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Tre preghiere romane

A Roma i sacerdoti erano organizzati in confraternite o collegia, divisi in base alle attività e ai compiti a cui erano preposti; durante le cerimonie innalzavano agli dei inni e preghiere per propiziarne la benevolenza. Accanto al culto pubblico, del quale erano destinatarie le maggiori (pochissime) divinità, esisteva un culto privato, una “religione domestica” che celebrava entità extraumane e spiriti degli antenati preposti alla protezione della casa, della famiglia e delle attività che attorno a queste si svolgevano.


Fyodor Bronnikov, Consacrazione dell’erma, 1874, via Wiki Art

Quelle che seguono sono tre preghiere, scelte tra le molte che si possono ricavare dalla letteratura e dalla poesia (cfr. su questo blog Venus Alma Genetrix. Sull’invocazione a Venere nel De rerum natura), le prime due appartenenti al culto pubblico e la terza a quello privato. Il testo, la traduzione e le note linguistiche sono in N. Flocchini, P. Guidotti Bacci, Il libro degli autori. Antologia di scrittori latini per il biennio, Bompiani, Milano 1989-90, pp. 36 ss.

Liturgia immutabile

I due carmina costituiscono tra le prime fonti letterarie della lingua latina; il testo è stato redatto attorno al V secolo aev in una lingua che risultava incompresibile già ai Romani dei secoli successivi e per gli stessi sacerdoti che li pronunciavano: l’osservanza dei riti e delle formule così come sono state tramandate era infatti ritenuto fondamentale per l’efficacia stessa del rito, da cui il carattere sostanzialmente conservatore e formale della religione romana che si orientava attorno al rispetto del ritus come ordine sia del vivere civile, sia del rapporto con il numinoso. Le preghiere dovevano quindi essere pronunciate secondo la formula esatta.

1. Carmen saliare

Il Collegium Pontificum, il massimo organo religioso dello Stato composto da esperti di diritto sacro e custodi delle tradizioni, comprendeva una confraternita di sacerdoti chiamati Salii (dal verbo salire, “danzare”) addetti al culto di Marte, divisi in due congregazioni di 12 membri ciascuna di cui una, in origine, apparteneva al dio Quirino

In marzo e in ottobre, periodi che segnavano rispettivamente l’inizio e la fine del periodo delle guerre, i Salii andavano in processione per le vie della città eseguendo una danza rituale (tripudia) e battendo con una lancia o un bastone sugli scudi (ancilia), che avevano una peculiare forma a “8” ed erano ritenuti le copie dell’ancile caduto dal cielo come dono di Giove a re Numa. 

In onore di Marte intonavano il Carmen Saliare, inno rituale di origine arcaica che veniva intonato nel corso delle cerimonie di marzo, durante la processione degli scudi sacri. Sebbene l’inno fosse rivolto a Marte, alcuni versi contenevano l’invocazione anche ad altre divinità, come questa a Giove:

Quonne tonas, Leucesie,
prai tet tremonti
quot ibei tet dinei
audiisont tonase

interpretazione: Cum tonas, Luceri, prae te tremunt quot ibi te di audierunt tonare.

traduzione: Quando tu tuoni, o Signore della luce, davanti a te tremano quanti dèi nel cielo ti udirono tuonare.

note: L’invocazione esprime il timore che invade non solo gli uomini, ma anche gli dèi quando Giove, signore dei fenomeni atmosferici, manifesta la sua ira attraverso il tuono, presagio di tempesta e distruzione. Il testo arcaico in particolare rimanda questa sensazione di timore attraverso la ripetuta allitterazione tonas... tet... tremonti... tonase. Luceri è vocativo di Lucerius, attributo del dio.

2. Carmen Arvale

I Fratres Arvales costituivano un collegio composto da 12 sacerdoti addetti al culto della dea Dia o Cerere; la cerimonia più importante aveva luogo nel mese di maggio ed era legata alla fecondità dei campi (arvum vuol dire infatti “campo arato”, “coltivato”). Gli atti del collegio dell’anno 218 ev hanno conservato questo celebre canto risalente al V-IV secolo aev.

E nos, Lases, iuvate,
e nos, Lases, iuvate,
e nos, Lases, iuvate!

