stoico fronteggiare il male attraverso la virtù, che non vuol dire chiudersi, astrarsi dal mondo, ma al contrario operare in esso, esercitando la propria azione morale.

L’inno a Zeus, inteso come somma provvidenza divina, è una supplica poetica volta a contrastare e disperdere l’ignoranza degli uomini riconducendoli al riconoscimento dell’unica legge universale, verso un mondo utopico retto dalla giustizia e dominato dalla ragione, in cui consiste l’unica felicità possibile.

Cleante non intende screditare la religiosità popolare, semmai arricchirla e purificarla per scopi etici. Sebbene contrario ad attribuire aspetto umano agli dei (al v. 4 la formula θεοῦ μίμημα, “immagine di dio”, riferito all’uomo, è infatti speculare e inversa all’antropomorfismo), Zeus è tutt’altro che una mera astrazione ma una presenza reale da contemplare nel suo splendore e in tutta la sua maestà, da comprendere con i mezzi dell’intelletto: pertanto è dovere dell’uomo sottomettersi alla divinità, vivendo in armonia con la natura, accettando con animo lieto la sua volontà. 

Nel poema, quindi, il dio non è solo una presenza astratta ma è tratteggiato con tutti i suoi attributi più forti e concreti: egli brandisce il fulmine come una spada al pari di un temibile conquistatore, che non solo governa il mondo, ma ordina agli uomini di compiere il bene punendo chi non obbedisce alla sua legge universale: con questa funzione, il fulmine ardente di Zeus, che domina tutto l’inno, mantiene la correttezza dell’ordine naturale del mondo, tagliando fuori chi non vi si sottomette.

L’inno culmina nella rappresentazione di un sacro mistero: poiché “né per i mortali, né per gli dei” (οὔτε θεοῖς, v. 38) c’è nulla di più grande che celebrare il sommo Zeus, gli dei sono uniti agli umani nel formare un coro unico, un’unica comunità governata dalla legge e in accordo armonioso con essa.

Altrove, non a caso, Cleante definisce il mondo un “rito sacro” (μυστήριον) e “iniziati” coloro che sono posseduti dalla divinità: τὸν κόσμον μυστήριον καὶ τοὺς κατόχους τῶν θείων τελεστὰς ἔλεγε (Stoicorum veterum fragmenta, 538).

Leggi anche: Dal caos al cosmo. Inno orfico a Zeus.

(Testo e note in D. Del Corno, Antologia della letteratura greca, vol. 3, L’età ellenistica e cristiana, Principato, Milano 1991, pp. 342-6, traduzione di R. Cantarella; cfr. anche E. Asmis, Myth and Philosophy in Cleanthes’  Hymn to Zeus, in “Greek, Roman, and Byzantine Studies”, 47, 2007, pp. 413-29; E. H. Blakeney (ed.), The Hymn of Cleanthes, Macmillan, London 1921; The fragments of Zeno and Cleanthes, Cambridge University Press, London 1861. Su Zenone e Cleante cfr. Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2017, 1ª ed. digit. 2021.)

Zeus (Google Arts and Culture)

