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Dall’Olimpo alla polis, la religione greca tra VIII e VII secolo

Omero ed Esiodo rappresentarono insieme quel processo di “denominazione” delle divinità, il loro raggrupparsi attorno a dei “tipi” ideali olimpici, il secondo attuando con sistematicità quello che nel primo appariva ancora virtualmente contenuto, nella libertà espressiva della creazione poetica.

Sir Lawrence Alma-Tadema, A Reading from Homer, 1885, Philadelphia Museum of Arts, via Wiki Commons

Dar forma alla materia divina

Esiodo intese mettere ordine nella selva intricata di grandi e piccole, antiche e nuove divinità, di quei «trentamila esseri divini» che sono sopra la terra e di quelli, meno numerosi ma più grandi, che reggono l’Olimpo dalle sue vette nevose.
Da Caos nacquero Erebo e nera Notte. 
Da Notte provennero Etere e Giorno
[...]
Gaia per primo generò simile a sé
Urano stellato, che [desideroso d’amore] l’avvolgesse tutta d’intorno,
E fosse ai beati sede sicura per sempre. 
[...] generò Oceano dai gorghi profondi,
e Coio e Crio e Iperione e Iapeto,
Teia Rea Temi e Mnemosine
e Foibe dall’aurea corona e l’amabile Teti;
e dopo di questi, per ultimo, nacque Crono dai torti pensieri,
il più tremendo dei figli [...] *
E poi, ancora dalla coppia primordiale Gaia-Urano, nacquero i Ciclopi, quindi «nel volger degli anni» (v. 184) i Giganti, le Erinni, le Ninfe; e ancora i Titani e Afrodite, dai flutti approdata a Cipro, sempre accompagnata da Eros e Desiderio (Ίμερος). E la Notte scura partorì Sonno, Morte, le Moire e le Esperidi e le stirpi dei Sogni... e così via lungo una direttrice discendente fino alle generazioni degli eroi o semidei, capostipiti mitici ai quali un culto gentilizio era tributato, fin dalle epoche più antiche, di padre in figlio.

Esiodo si muove dunque nel rispetto del principio ordinatore della genealogia, tratto essenziale della sua poetica, attraverso cui egli compone, secondo la successione delle generazioni, il mondo divino arcaico: caotico, molteplice e disperso.

Gli dei di Omero

Gli dèi cantati da Omero sono gli Olimpici e loro è la generazione più giovane; si conquistarono la vittoria sulle divinità locali arcaiche e vi si sovrapposero – Crono e Urano ma anche Giganti e Titani, esseri mostruosi e plurimi, incapaci e privi di personalità singole e perciò riuniti in gruppi dalla denominazione collettiva.

Omero ed Esiodo, ciascuno a proprio modo, plasmano la materia mitica arcaica e i loro testi saranno percepiti fin dalla loro più immediata diffusione come la summa della religione greca, pur non costituendo mai un corpus di testi sacri nella misura in cui la religione greca non fu mai dottrina.

Non si trattò di un cambiamento conseguente a una protesta o alla rivelazione di un nuovo principio religioso; non ci fu cesura: sia Omero che Esiodo non ruppero con la tradizione che li precedette, al contrario la continuarono superandola, in una fase di assestamento culturale che ebbe come punto fermo la creazione nuova e originale della polis, la quale costituisce la forma ordinata del vivere civile.

La polis, equivalente alla latina civitas, fu qualcosa di assolutamente nuovo rispetto agli antichi centri abitati di età micenea, i quali pure talvolta si costituirono in borghi muniti di mura (urbs): non è la delimitazione di un territorio che costituisce culturalmente la città. La polis fu un prodotto conseguente la caduta di Micene e il tumultuoso periodo delle migrazioni, nel corso del quale dall’XI secolo avvenne un ingente spostamento di popolazioni greche verso l’Asia Minore e lo stanziamento di altre nelle arie regioni dell’Ellade, tale da ridisegnare significativamente la composizione etnica e culturale della penisola greca.

Un nuovo ordine pubblico per gli uomini e per gli dei

La polis era non un aggregato meccanico e privo di criterio, ma una fusione di genti solidali legate da un vincolo gentilizio nel riconoscimento del primato di una gens sola (γένος), il cui capo era il re. Anche a livello religioso – oltre che militare ad esempio – il culto praticato da queste genti che godevano di uno status privilegiato era ritenuto più efficace e il re ne era il sacerdote, investito cioè di prestigio e potere sacro che gli derivava da un’autorità superiore.

Leggi anche: Religione e potere nella Grecia micenea

La città, secondo questo nuovo ordine, doveva rispecchiare anche una religione nuova, avere cioè un culto suo proprio che fosse il culto di tutti, diverso dalla religione degli avi che si tramandava in ogni singola gens o dai numi del focolare che si veneravano in ogni famiglia.

La città-santuario

Rinunciando all’istituto della monarchia, veniva meno il ruolo del re-sacerdote, ma era tuttavia necessario l’intervento di un’autorità religiosa che fosse in grado di padroneggiare la “materia oscura” del sacro che si concentrava nelle città.

La prima autorità conosciuta in Grecia si costituì a Delfi, che pure non fu mai polis ma esclusivamente santuario, chiusa nel regime antico delle sue famiglie sacerdotali e dove parlava, attraverso l’oracolo di un “nuovo dio”, l’antica voce della Terra.

Esiodo, Teogonia, introduzione e trad. di G. Arrighetti, Bur, Milano 1984. 
Pettazzoni R., La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Zanichelli, Bologna 1921.

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