Omero ed Esiodo rappresentano insieme un processo di “denominazione” delle divinità, il loro raggrupparsi attorno a dei “tipi” ideali olimpici, il secondo, attuando con sistematicità quello che nel primo appariva ancora contenuto nella libertà espressiva della creazione poetica.
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Sir Lawrence Alma-Tadema, A Reading from Homer, 1885, Philadelphia Museum of Arts, via Wiki Commons |
Dar forma alla materia divina
Da Chaos nacquero Erebo e nera Notte [Nyx].Da Notte provennero Etere e Giorno[...]Gaia per primo generò simile a séUrano stellato, che [desideroso d’amore] l’avvolgesse tutta d’intorno,E fosse ai beati sede sicura per sempre.[...] generò Oceano dai gorghi profondi,e Coio e Crio e Iperione e Iapeto,Teia Rhea Themis e Mnemosinee Foibe dall’aurea corona e l’amabile Teti;e dopo di questi, per ultimo, nacque Chronos dai torti pensieri,il più tremendo dei figli [...] *
E poi, ancora dalla coppia primordiale Gaia-Urano, nacquero i Ciclopi, quindi «nel volger degli anni» (v. 184) i Giganti, le Erinni, le Ninfe; e ancora i Titani e Afrodite, dai flutti approdata a Cipro, sempre accompagnata da Eros e Desiderio (Ίμερος).
Gli dei di Omero
Gli dei cantati da Omero sono gli Olimpi e loro è la generazione più giovane. Conquistarono la vittoria sulle divinità locali arcaiche e vi si sovrapposero – Chronos e Urano, Giganti e Titani e altri esseri mostruosi e plurimi, incapaci e privi di personalità singole e perciò riuniti in gruppi dalla denominazione collettiva.
Ciascuno a proprio modo, Omero ed Esiodo plasmano la materia mitica arcaica. Fin dalla più immediata diffusione, i loro testi saranno percepiti come la summa della religione greca, pur non costituendo mai un corpus di testi sacri, nella misura in cui la religione greca non fu mai dottrina.
Non si trattò di un cambiamento conseguente a una protesta o alla rivelazione di un nuovo principio religioso, non ci fu cesura. Sia Omero sia Esiodo non ruppero con la tradizione precedente, al contrario la continuarono, superandola. Questo assestamento culturale ebbe come punto fermo la creazione nuova e originale della polis, la città, che costituisce la forma ordinata del vivere civile.
Equivalente alla latina civitas, fu qualcosa di assolutamente nuovo rispetto agli antichi centri abitati di età micenea, che pure talvolta si costituirono in borghi muniti di mura (urbs). Non è la delimitazione di un territorio che costituisce culturalmente la città.
La polis fu conseguente alla caduta di Micene e al tumultuoso periodo delle migrazioni, nel corso del quale, dall’XI secolo, avvenne un ingente spostamento di popolazioni greche verso l’Asia Minore e lo stanziamento di altre nelle arie regioni dell’Ellade, tale da ridisegnare significativamente la composizione etnica e culturale della penisola greca.
Un nuovo ordine pubblico per gli uomini e per gli dei
La polis non era un aggregato meccanico e privo di criterio, era una fusione di genti solidali legate da un vincolo gentilizio nel riconoscimento del primato di una sola gens (γένος), il cui capo era il re.
Anche a livello religioso – oltre che militare ad esempio – il culto praticato da queste genti che godevano di uno status privilegiato era ritenuto più efficace e il re ne era il sacerdote, investito cioè di prestigio e potere sacro che gli derivava da un’autorità superiore.
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La città, secondo questo nuovo ordine, doveva rispecchiare anche una religione nuova, avere cioè un culto suo proprio che fosse il culto di tutti, pubblico, diverso dalla religione degli avi che si tramandava in ogni singola gens o dai numi del focolare che si veneravano in ogni famiglia.
La città-santuario
Rinunciando all’istituto della monarchia era venuto meno anche il ruolo del re sacerdote, ma era comunque necessario che vi fosse un’autorità religiosa, in grado di padroneggiare la materia oscura del sacro.
La prima di queste autorità conosciute in Grecia si costituì a Delfi, che pure non fu mai polis ma esclusivamente santuario, chiusa nel regime antico delle sue famiglie sacerdotali, dove, attraverso l’oracolo di un “nuovo dio”, parlava l’antica voce della Terra.
— Sull’Apollo Delfico leggi anche l’Inno omerico ad Apollo.