«Animus est quo sapimus, anima qua vivimus»: l’animus è ciò grazie al quale siamo saggi, l’anima ciò grazie alla quale viviamo. La definizione è di Nonio Marcello (De compendiosa doctrina, 19), grammatico ed erudito del IV secolo ev, ed esprime la differenza che i Latini ponevano tra le due parole, entrambe imparentate con il greco ἄνεμος, “soffio ”, “vento”. Mentre l’anima, infatti, è il respiro attraverso cui si manifesta la vita, che caratterizza ogni essere vivente, l’animus è il principio razionale e intellettuale proprio soltanto dell’uomo. Ma non sempre i significati dei due termini sono così rigidamente separati.
Anima, animus
Anima è il “soffio vitale”, l’aria che si introduce nei polmoni con la respirazione, il respiro, la vita, propria di ogni essere vivente (da cui il termine “animale”).
Animam ducere è il “respirare”, così come reciprocare anima, animam continere (o comprimere) è “trattenere il respiro”.
Se anima è il soffio della vita, animus è invece il principio spirituale e pensante proprio soltanto dell’uomo, la forza razionale e intellettuale che regola la sensibilità, la volontà, l’intelletto, la coscienza.
Animus è anche l’energia, la forza interiore che si esprime nell’azione generosa, corrispondente all’italiano “coraggio”. Così Sallustio, descrivendo il campo di battaglia dopo la strage (La congiura di Catilina, 61, 1-2):
Sed confecto proelio, tum vero cerneres, quanta audacia quantaque animi vis fuisset in exercitu Catilinae
ma, concluso il combattimento, allora avresti veramente potuto vedere quanta audacia, quanta forza d’animo ci fosse nell’esercito di Catilina, dove, un verso più avanti, amissa anima sta per “perduta la vita”.
Se anima è la vita, in senso quasi tecnico, aerobico, animus è invece più propriamente lo spirito; una distinzione semantica, sebbene piuttosto sottile, che porta ad esempio Seneca ad ammettere quanto sia difficile portare lo spirito al disprezzo della vita (Epistulae morales ad Lucilium, 4, 4):
difficile est animum perducere ad contemplatione animae
In senso più simile all’italiano, le piae animae sono le anime dei pii, cioè le anime dei morti.
I due termini, in origine rigidamente separati, si sono poi confusi passando all’italiano e dando luogo a due serie di parole che conservano entrambe i significati di anima e animus: vita in senso fisico (animale, animare, rianimare, esaminare) e spirituale (anima, animo, animoso).
La natura dell’anima
L’anima umana è l’argomento del terzo libro del De rerum natura di Lucrezio, seguace delle dottrine epicuree. La distinzione è tra animus, il principio intellettivo, e anima, il principio vitale. Scopo della trattazione è vanificare il timore della morte che angoscia gli uomini e spesso li spinge all’abiezione.
L’animus è assimilabile alla mens, la mente («animus mens quam saepe vocamus», 94-95), sede della ragione e della facoltà che governa la vita («in quo consilium vitae regimenque locatum est»).
Mentre la mens è radicata nel mezzo del petto («situm media regione in pectoris», 140), sede di intelletto e sentimento, dove palpitano la gioia, la paura e le ansie, l’anima è invece sparsa per tutto il corpo («per totum dissita corpus», 143) e accoglie le sensazioni fisiche, così che un forte turbamento della mente si comunica, attraverso l’anima, a tutto il corpo.
Mens, o animus, e anima formano una sola essenza, una parte tangibile dell’organismo umano («anim[a] in membris [...] es[t]», 117-118) tanto quanto una mano o un piede, ovvero possiedono una sostanza corporea («natura animi atque animai corpoream esse», 161-162) formata da atomi piccolissimi («persubtilem atque minutis corporibus», 179-180), una sorta di semi rotondi, levigati e sottili (rotundis seminibus minutis, 186-187) in grado di muoversi a gran velocità.
Questo complesso di mente e anima, formato da tali elementi, è intrecciato nelle vene nelle viscere e nei nervi («anima [...] nexa per venas viscera nervos», 217).
— Sull’epicureismo di Lucrezio leggi anche: Venus Alma Genetrix. Invocazione a Venere nel De rerum natura
Il quarto elemento dell’anima
La natura dell’anima è triplice («triplex animi est natura», 237). In essa agiscono il vento, che provoca la paura, il calore, che accende l’ira, e l’aria, che genera la quiete.
Ma esiste un altro elemento, senza nome, ancora più mobile e sottile, per così dire, anima animae, l’anima dell’anima, dove si mischiano insieme l’energia della mente e la potenza dell’anima, che domina tutto il corpo («dominatur corpore toto», 281).
Ora, dal mescolarsi di questi elementi dipende la grande varietà dei caratteri degli esseri umani che, nonostante l’educazione e il vivere civile, mantengono traccia della natura primitiva, essendo alcuni dominati dalla paura, altri dall’ira violenta. Sono tracce lievi, eppure la ragione non basta a liberarcene.
Sebbene insieme costituiscano una sola essenza («unum inter se coniunctaque», 424), legati per sempre tra di loro («anima atque animus vincti sunt semper», 416), è la mente, l’animus, e non l’anima, a tenere stretti i legami della vita e a dominare sul corpo («animus vitai claustra coercens et dominantior ad vitam», 396-397).
