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Contributi illuministi al politeismo contemporaneo

Il politeismo classico è stato una vera e propria sfida per l’illuminismo filoellenico, riluttante a volerlo considerare solo un mucchio di assurdità, chimere, illusioni, o la “distorsione” di una presunta religione naturale dei primi patriarchi ebraici. Alcuni illuministi francesi, in particolare, vi hanno visto l’apoteosi di un sistema allegorico di simboli attraverso cui si esprimono delle verità senza tempo, un tentativo della mentalità prescientifica di spiegare le forze nascoste della natura. Nonostante le divergenze di interpretazione, le idee di questi pensatori in merito alla religiosità classica hanno contribuito a renderla autonoma, ovvero alla formazione di uno spirito più aperto, cosmopolita e tollerante.

Federico Cortese, Apollo alla Galleria degli Uffizi, della serie The color of Memory, 2016, (c) lnx.federicocortese.com

L’atteggiamento dei filosofi e artisti francesi del XVIII secolo nei confronti dell’eredità classica è ambiguo: da un lato assistiamo a un ritorno trionfale, come nelle arti visive, dall’altro persiste una certa diffidenza verso tutta quella fosca sensualità, la crudeltà sfrenata, l’irrazionalità della mitologia che urtavano la raffinata sensibilità dell’epoca. Per superare l’impasse del ritenere le civiltà classiche la culla di una volgare idolatria, gli illuministi francesi hanno sviluppato diverse teorie, rifiutando il crudo realismo in favore di interpretazioni storiche, allegoriche e psicologiche.

La civiltà perduta

Così l’intervento di Jean-Pierre de Bougainville, fratello dell’esploratore Louis-Antoine e noto per il suo eclettismo, presentato all’Académie des Inscriptions et Belles Lettres il 14 novembre 1749, sull’importanza degli studi classici:
Quanto più assurdo appare il paganesimo, tanto più è necessario esaminare con attenzione come certe idee potessero essere accettate da persone ragionevoli. Per ricercare le fonti dell’idolatria, scoprire la nascita di così tanti culti differenti e, oserei dire, la culla degli dei... per riconoscere l’essenziale da quanto in seguito è stato aggiunto da una moltitudine di superstizioni, le singole divinità rispetto ai nomi che hanno assunto in Grecia, Fenicia, Egitto, penetrare il velo del sistema e distinguere i concetti fisici o le semplici allegorie dai fatti storici... in una parola, per gettare una luce tra le molteplici ombre delle tradizioni, questo è studiare la mitologia da filosofi.

Sul finire degli anni Settanta del XVIII secolo, l’astronomo e politico parigino Jean-Sylvain Bailly (1736-1793) propose una teoria di stampo evemerista contenuta in due volumi strutturati in forma epistolare dedicati a Voltaire il quale, nell’Essai sur les moeurs, aveva concluso che le civiltà cinese e indiana fossero anteriori a quelle greco-romana ed ebraica. 

L’evemerismo, cioè la ricerca di radici storiche dei fatti mitici, non è un’invenzione settecentesca, ma ora viene abbracciata con una certa enfasi e, soprattutto, anticipa il metodo comparativo, perché ne consegue che tutte le religioni hanno avuto un’origine umana e non divina.

A Bailly questa ipotesi convince e anzi va oltre, sostenendo nelle sue Lettres sur l’origine des sciences (1777) che tutte le culture conosciute dell’antichità derivassero da una perduta civiltà primordiale, svanita nelle nebbie del tempo, che egli situa vicino al Circolo polare artico. Nel secondo volume, Lettres sur l’Atlantide de Platon (1779), Bailly è ancora più specifico e riporta la storia di Atlantide come presentata da Platone nel Timeo e nel Crizia, che egli interpreta come una prova storica dell’ascesa e della caduta di un grande impero antecedente a tutti gli altri.

Sotto il regno di Urano

Rifiutando un’interpretazione allegorica degli eroi e delle divinità, per cui sarebbero stati semplicemente la personificazione delle forze della natura («non posso credere che tutti i segreti dell’antichità siano nascosti dietro un’unica chiave»), gli dei greci, fenici ed egizi sono piuttosto da ricondurre per Bailly ad antichi re ed eroi di Atlantide, mentre le leggende che narrano di giganti, fate, geni e semidei rappresenterebbero una sorta di “memoria ancestrale” della grandezza degli Atlantidi.

Bailly cita anche Diodoro Siculo, secondo il quale l’Atlantide di Platone sarebbe stata sede della prima umanità, quella che nella mitologia greca viene ricordata come il regno di Urano. 

Per Bailly, i miti sono il prodotto dei desideri e dei bisogni umani, un «prezioso cimelio dell’antichità», perché

ci trasportano da un mondo in cui siamo sempre infelici in un altro mondo, creato dalla nostra immaginazione, dove c’è tutto il necessario per renderci felici.

Paganesimo, tolleranza, pluralismo

Le speculazioni sul politeismo antico e moderno di autori come Bailly, insieme all’osservazione delle culture tradizionali scoperte in Asia e in America, hanno portato a un fondamentale cambiamento nello studio delle religioni, e continueranno a influenzare le nozioni occidentali delle religioni per tutto il diciannovesimo secolo, contribuendo, ad esempio, a rinnovare l’interesse per l’Egitto e il “misterioso Oriente” in generale, con il conseguente sviluppo dei simboli e della ritualistica della Framassoneria

Contrariamente ad altri autori contemporanei di stampo evoluzionista, come de Brosses e Boulanger (per i quali le religioni sono la sopravvivenza di una mentalità primitiva, prescientifica, destinata quindi a essere superata), Bailly (così come Court de Gébelin) attribuisce alle religioni, come prodotto della creatività umana piuttosto che della rivelazione divina, un ruolo più positivo nello sviluppo delle società, intese sia come velate allegorie il cui scopo era trasmettere verità senza tempo, sia come una sorta di memoria collettiva delle gesta eroiche di antichi re e conquistatori.

Una delle più importanti eredità di questo Illuminismo “radicale”, che rifiuta la rivelazione divina in favore della costruzione umana, sarà l’emancipazione e secolarizzazione delle discipline storiche, sottraendole agli schemi della storia biblica.

Il rifiuto della rivelazione da parte dell’Illuminismo radicale ha legittimato un approccio simile per tutte le religioni come fenomeno puramente umano, e l’applicazione di identici principi negli studi. Ha anche permesso un nuovo approccio alla tolleranza religiosa, nel momento in cui tutte le religioni sono egualmente considerate prive dell’elemento divino e le loro pretese di verità, basate sulla rivelazione divina, sono state ridotte a nulla, pertanto nessuna di esse può vantare una superiorità sulle altre. E se nessuna religione ha un valore ontologico per sé, o piuttosto, se gli esseri umani non sono in grado di riconoscere la verità ultima, nessuna religione può avere il predominio sulle altre e tutte devono essere giudicate solo dai loro effetti sociali.

Le religioni emergono quindi come una cruciale fonte di informazione sulla storia culturale dell’umanità, piuttosto che come la rivelazione di un dio. 

(D. A. Harvey, The Rise of Modern Paganism? French Enlightenment Perspectives on Polytheism and the History of Religions, in “Historical Reflections / Réflexions Historiques”, vol. 40, n. 2, 2004, pp. 34-55.)

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