Neve lue rue, Marmar, sins incurrere in pleoris,
neve lue rue, Marmar, sins incurrere in pleoris,
neve lue rue, Marmar, sins incurrere in pleoris!

Satur fu, fere Mars, limen sali, sta ber ber,
satur fu, fere Mars, limen sali, sta ber ber,
satur fu, fere Mars, limen sali, sta ber ber!

Semunis alternei advocapit conctos,
Semunis alternei advocapit conctos,
Semunis alternei advocapit conctos.

E nos, Marmor, iuvato,
e nos, Marmor, iuvato,
e nos, Marmor, iuvato!

Triumpe, triumpe!
triumpe, triumpe!
triumpe!

interpretazione: O nos, Lares, iuvate! Ne luem ruinam, Marmar, sinas (siveris) incurrere in plures! Satur es, fere Mars; limen sali, sta illic illic! Semones alternis advocabit cunctos; o nos, Marmor, iuvato! Triumphe!

traduzione: Lari, aiutateci! Né pestilenza né rovina, o Marte, lascia dilagare tra il popolo! Sii sazio, o feroce Marte, salta sulla soglia, fermati là, là! I Semoni, alternativamente, li chiamerà tutti a riunione; aiutaci, Marte! Trionfo!

note: Invocato a protezione, insieme ai Lari divinità protettrici per eccellenza, del popolo romano contro le calamità e le epidemie, Marte viene confermato in questo carme quale dio connesso al mondo agreste oltre che alla guerra. Viene esortato a star fermo sulla soglia o sul confine (il termine limen indica entrambi) per difenderlo e a consultare i Semones, forse antiche divinità preposte ai campi e a lui subordinate. 

Ogni verso è ripetuto tre volte in rapporto ai tre tempi della danza rituale chiamata appunto tripodatio. Marmar, come il successivo Marmor, è probabilmente una forma raddoppiata di Mars.

3. Preghiera del pater familias

Altra antica preghiera riportata da Catone (234-149 aev) nel De agri cultura (41), pronunciata dal capofamiglia (quindi nella sfera del culto privato) nella quale si invocava Marte nella sua qualità di dio dei campi perché liberasse il terreno dalle calamità che potevano provocarne la rovina. 

In cambio veniva offerto il sacrificio di un maiale, un montone e un toro – il termine suovitaurilia è l’unione di sus, porco, ovis, pecora, e taurus; sulle radici indoeuropee di questo rito cfr. R. D. Woodard, Indo-European Sacred Space. Vedic and Roman Cult, University of Illinois Press, Urbana and Chicago 2010, pp. 102-3. Dopo aver invocato Giano e Giove con un’offerta di vino, si recita:

Mars pater, te precor quaesoque uti sies volens propitius mihi domo familiaeque nostrae, quoius re ergo agrum terram fundumque meum suovitaurilia circumagi iussi, uti tu morbos visos invisosque, viduertatem vastitudinemque, calamitates intemperiasque prohibessi defendas averruncesque; utique tu fruges, frumenta, vineta virgultaque grandire beneque evenire siris, pastores pecuaque salva servassis duisque bonam salutem valetudinemque mihi domo familiaeque nostrae; harumce rerum ergo, fundi terrae agrique mei lustrandi lustrique faciendi ergo, sicuti dixi, macte hisce suovitaurilibus lactentibus immolandis esto; Mars pater, eiusdem rei ergo macte hisce suovitaurilibus lactentibus esto.
traduzione: Padre Marte, ti prego e chiedo di essere benevolo e propizio a me, alla mia casa e alla mia famiglia. Per questo dunque ho fatto condurre attorno al campo, alla terra e al mio fondo un porco, un montone e un toro perché tu tenga lontano, respinga e storni le malattie visibili e invisibili, la sterilità del suolo e la devastazione, le calamità e le intemperie e perché tu permetta la crescita e la buona riuscita delle messi, del frumento e delle giovani piante e conservi sani e salvi i pastori e il bestiame e dia buona salute e prosperità a me, alla mia casa e alla mia famiglia: a questo scopo, dunque, per purificare il fondo, la terra e il campo e per compiere la purificazione, come ho detto, sii onorato, padre Marte, con questo sacrificio di un porco, di un montone e di un toro, ancora da latte.

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