Inno a Zeus 

Κύδιστ᾽ ἀϑανάτων, πολυώνυμε, παγχρατὲς αἰεί,
Ζεῦ, φύσεως ἀρχηγέ, νόμου μέτα πάντα κυβερνῶν,
χαῖρε" σὲ γὰρ πάντεσσι ϑέμις ϑνητοῖσι προσαυδᾶν.
ἐκ σοῦ γὰρ γενόμεσθα, θεοῦ μίμημα λαχόντες
μοῦνοι, ὅσα ξώει ve καὶ ἕρπει ϑνήτ᾽ ἐπὶ γαῖαν· [5]
τῷ σε καϑυμνήσω καὶ σὸν κράτος αἰὲν ἀείσω.
σοὶ δὴ πᾶς ὅδε κόσμος, ἑλισσόμενος περὶ γαῖαν,
πείϑεται, ᾗ κεν ἄγῃς, καὶ ἑκὼν ὑπὸ σεῖο κρατεῖται,
τοῖον ἔχεις ὑποεργὸν ἀνικήτοις ὑπὸ χερσὶν
ἀμφήκη, πυρόεντα, ἀειξώοντα κεραυνόν· [10]
τοῦ γὰρ ὑπὸ πληγῇς φύσεως πάντ᾽ ἔργα <βέβηκεν>,
ᾧ σὺ κατευϑύνεις κοινὸν λόγον, ὃς διὰ πάντων
φοιτᾷ, μιγνύμενος μεγάλοις μικροῖς τὲ φάεσσιν.
οὐδέ τι γίγνεται ἔργον ἐπὶ χϑονὶ σοῦ δίχα, δαῖμον,
οὔτε κατ᾽ αἰϑέριον ϑεῖον πόλον οὔτ᾽ ἐνὶ πόντῳ, [15]
πλὴν ὁπόσα ῥέξουσι κακοὶ σφετέραισιν ἀνοίαις.
ἀλλὰ σὺ καὶ τὰ περισσὰ ἐπίστασαι ἄρτια ϑεῖναι,
καὶ κοσμεῖν τἄκοσμα χαὶ οὐ φίλα σοὶ φίλα ἐστίν.
ὧδε γὰρ εἰς ἕν πάντα συνήρμοκας ἐσϑλὰ κακοῖσιν,
ὥσϑ᾽ ἕνα γίγνεσθαι πάντων λόγον αἷὲν ἐόντα, [20]
ὃν φεύγοντες ἐῶσιν ὅσοι ϑνητῶν κακοί εἶσι, 
δύσμοροι, οἵ τ᾿ ἀγαϑῶν μὲν ἀεὶ κτῆσιν ποϑέοντες
οὔτ᾽ ἐσορῶσι ϑεοῦ κοινὸν νόμον, οὔτε κλύουσιν,
ᾧ κεν πειϑόμενοι σὺν νῷ βίον ἐσϑλὸν ἔχοιεν.
αὐτοὶ δ᾽ αὖϑ᾽ ὁρμῶσιν ἄνοι κακὸν ἄλλος ἐπ᾿ ἄλλο [25]
οἱ μὲν ὑπὲρ δόξης σπουδὴν δυσέριστον ἔχοντες,
οἱ δ᾽ ἐπὶ κερδοσύνας τετραμμένοι οὐδενὶ κόσμῳ,
ἄλλοι δ᾽ εἷς ἄνεσιν καὶ σώματος ἡδέα ἔργα
<ὧδ᾽ ἀνόητ᾽ ἔρδουσιν>, ἐπ᾽ ἄλλοτε δ᾽ ἄλλα φέρονται,
σπεύδοντες μάλα πάμπαν ἐναντία τῶνδε γενέσθαι. [30]
ἀλλὰ Ζεῦ πάνδωρε, κελαινεφές, ἀργικέραυνε,
ἀνθρώπους ῥύου <μὲν> ἀπειροσύνης ἀπὸ λυγρῆς,
ἣν σύ, πάτερ, σκέδασον ψυχῆς ἄπο, δὸς δὲ κυρῆσαι
γνώμης, ᾗ πίσυνος σὺ δίχης μέτα πάντα κυβερνᾷς,
ὄφρ᾽ ἂν τιμηϑέντες ἀμειβώμεσϑά σε τιμῇ, [35]
ὑμνοῦντες τὰ σὰ ἔργα διηνεχές, ὡς ἐπέοικε
νητὸν ἐόντ᾽, ἐπεὶ οὔτε βροτοῖς γέρας ἄλλο τι μεῖξον,
οὔτε ϑεοῖς, ἢ κοινὺν ἀεὶ νόμον ἐν δίκῃ ὑμνεῖν.

Gloriosissimo fra gli immortali, dio dai molti nomi, onnipotente in eterno
Zeus principio della natura che tutte le cose con la legge governi,
salve! È giusto che i mortali tutti a te si rivolgano,
poi che da te nascemmo, immagine di dio riportando
noi soli fra quanti esseri mortali vivono e si muovono sulla terra: [5]
onde a te voglio inneggiare e sempre canterò il tuo potere.
E tutto questo universo che intorno alla terra si avvolge
a te obbedisce ove tu conduca e da te vuole essere dominato;
tale ministro tu possiedi nelle mani invincibili,
la bifida folgore ardente sempre vigorosa [10]
sotto i cui colpi cade tutta la natura;
e con essa tu indirizzi la ragione universale che in ogni cosa
si aggira, mescolandosi al grande e ai piccoli astri lucenti.
Senza il tuo nome nulla avviene sulla terra
né sotto il divino polo celeste e nemmeno nel mare, [15]
tranne quanto compiono i malvagi nella loro demenza.
Ma tu sai rendere perfette anche le cose vane
e far belle le cose brutte, e pur le cose sgradevoli per te divengono grate:
tu infatti adattasti in uno tutte le cose buone con le cattive
così che diventassero la ragione unica di tutte le cose, sempre esistente, [20]
che fuggendo abbandonano quanti mortali sono malvagi;
infelici!, che sempre di beni bramando il possesso
non vedono né ascoltano la legge universale di dio,
seguendo la quale avrebbero la vita felice con senno.
Ma dissennati muovono ognuno verso una sventura: [25]
gli uni per desiderio di fama con ardore di tristi contese,
altri rivolti al lucro senza onore alcuno,
altri verso mollezze e cose gradite al corpo
così stoltamente agiscono lasciandosi trasportare ora qua ora là,
molto adoperandosi perché avvenga il contrario di ciò. [30]
Ma tu Zeus donatore di ogni cosa, che dalle nere nubi scagli la folgore scintillante,
salva gli uomini dalla luttuosa ignoranza,
e disperdila, padre, dalle loro anime e fa’ che conseguano
senno, col quale ogni cosa governi secondo giustizia:
così che, ottenuto questo onore, noi a te lo ricambiamo [35]
celebrando continuamente le tue opere, come conviene
a chi è mortale: poiché non v’è per i mortali premio più grande,
e nemmeno per gli dei, che celebrare sempre secondo giustizia la legge universale. 

in [ religione_greca ]

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