Agonia del corpo, agonia dell’anima
L’anima è mortale. Nasce, si sviluppa, soffre e declina con il corpo, si ammala degli stessi morbi da cui è afflitto il corpo, è macerata dal timore per il futuro («de rebus futuris macerat», 825-826) e corrosa dai rimorsi per le colpe passate.
L’anima non può esistere separata dal corpo, e pertanto insieme ad esso deve anche morire: la mente non può esistere altrove che nel petto di una persona viva («animus mortalia signa mittit», 521-522), l’anima dà segni del suo essere mortale).
Con la morte l’anima esce da tutte le membra, lacerandosi («natura animae scinditur», 3, 531), e lascia la spoglia mortale come una serpe («ut anguis», 614).
Allo stesso modo, l’anima non preesiste al corpo, ma vi è introdotta per opera divina quando il corpo è già formato («Praeterea si iam perfecto corpore nobis inferri solitast animi vivata potestas», quando il nostro corpo è già formato, suole introdursi la viva potenza dell’anima, 679-680), cresce insieme al corpo e alle membra, come qualsiasi altro organo («animi natura nequit sine corpore oriri sola neque a nervis et sanguine longius esse», la natura dell’animo non può nascere da sola, senza il corpo, né esistere disgiunta dai nervi e dal sangue, 788-789).
Adde furorem animi proprium atque oblivia rerum,
adde quod in nigras lethargi mergitur undas.
A questo, aggiungi il delirio che è proprio dell’animo e l’oblio di ogni cosa, aggiungi che è sommersa dalle nere onde del letargo (828-829).
Allo stesso principio si appella anche Orazio, quando afferma che non c’è via di fuga dalla morte, per nessuno, dal momento che un’anima mortale è stata assegnata a ciascuna creatura terrestre, grande o piccola (Satire, 2, 6, 93-95):
terrestria [...] mortalis animas vivunt sortita neque ulla est aut magno aut parvo leti fuga.
Perciò, a cosa giova vivere di stenti e di rinunce? Meglio godersi le gioie che dà la vita, ricordandosi sempre di quanto possa essere breve.
Spiritus
Il significato di spiritus, dal verbo spiro, più vicino a quello di anima, indica il soffio (da cui il nostro verbo “spirare”, detto dell’aria o del vento), l’alito, in senso traslato il respiro. I corpi non possono essere vivi senza il flusso del respiro (Vitruvio, de Architectura, 8, pr. 2):
corpora sine spiritus redundantia non possunt habere vitam
Uno spiritu vuol dire tutto “d’un fiato”, spiritum haurire, o ducere, è il “respirare”, mentre spiritum reddere è “esalare l’anima”, spiritum intercludere vuol dire “mozzare il respiro”, spiritum auferre “togliere la vita”.
dum spiritus hos reget artus
finché un soffio di vita animerà queste membra, scrive poeticamente Virgilio (Eneide, 4, 331).
In senso figurato, lo spiritus è una disposizione d’animo, che può essere la superbia, l’arroganza (“darsi delle arie”, si dice anche in italiano) o ancora l’orgoglio, il coraggio, la nobiltà di sentimenti.
Spiritus è anche l’ispirazione, ad esempio poetica, intesa come soffio misterioso che penetra nell’uomo. Così Cicerone (Pro Archia, 8, 18) a proposito del poeta, per sua naturale inclinazione animato da forza intellettiva («mentis viribus excitari») ed è come pervaso da uno spirito divino:
quasi divino spiritu inflari.
L’aggettivo spiritalis o spiritualis non ha invece nulla di “spirituale”, avendo a che fare più con l’aria che con l’anima: machina spiritalis era una macchina pneumatica, arteria spiritalis la trachea, attraverso la quale passa l’aria che respiriamo, le litterae spiritales erano le consonanti aspirate.
Così Svetonio nella descrizione del passaggio del Rubicone (Divus Julius, 32, 1):
ingenti spiritu classicum exorsus
intonata con gran fiato una marcia militare (classicum è lo squillo della tromba che dà il segnale di guerra).
Spiritus, come qualcosa di impalpabile, è anche un odore, un profumo, un’esalazione: spiritu florum (Aulo Gellio, Notti attiche, 9, 4, 10), il profumo dei fiori, o ancora in Lucrezio, «spiritus unguenti suavis diffugit in auras», il profumo soave di un unguento che si disperde nell’aria (3, 222)
Nulla muore, tutto si trasforma
Accanto a questi significati, spiritus finisce con l’acquisirne anche di più astratti:
inque leves abiit paulatim spiritus auras,
a poco a poco lo spirito vitale si dissolve nell’aria leggera, dice Ovidio a proposito di Meleagro che brucia tra le fiamme (Metamorfosi, VIII, 524).
Ma il termine è anche usato, nel libro finale del poema, per bocca di Pitagora (pur non essendo di fatto nominato) che spiega la grande teoria del divenire, la manifestazione del perpetuo flusso di tutte le cose, in particolare la metemsomatosi, cioè il passaggio dello spirito da un corpo a un altro, umano o animale:
Omnia mutantur, nihil interit: errat et illinc
huc venit, hinc illuc et quoslibet occupat artus
spiritus eque feris humana in corpora transit
inque feras noster, nec tempore deperit ullo.
Tutto si trasforma, nulla muore: vaga lo spirito e da lì viene qui, da qui là e si infonde in qualsiasi corpo e passa dai corpi delle bestie a quelli umani e da noi alle bestie e mai perisce (XV, 165-168).
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